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sull’incensurabilità
della
discrezionalità
legislativa.
Ove
dovesse
aversi
riguardo,
poi,
alla
misura
edittale
della
pena,
la
scelta
del
legislatore
non
potrebbe
che
apparire
palesemente
scompensata
e
arbitraria.
Procedimenti
relativi
a
gravissimi
delitti
–
puniti
con
pene
più
severe
di
quelli
che
qui
vengono
in
rilievo
(taluni
addirittura
con
l’ergastolo)
–
restano,
infatti,
sottratti
al
regime
cautelare
speciale:
basti
pensare
alla
strage
(art.
422
cod.
pen.),
alla
devastazione
o
saccheggio
(art.
419
cod.
pen.),
alla
rapina
e
all’estorsione
aggravate
(artt.
628,
terzo
comma,
e
629,
secondo
comma,
cod.
pen.),
alla
produzione,
traffico
e
detenzione
illeciti
di
stupefacenti,
anche
con
riguardo
all’ipotesi
aggravata
di
cessione
a
minorenni
(artt.
73
e
80,
comma
1,
lettera
a,
del
d.P.R.
9
ottobre
1990,
n.
309).
12.
–
Tanto
meno,
infine,
la
presunzione
in
esame
potrebbe
rinvenire
la
sua
fonte
di
legittimazione
nell’esigenza
di
contrastare
situazioni
causa
di
allarme
sociale,
determinate
dalla
asserita
crescita
numerica
di
taluni
delitti.
Proprio
questa,
per
contro,
è
la
convinzione
che
traspare
dai
lavori
parlamentari
relativi
alla
novella
del
2009
e
che
ha
portato
ad
attribuire
carattere
“emergenziale”
all’esigenza
di
precludere
l’applicazione
di
misure
cautelari
“attenuate”
nei
confronti
degli
indiziati
di
delitti
di
tipo
sessuale.
La
norma
oggetto
di
scrutinio
si
colloca,
infatti,
nel
corpo
delle
disposizioni
–
racchiuse
nel
capo
I
del
decreto-‐legge
n.
11
del
2009
–
volte
ad
un
generale
inasprimento
del
regime
cautelare,
repressivo
e
penitenziario
dei
delitti
in
questione:
inasprimento
che,
nell’idea
dei
compilatori,
rappresenterebbe
la
necessaria
risposta
alla
preoccupazione
diffusasi
nell’opinione
pubblica,
di
fronte
alla
–
percepita
–
ingravescenza
di
tale
deplorevole
forma
di
criminalità
(esplicita,
al
riguardo,
la
relazione
al
disegno
di
legge
di
conversione
A.C.
2232).
La
eliminazione
o
riduzione
dell’allarme
sociale
cagionato
dal
reato
del
quale
l’imputato
è
accusato,
o
dal
diffondersi
di
reati
dello
stesso
tipo,
o
dalla
situazione
generale
nel
campo
della
criminalità
più
odiosa
o
più
pericolosa,
non
può
essere
peraltro
annoverata
tra
le
finalità
della
custodia
preventiva
e
non
può
essere
considerata
una
sua
funzione.
La
funzione
di
rimuovere
l’allarme
sociale
cagionato
dal
reato
(e
meglio
che
allarme
sociale
si
direbbe
qui
pericolo
sociale
e
danno
sociale)
è
una
funzione
istituzionale
della
pena
perché
presuppone,
ovviamente,
la
certezza
circa
il
responsabile
del
delitto
che
ha
provocato
l’allarme
e
la
reazione
della
società.
Non
è
dubitabile,
in
effetti,
che
il
legislatore
possa
e
debba
rendersi
interprete
dell’acuirsi
del
sentimento
di
riprovazione
sociale
verso
determinate
forme
di
criminalità,
avvertite
dalla
generalità
dei
cittadini
come
particolarmente
odiose
e
pericolose,
quali
indiscutibilmente
sono
quelle
considerate.
Ma
a
tale
fine
deve
servirsi
degli
strumenti
appropriati,
costituiti
dalla
comminatoria
di
pene
adeguate,
da
infliggere
all’esito
di
processi
rapidi
a
chi
sia
stato
riconosciuto
responsabile
di
quei
reati;
non
già
da
una
indebita
anticipazione
di
queste
prima
di
un
giudizio
di
colpevolezza.
Nella
specie,
per
converso,
la
totale
vanificazione
del
principio
di
adeguatezza,
in
difetto
di
una
ratio
correlata
alla
struttura
delle
fattispecie
criminose
di
riferimento,
cumulandosi
alla
presunzione
relativa
di
sussistenza
delle
esigenze
cautelari,
orienta
chiaramente
lo
“statuto
custodiale”
–
in
conformità
alle
evidenziate
risultanze
dei
lavori
parlamentari
–
verso
finalità
“metacautelari”,
che
nel
disegno
costituzionale
devono
essere
riservate
esclusivamente
alla
sanzione
penale
inflitta
all’esito
di
un
giudizio
definitivo
di
responsabilità.
13.
–
Alla
luce
delle
considerazioni
che
precedono,
si
deve
dunque
concludere
che
la
norma
impugnata
viola,
in
parte
qua,
sia
l’art.
3
Cost.,
per
l’ingiustificata
parificazione
dei
procedimenti
relativi
ai
delitti
in
questione
a
quelli
concernenti
i
delitti
di
mafia
nonché
per
l’irrazionale
assoggettamento
ad
un
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