Page 200 - Microsoft Word - Libertas.doc
P. 200
alla
compagna
del
sequestrato,
quale
condizione
per
la
liberazione,
la
restituzione
della
somma
di
tremila
euro,
pagata
come
corrispettivo
per
la
cessione
di
sostanza
stupefacente,
rivelatasi
poi
essere
solo
«acqua
e
sapone»,
in
precedenza
effettuata
dalla
stessa
compagna
dell’offeso.
La
privazione
della
libertà
era
durata,
peraltro,
solo
poche
ore,
giacché
il
sequestrato
era
stato
prontamente
liberato
grazie
all’intervento
delle
forze
dell’ordine,
che
avevano
proceduto
all’arresto
in
flagranza
dei
quattro
sequestratori.
Nel
convalidare
l’arresto,
il
Giudice
per
le
indagini
preliminari
del
Tribunale
di
Pistoia
aveva
applicato
la
custodia
cautelare
in
carcere
solo
a
due
degli
indagati,
ritenendo
adeguata
la
misura
degli
arresti
domiciliari
per
gli
altri,
tra
cui
l’attuale
istante,
stante
il
ruolo
minore
svolto
nella
vicenda,
e
declinando
al
tempo
stesso
la
competenza
a
favore
del
Giudice
per
le
indagini
preliminari
del
Tribunale
di
Bologna.
Su
richiesta
del
pubblico
ministero
bolognese,
quest’ultimo
Giudice
aveva
quindi
rinnovato,
ai
sensi
dell’art.
27
cod.
proc.
pen.,
le
misure
cautelari
disposte
dal
giudice
dichiaratosi
incompetente,
applicando,
peraltro,
a
tutti
gli
indagati
la
custodia
in
carcere,
sul
rilievo
che
il
sequestro
di
persona
a
scopo
di
estorsione
rientra
tra
i
reati
per
i
quali
l’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
prevede
che,
in
presenza
di
esigenze
cautelari,
debba
essere
necessariamente
disposta
la
misura
di
massimo
rigore.
Ciò
premesso,
il
giudice
a
quo
rileva
che
le
esigenze
cautelari,
pur
non
essendo
venute
meno,
potrebbero
essere
adeguatamente
fronteggiate
con
la
misura
degli
arresti
domiciliari,
tenuto
conto
del
ruolo
«defilato»
avuto
dall’istante
nell’episodio
criminoso
e
della
sua
condizione
di
incensurato.
All’accoglimento
dell’istanza
di
sostituzione
della
misura
in
atto
osterebbe,
tuttavia,
il
disposto
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
così
come
modificato
dall’art.
2
del
decreto-‐legge
n.
11
del
2009,
in
forza
del
quale,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
una
serie
di
reati
–
tra
cui
quello
di
sequestro
di
persona
a
scopo
di
estorsione
(evocato
tramite
il
rinvio
all’art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.)
–
«è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari».
Secondo
il
rimettente,
tale
preclusione
–
non
superabile
tramite
una
interpretazione
costituzionalmente
orientata,
stante
l’univocità
del
testo
normativo
–
si
porrebbe
in
contrasto
con
gli
artt.
3,
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
Cost.
Al
riguardo,
il
giudice
a
quo
rileva
come
la
Corte
costituzionale
–
con
la
sentenza
n.
265
del
2010
e
plurime
decisioni
successive
–
abbia
già
dichiarato
costituzionalmente
illegittima,
per
violazione
dei
medesimi
parametri,
la
norma
censurata,
nella
parte
in
cui
non
consentiva
l’adozione
di
misure
cautelari
diverse
da
quella
carceraria
in
relazione
a
tutta
una
serie
di
ipotesi
criminose.
Le
medesime
considerazioni
poste
a
base
di
tali
decisioni
–
sinteticamente
ripercorse
nell’ordinanza
di
rimessione
–
varrebbero
anche
in
rapporto
al
delitto
di
sequestro
di
persona
a
scopo
di
estorsione,
che
non
potrebbe
essere
assimilato,
sotto
il
profilo
che
interessa,
ai
delitti
di
mafia,
in
rapporto
ai
quali
la
Corte
–
con
l’ordinanza
n.
450
del
1995
–
ha
ritenuto
giustificabile
la
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere.
L’originaria
previsione
dell’art.
630
cod.
pen.
è
stata,
in
effetti,
oggetto
di
numerose
modifiche
legislative,
intese
per
lo
più
ad
inasprire
il
trattamento
sanzionatorio
della
fattispecie
criminosa
a
fronte
dello
straordinario
incremento,
registratosi
negli
anni
1970-‐1980,
dei
sequestri
di
persona
a
scopo
di
estorsione
realizzati
da
pericolose
organizzazioni
criminali
in
vista
del
conseguimento
di
ingentissimi
profitti
e
caratterizzati
da
privazioni
della
libertà
protratte
per
anni,
oltre
che
da
episodi
di
efferata
crudeltà
nei
confronti
delle
vittime.
Alla
luce
di
un
consolidato
orientamento
200