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(art.
3
Cost.)
e
di
inviolabilità
della
responsabilità
penale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.),
nonché
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.).
2.–
La
questione
è
fondata.
Come
ricorda
il
giudice
a
quo,
la
norma
denunciata
è
già
stata
oggetto
di
plurime
dichiarazioni
di
illegittimità
costituzionale
di
questa
Corte,
nella
parte
in
cui
prefigura
una
presunzione
assoluta
–
anziché
soltanto
relativa
–
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
nei
confronti
della
persona
raggiunta
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
una
serie
di
delitti.
Ciò
è
avvenuto,
in
particolare,
con
riguardo
ai
delitti
a
sfondo
sessuale
di
cui
agli
artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐bis
e
609-‐quater
cod.
pen.
(sentenza
n.
265
del
2010);
all’omicidio
volontario
(sentenza
n.
164
del
2011);
alla
fattispecie
associativa
di
cui
all’art.
74
del
d.P.R.
9
ottobre
1990,
n.
309,
recante
il
«Testo
unico
delle
leggi
in
materia
di
disciplina
degli
stupefacenti
e
sostanze
psicotrope,
cura
e
riabilitazione
dei
relativi
stati
di
tossicodipendenza»
(sentenza
n.
231
del
2011);
all’associazione
per
delinquere
finalizzata
alla
commissione
dei
delitti
previsti
dagli
artt.
473
e
474
cod.
pen.
(sentenza
n.
110
del
2012).
Ad
analoga
declaratoria
di
illegittimità
costituzionale
la
Corte
è
pervenuta,
altresì,
successivamente
all’ordinanza
di
rimessione,
con
riguardo
ai
procedimenti
per
i
delitti
commessi
avvalendosi
delle
condizioni
previste
dall’art.
416-‐bis
cod.
pen.,
ovvero
al
fine
di
agevolare
l’attività
delle
associazioni
previste
dal
medesimo
articolo
(sentenza
n.
57
del
2013).
È
stata
dichiarata,
inoltre,
costituzionalmente
illegittima,
nei
medesimi
termini,
l’omologa
presunzione
assoluta
sancita
dall’art.
12,
comma
4-‐bis,
del
decreto
legislativo
25
luglio
1998,
n.
286
(Testo
unico
delle
disposizioni
concernenti
la
disciplina
dell’immigrazione
e
norme
sulla
condizione
dello
straniero),
nei
confronti
della
persona
gravemente
indiziata
di
taluno
dei
delitti
di
favoreggiamento
dell’immigrazione
clandestina,
previsti
dal
comma
3
del
medesimo
art.
12
(sentenza
n.
331
del
2011).
3.–
Nelle
decisioni
ora
citate,
questa
Corte
ha
rilevato
come,
alla
luce
dei
principi
costituzionali
di
riferimento
–
segnatamente,
il
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.)
e
la
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.)
–
la
disciplina
delle
misure
cautelari
debba
essere
ispirata
al
criterio
del
«minore
sacrificio
necessario»:
la
compressione
della
libertà
personale
va
contenuta,
cioè,
entro
i
limiti
minimi
indispensabili
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
del
caso
concreto.
Ciò
impegna
il
legislatore,
da
una
parte,
a
strutturare
il
sistema
cautelare
secondo
il
modello
della
«pluralità
graduata»,
predisponendo
una
gamma
di
misure
alternative,
connotate
da
differenti
gradi
di
incidenza
sulla
libertà
personale;
dall’altra,
a
prefigurare
criteri
per
scelte
«individualizzanti»
del
trattamento
cautelare,
parametrate
sulle
esigenze
configurabili
nelle
singole
situazioni
concrete.
Canoni
ai
quali
non
contraddice
la
disciplina
generale
del
codice
di
procedura
penale,
basata
sulla
tipizzazione
di
un
«ventaglio»
di
misure
di
gravità
crescente
(artt.
281-‐285)
e
sulla
correlata
enunciazione
del
principio
di
«adeguatezza»
(art.
274,
comma
1),
alla
luce
del
quale
il
giudice
è
tenuto
a
scegliere
la
misura
meno
afflittiva
tra
quelle
astrattamente
idonee
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
ravvisabili
nel
caso
concreto
e,
conseguentemente,
a
far
ricorso
alla
misura
“massima”
(la
custodia
in
carcere)
solo
quando
ogni
altra
misura
risulti
inadeguata
(art.
275,
comma
3,
primo
periodo).
4.–
Discostandosi
in
modo
marcato
da
tale
regime,
il
novellato
art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
sottrae,
per
converso,
al
giudice
ogni
potere
di
scelta,
vincolandolo
a
disporre
la
misura
maggiormente
rigorosa,
senza
alcuna
possibile
alternativa,
allorché
la
gravità
indiziaria
attenga
a
determinate
fattispecie
di
reato.
Siffatta
soluzione
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