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Si
ritiene,
pertanto,
indispensabile
intervenire
sotto
i
seguenti
profili:
1)
una
maggiore
efficacia
delle
pene
accessorie
(articoli
32-‐ter
e
32-‐quinquies
del
codice
penale),
un
maggior
inasprimento
del
massimo
della
pena
per
la
corruzione
propria
(articolo
319),
l’induzione
indebita
(319-‐ quater),
l’abuso
di
ufficio
(articolo
323),
la
previsione
di
una
diminuente
della
pena
per
chi
si
adopera
fattivamente
collaborando
con
l’autorità
giudiziaria
(323-‐bis,
secondo
comma),
uno
specifico
correttivo
sugli
effetti
dei
tempi
massimi
di
prescrizione
per
reati
più
gravi
di
corruzione,
che
consenta
di
riequilibrare
complessivamente
il
sistema
(articolo
161,
secondo
comma),
adeguandolo
alle
indicazioni
che
più
volte
sono
state
oggetto
di
prescrizione
dalla
commissione
GRECO
(Groupe
d’États
contre
la
corruption
del
Consiglio
d’Europa);
2)
ripristino,
nell’articolo
317
del
codice
penale
(concussione
per
costrizione),
dell’equiparazione
tra
pubblico
ufficiale
e
incaricato
di
pubblico
servizio,
perché
non
ha
senso
punire
soltanto
il
primo,
quando
lo
stesso
comportamento
può
essere
posto
in
essere
da
un
concessionario
di
un
servizio
pubblico
(RAI,
ENI,
personale
sanitario,
eccetera)
con
effetti
parimenti
devastanti
sull’etica
dei
rapporti;
3)
abrogazione
del
secondo
comma
dell’articolo
319-‐quater
del
codice
penale
(corruzione
per
induzione)
che
prevede
la
condanna
fino
a
tre
anni
di
coloro
che
danno
o
promettono
utilità.
In
sostanza
si
propone
di
eliminare
la
punibilità
del
privato
vittima
degli
abusi
del
pubblico
ufficiale
e
dell’incaricato
di
pubblico
servizio.
È
ben
noto
che
gli
inquirenti,
specie
nei
casi
di
illegalità
diffusa,
sistemica,
qualificata
come
ambientale,
hanno
talvolta
usato
la
concussione
al
posto
della
corruzione
in
modo
da
trattare
da
vittime
i
corruttori
privati
e
così
ottenerne
la
piena
collaborazione,
trasformando
il
reato
in
istituto
premiale.
Tralasciata
questa
forzata
interpretazione
della
norma,
non
v’è
dubbio
che
la
recente
riforma
(che
punisce
anche
il
privato
concusso)
non
può
che
costituire
un’ulteriore
remora
a
far
emergere
quelle
condotte
di
concussione,
poste
in
essere
con
minacce
implicite,
omissioni,
ritardi
ingiustificati,
ricorso
alla
frode,
all’inganno
e
all’induzione
in
errore.
Pertanto
se,
come
prevede
l’articolo
319-‐quater,
si
è
in
presenza
non
di
meri
silenzi,
allusioni,
ammiccamenti
o
sospiri,
ma
di
un
concreto
abuso
dei
poteri
o
della
qualità
da
parte
del
pubblico
ufficiale
o
dell’incaricato
di
pubblico
servizio,
causalmente
collegato
all’induzione,
alla
dazione
o
all’indebita
promessa
di
danaro
o
altra
utilità,
non
si
vede
perché
il
privato,
sopraffatto,
prevaricato,
intimidito
da
un
serio
e
concreto
metus
publicae
potestatis,
da
vera
vittima,
debba
diventare
imputabile
come
una
sorta
di
mezzo
complice,
compartecipe
alla
lesione
del
bene
protetto
(il
buon
andamento
e
l’imparzialità
della
pubblica
amministrazione),
e
perciò
punito
con
una
pena
più
mite
(reclusione
fino
a
tre
anni).
Il
risultato
sarà
che
il
mezzo
complice
preferirà
non
denunziare
il
suo
aguzzino.
Se
è
certamente
auspicabile
che
i
privati
non
cedano
a
qualsiasi
pressione
di
funzionari
pubblici,
appare
intollerabile
punire
autentiche
vittime,
indotte
a
dazioni
o
promesse
abusivamente
sollecitate
pur
di
vedere
riconosciuti
i
propri
diritti
e
senza
conseguire
alcun
vantaggio.
Al
contrario,
il
privato
che
si
inserisce
volontariamente
in
ambienti
del
genere,
ne
accetta
supinamente
le
regole,
si
determina
alla
dazione
a
prescindere
da
qualsiasi
comportamento
oppressivo,
e
per
conseguire
un
vantaggio,
non
può
che
essere
ritenuto
complice
dell’accordo
corruttivo.
Peraltro
la
non
punibilità
del
privato
per
il
reato
di
concussione
per
induzione
produrrà
l’effetto
di
far
rientrare
nuovamente
in
detto
reato
i
casi
di
frode
e
di
abusiva
induzione
in
errore,
non
ipotizzabili
con
la
disciplina
vigente;
4)
elevazione,
nell’articolo
346-‐bis
(traffico
di
influenze
illecite),
della
pena,
che
viene
equiparata
a
quella
per
il
reato
base
di
millantato
credito.
In
effetti
chi
si
avvale
illecitamente
dell’influenza
che
ha
presso
un
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