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del
fatto.
Il
che
è
apparso
del
resto
del
tutto
conforme
al
silenzio
serbato
sul
punto
dalla
delega,
nel
presupposto
che
una
opzione
del
delegato
a
favore
del
diritto
di
veto
dell’offeso
sarebbe
stata
contraddittoria
con
la
diversa
volontà
del
delegante
che,
in
effetti,
non
poteva
manifestarsi
che
col
silenzio
sul
punto.
E
anche
la
differenziazione
che
ne
risulterà
con
l’analoga
disciplina
di
cui
all’art.
34
del
d.lgs.
n.
274/2000
(ove
è
stabilito
che
l’eventuale
«interesse
della
persona
offesa
alla
prosecuzione
del
procedimento»
osta
al
provvedimento
d’archiviazione
per
particolare
tenuità
del
fatto)
non
è
parso
motivo
sufficiente
per
discostarsi
dalla
delega,
non
potendosi
generalizzare
una
sorta
di
“principio
dispositivo”
del
processo
e
della
punibilità
nelle
mani
della
persona
offesa,
che
in
effetti
non
esiste
al
di
fuori
di
specifiche
e
delimitate
previsioni
legislative.
In
secondo
luogo,
sotto
il
profilo
processuale,
l’istituto
dell’irrilevanza
contribuisce
a
realizzare
l’esigenza
di
alleggerimento
del
carico
giudiziario
nella
misura
in
cui
la
definizione
del
procedimento
tenda
a
collocarsi
nelle
sue
prime
fasi.
Peraltro,
la
definizione
anticipata
per
irrilevanza
del
fatto,
oltre
a
soddisfare
esigenze
di
deflazione
processuale,
risulta
del
tutto
consentanea
anche
al
principio
di
proporzione,
essendo
il
dispendio
di
energie
processuali
per
fatti
bagatellari
sproporzionato
sia
per
l’ordinamento
sia
per
l’autore,
costretto
a
sopportare
il
peso
anche
psicologico
del
processo
a
suo
carico.
Muovendo
da
queste
premesse
di
fondo,
il
decreto,
al
di
là
delle
qualificazioni
puramente
dogmatiche
dell’istituto,
si
è
mosso
alla
ricerca
di
un
soddisfacente
equilibrio
tra,
da
un
lato,
la
consustanziale
esigenza
di
un’utilizzazione
sufficientemente
agile
ed
anticipata
dell’istituto
nell’iter
procedimentale
e,
dall’altro,
l’adeguata
considerazione
e
tutela
degli
eventuali
contrapposti
interessi
della
persona
offesa
e
anche
dell’indagato.
Se
la
persona
offesa
è
portatrice
di
un
vero
e
proprio
diritto
ad
essere
informata
e
a
interloquire
nelle
determinazioni
concernenti
l’esercizio
dell’azione
penale,
riconosciutole
tra
l’altro
in
particolare
dalla
direttiva
2012/29/UE
del
Parlamento
europeo
e
del
Consiglio
del
25
ottobre
2012,
anche
l’indagato
può
vantare
consimili
pretese
seppure
a
diverse
finalità.
In
effetti,
posta
la
necessità
di
iscrivere
nel
casellario
giudiziale
il
provvedimento
di
applicazione
del
nuovo
istituto,
ancorché
adottato
mediante
decreto
d’archiviazione,
ne
viene
che
l’indagato
potrebbe
avere
interesse
ad
evitare
tale
effetto
sfavorevole
in
quanto
eventualmente
preclusivo
di
una
futura
fruizione
dell’irrilevanza,
mirando
invece
ad
ottenere
un
risultato
pienamente
“liberatorio”.
L’articolo
2
del
decreto
provvede
a
realizzare
il
non
facile
ma
necessario
equilibrio
tra
le
esigenze
di
massima
anticipazione
processuale
dell’istituto,
da
un
lato,
e
i
contrapposti
interessi
dei
due
soggetti
privati,
dall’altro.
In
questo
articolo
sono
contenute
le
nuove
disposizioni
con
cui
si
consente
che
in
sede
di
indagini
il
g.i.p.
possa
archiviare
anche
per
la
causa
di
non
punibilità
di
cui
al
nuovo
art.
131
bis
c.p.
In
particolare,
nella
lett.
b)
si
disciplina
il
procedimento
di
archiviazione
“dedicato”
alla
particolare
tenuità
del
fatto,
in
cui
sia
la
persona
sottoposta
alle
indagini
che
la
persona
offesa
sono
poste
in
condizione
di
poter
interloquire
sulla
richiesta
del
pubblico
ministero,
contestando
la
ritenuta
tenuità
del
fatto.
Si
prevede
che
il
p.m.,
quando
richiede
l’archiviazione
ai
sensi
dell’art.
131
bis
c.p.,
debba
dare
gli
avvisi
all’indagato
e
alla
persona
offesa,
comunicando
loro
che,
nel
termine
di
dieci
giorni,
possono
prendere
visione
degli
atti
e
presentare
opposizione
censurando
nel
“merito”
la
richiesta
di
archiviazione.
Accogliendo
specifica
indicazione
sul
punto
12