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coloro
che
accettano
e
beneficiano
del
mercato
della
tangente
a
scapito
di
coloro
che
invece
si
rifiutano
di
accettarne
le
condizioni;
-‐-‐
la
sola
discesa
nella
classifica
di
percezione
della
corruzione
provoca
la
perdita
del
16
per
cento
degli
investimenti
dall’estero;
-‐-‐
le
imprese
che
operano
in
un
contesto
corrotto
e
che
devono
pagare
tangenti
crescono
in
media
quasi
del
25
per
cento
in
meno
di
quelle
che
non
devono
affrontare
tale
problema;
mentre
le
piccole
imprese
hanno
un
tasso
di
crescita
delle
vendite
di
oltre
il
40
per
cento
inferiore
rispetto
a
quelle
grandi;
-‐-‐
vi
sono,
poi,
i
costi
indiretti,
di
non
agevole
quantificazione
economica,
ma
ugualmente
rilevanti,
quali
quelli
derivanti
dai
ritardi
nella
definizione
delle
pratiche
amministrative,
nonché
dal
cattivo
funzionamento
degli
apparati
pubblici
e
dei
meccanismi
previsti
a
tutela
degli
interessi
collettivi;
-‐-‐
non
sono
da
trascurare,
infine,
i
costi
di
sistema,
non
misurabili
in
termini
economici,
ma
fondamentali
perché
minano
i
valori
che
tengono
insieme
l’assetto
democratico,
quali,
tra
gli
altri,
l’eguaglianza,
la
fiducia
nelle
istituzioni
e
la
legittimazione
democratica
delle
stesse.
L’entità
del
fenomeno
corruttivo
e
la
sua
percezione
sociale
ne
impongono
una
prioritaria
valutazione
all’interno
di
un
intervento
che
sia
al
tempo
stesso
razionalmente
condiviso
ed
efficace
sul
profilo
preventivo
e
sanzionatorio,
allo
scopo,
soprattutto,
di
favorire
l’attrazione
degli
investitori
stranieri.
Sebbene,
infatti,
sia
stato
ormai
unanimemente
riconosciuto
in
sede
internazionale
che
la
corruzione
ostacola
lo
sviluppo
economico
e
contrasta
con
i
princìpi
di
buon
governo
e
di
etica
della
politica
e
che,
specie
se
di
livello
«sistemico»,
finisce
con
il
costituire
una
minaccia
per
lo
Stato
di
diritto,
la
democrazia,
il
principio
di
eguaglianza
e
la
libera
concorrenza,
nel
nostro
Paese
non
è
stata
intrapresa,
fino
ad
ora,
un’azione
di
contrasto
effettivamente
efficace.
La
lotta
alla
corruzione
e
ai
reati
che
normalmente
si
pongono
con
essa
in
rapporto
di
interdipendenza
funzionale
(falso
in
scritture
contabili,
reati
fiscali,
riciclaggio
e
autoriciclaggio)
costituisce
invece
uno
degli
obiettivi
politico-‐criminali
prioritari
a
livello
europeo
e
internazionale,
tanto
che
le
principali
convenzioni
in
materia
esprimono
la
preoccupazione
per
le
conseguenze
generate
da
pratiche
corruttive
diffuse:
cattiva
allocazione
delle
risorse
pubbliche,
alterazione
delle
regole
sulla
concorrenza,
sistemi
fiscali
regressivi,
riduzione
degli
investimenti
diretti
esteri.
Si
tratta
di
fattori
che
frenano
lo
sviluppo
economico
del
Paese
e
che
richiedono
un
adeguato
e
urgente
mutamento
del
quadro
normativo
in
materia,
anche
per
le
accertate
e
diffuse
connessioni
tra
i
fenomeni
di
criminalità
organizzata
e
la
corruzione,
strumento
utilizzato
dalla
mafia
per
espandere
potere
e
affari
in
contesti
socio-‐ economici
poco
permeabili
all’intimidazione
e
alla
violenza
e
per
passare
agevolmente
dalla
gestione
dei
mercati
illegali
alla
gestione
dei
mercati
legali.
Se
la
legge
6
novembre
2012,
n.
190,
è
da
considerare
un
risultato
comunque
utile,
perché
è
riuscita
ad
inserire
nel
nostro
ordinamento
figure
di
reato
già
utilizzate
nella
maggior
parte
dei
Paesi
europei
e
da
lungo
tempo
richieste
in
adeguamento
alla
normativa
internazionale,
adesso
è
però
assolutamente
necessario
rendere
questa
legge
più
incisiva
e
completa,
per
fare
sì
che
possa
finalmente
rappresentare
una
svolta
decisiva
nel
contrasto
alla
corruzione.
L’efficacia
dell’intervento
normativo
deve
essere
completata,
inoltre,
attraverso
la
reintroduzione
nel
nostro
ordinamento
di
norme
che
modifichino
il
reato
di
scambio
elettorale
politico-‐mafioso,
puniscano
più
gravemente
il
reato
di
falso
in
bilancio,
che
rivedano
la
collocazione
sistematica
dei
delitti
di
riciclaggio,
comprendendovi
anche
l’autoriciclaggio.
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