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neppure
escluso
che
questo
possa
costituire
frutto
di
iniziativa
meramente
individuale.
Ma
quando
pure
–
come
avviene
nella
generalità
dei
casi
–
il
sequestro
risulti
ascrivibile
ad
una
pluralità
di
persone,
esso
può
comunque
mantenere
un
carattere
puramente
episodico
od
occasionale,
basarsi
su
una
organizzazione
solo
rudimentale
di
mezzi
e
recare
una
limitata
offesa
agli
interessi
protetti
(libertà
personale
e
patrimonio):
evenienze
che
–
stando
a
quanto
si
riferisce
nell’ordinanza
di
rimessione
–
si
sarebbero,
del
resto,
verificate
nel
caso
oggetto
del
giudizio
a
quo.
In
sostanza,
dunque,
la
fattispecie
criminosa
cui
la
presunzione
è
riferita
può
assumere
le
più
disparate
connotazioni
concrete:
dal
fatto
commesso
“professionalmente”
e
con
modalità
efferate
da
organizzazioni
criminali
rigidamente
strutturate
e
dotate
di
ingenti
dotazioni
di
mezzi
e
di
uomini;
all’illecito
realizzato
una
tantum
da
singoli
o
da
gruppi
di
individui,
quale
reazione
ad
una
altrui
condotta
apprezzata
come
scorretta
(nella
specie,
una
patita
truffa
“in
re
illicita”)
e
al
solo
fine
di
eliderne
le
conseguenze
patrimoniali
(nella
specie,
recuperare
la
modesta
somma
versata
dai
sequestratori
al
truffatore).
Dal
che
deve
conclusivamente
inferirsi
che
in
un
numero
non
trascurabile
di
casi
le
esigenze
cautelari
potrebbero
trovare
risposta
in
misure
diverse
e
meno
afflittive
della
custodia
carceraria.
7.–
Come
già
precisato
da
questa
Corte,
ciò
che
vulnera
i
valori
costituzionali
non
è
la
presunzione
in
sé,
ma
il
suo
carattere
assoluto,
che
implica
una
indiscriminata
e
totale
negazione
di
rilievo
al
principio
del
«minore
sacrificio
necessario».
Di
contro,
la
previsione
di
una
presunzione
solo
relativa
di
adeguatezza
della
custodia
carceraria
–
atta
a
realizzare
una
semplificazione
del
procedimento
probatorio
suggerita
da
aspetti
ricorrenti
del
fenomeno
criminoso
considerato,
ma
comunque
superabile
da
elementi
di
segno
contrario
–
non
eccede
i
limiti
di
compatibilità
costituzionale,
rimanendo
per
tal
verso
non
censurabile
l’apprezzamento
legislativo
circa
la
ordinaria
configurabilità
di
esigenze
cautelari
nel
grado
più
intenso
(sentenze
n.
57
del
2013,
n.
110
del
2012,
n.
331,
n.
231
e
n.
164
del
2011,
n.
265
del
2010).
L’art.
275,
comma
3,
secondo
periodo,
cod.
proc.
pen.
va
dichiarato,
pertanto,
costituzionalmente
illegittimo
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
cui
all’articolo
630
del
codice
penale,
è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
caso
concreto,
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
per
questi
motivi
LA
CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara
l’illegittimità
costituzione
dell’articolo
275,
comma
3,
secondo
periodo,
del
codice
di
procedura
penale,
come
modificato
dall’articolo
2
del
decreto-‐legge
23
febbraio
2009,
n.
11
(Misure
urgenti
in
materia
di
sicurezza
pubblica
e
di
contrasto
alla
violenza
sessuale,
nonché
in
tema
di
atti
persecutori),
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38,
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
cui
all’articolo
630
del
codice
penale,
è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
caso
concreto,
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
Così
deciso
in
Roma,
nella
sede
della
Corte
costituzionale,
Palazzo
della
Consulta,
il
3
luglio
2013.
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