Page 203 - Microsoft Word - Libertas.doc
P. 203
normativa
si
traduce
in
una
valutazione
legale
di
idoneità
della
sola
custodia
carceraria
a
fronteggiare
le
esigenze
cautelari
(presunte,
a
loro
volta,
iuris
tantum).
A
tale
proposito,
questa
Corte
ha,
peraltro,
ribadito
che
«le
presunzioni
assolute,
specie
quando
limitano
un
diritto
fondamentale
della
persona,
violano
il
principio
di
eguaglianza,
se
sono
arbitrarie
e
irrazionali,
cioè
se
non
rispondono
a
dati
di
esperienza
generalizzati,
riassunti
nella
formula
dell’id
quod
plerumque
accidit.
In
particolare,
l’irragionevolezza
della
presunzione
assoluta
si
coglie
tutte
le
volte
in
cui
sia
“agevole”
formulare
ipotesi
di
accadimenti
reali
contrari
alla
generalizzazione
posta
alla
base
della
presunzione
stessa»
(sentenze
n.
331,
n.
231
e
n.
164
del
2011,
n.
265
e
n.
139
del
2010).
L’evenienza
ora
indicata
era
puntualmente
riscontrabile
in
rapporto
alla
presunzione
assoluta
in
questione,
nella
parte
in
cui
risultava
riferita
ai
delitti
dianzi
elencati.
A
dette
figure
delittuose
non
poteva,
infatti,
estendersi
la
ratio
giustificativa
del
regime
derogatorio,
precedentemente
ravvisata
dalla
Corte
in
rapporto
ai
delitti
di
mafia
(i
soli
considerati
dall’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
prima
della
novella
del
2009)
(ordinanza
n.
450
del
1995):
ossia
che
dalla
struttura
stessa
della
fattispecie
e
dalle
sue
connotazioni
criminologiche
–
legate
alla
circostanza
che
l’appartenenza
ad
associazioni
di
tipo
mafioso
implica
un’adesione
permanente
ad
un
sodalizio
criminoso
di
norma
fortemente
radicato
nel
territorio,
caratterizzato
da
una
fitta
rete
di
collegamenti
personali
e
dotato
di
particolare
forza
intimidatrice
–
deriva,
nella
generalità
dei
casi
e
secondo
una
regola
di
esperienza
generalmente
condivisa,
una
esigenza
cautelare
alla
cui
soddisfazione
sarebbe
adeguata
solo
la
custodia
in
carcere
(non
essendo
le
misure
“minori”
sufficienti
a
troncare
i
rapporti
tra
l’indiziato
e
l’ambito
delinquenziale
di
appartenenza,
neutralizzandone
la
pericolosità).
Connotazioni
analoghe
non
erano
riscontrabili
in
rapporto
alle
figure
criminose
sopra
elencate.
Pur
nella
loro
indubbia
gravità
e
riprovevolezza
–
destinata
a
pesare
opportunamente
nella
determinazione
della
pena
inflitta
all’autore,
quanto
ne
sia
riconosciuta
in
via
definitiva
la
colpevolezza
–
i
suddetti
delitti
abbracciano,
infatti,
ipotesi
concrete
marcatamente
eterogenee
tra
loro
e
suscettibili
soprattutto
di
proporre,
in
un
numero
non
marginale
di
casi,
esigenze
cautelari
adeguatamente
fronteggiabili
con
misure
diverse
e
meno
afflittive
di
quella
carceraria.
Questa
Corte
ha
ritenuto,
quindi,
che
l’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
violasse,
in
parte
qua,
sia
l’art.
3
Cost.,
per
l’ingiustificata
parificazione
dei
procedimenti
relativi
ai
reati
considerati
a
quelli
concernenti
i
delitti
di
mafia,
nonché
per
l’irrazionale
assoggettamento
a
un
medesimo
regime
cautelare
delle
diverse
ipotesi
concrete
riconducibili
ai
relativi
paradigmi
punitivi;
sia
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
quale
referente
fondamentale
del
regime
ordinario
delle
misure
cautelari
privative
della
libertà
personale;
sia,
infine,
l’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
per
essere
attribuiti
alla
coercizione
processuale
tratti
funzionali
tipici
della
pena.
5.–
Alle
medesime
conclusioni
deve
pervenirsi
anche
in
rapporto
al
delitto
di
sequestro
di
persona
a
scopo
di
estorsione,
al
quale
il
regime
cautelare
speciale
è
esteso
dal
secondo
periodo
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
tramite
il
richiamo
“mediato”
alla
norma
processuale
di
cui
all’art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.
Questa
Corte
ha
avuto
già
modo
di
rilevare,
ad
altro
fine,
come
l’attuale
assetto
sanzionatorio
del
delitto
considerato
–
caratterizzato
da
una
risposta
punitiva
edittale
di
eccezionale
asprezza
(reclusione
da
venticinque
a
trenta
anni,
quanto
all’ipotesi
semplice)
–
rappresenti
l’epilogo
di
una
serie
di
interventi
normativi,
risalenti
agli
anni
1974-‐1980
e
aventi
i
tratti
tipici
della
legislazione
“emergenziale”.
Detti
interventi
203