Page 52 - Microsoft Word - AntiCorruzione.doc
P. 52
nella
storia
dei
delitti
di
falso
in
bilancio,
questo
è
quello
che
è
avvenuto
dinanzi
alla
Commissione
ed
è
chiaro
che,
a
prescindere
dalla
previsione
di
un
autore
proprio,
tipico,
la
norma
di
cui
all'articolo
110
del
codice
penale,
che
disciplina
il
concorso
di
più
persone
nel
reato,
rende
applicabile
queste
norme
a
chiunque
sia
stato,
ciò
nonostante,
concorrente
nel
fatto
proprio
e
tipico
del
soggetto
espressamente
evocato
dalla
disposizione
legislativa.
Per
dire
qualcosa
di
molto
sintetico
sulla
struttura
della
norma
(mi
riferisco
all'articolo
2621,
ma
le
stesse
cose
si
potrebbero
dire
con
riferimento
all'articolo
2622),
essa
si
caratterizza
per
una
componente
di
dolo
specifico,
caratteristica
di
reati
che,
a
prescindere
da
una
struttura
di
pericolo,
sono
comunque
eventualmente
funzionali
ad
offendere
interessi
patrimoniali.
Tant'è
che
c'è
un
dolo
specifico:
«al
fine
di
conseguire
per
sé
o
per
altri
un
ingiusto
profitto».
Essa
si
caratterizza
col
fatto
che
le
informazioni
e
le
comunicazioni
sociali
non
possono
essere
qualsivoglia
informazioni,
ma
soltanto
quelle
tipicamente
previste
dalla
legge.
Questo
nel
rispetto
di
quel
principio
di
tassatività
e
di
determinatezza
che
contrassegna
il
volto
costituzionale
dell'illecito
penale.
La
norma
è
poi
costruita
nella
doppia
forma
dell'azione
o
dell'omissione
perfettamente
equivalente:
«espongono
ovvero
omettono».
E
cosa
devono
esporre
ovvero
omettere
di
esporre?
Si
parla
di:
«fatti
materiali
rilevanti».
Questa
espressione
del
legislatore
potrebbe
sembrare
enfatica
e
caratterizzata,
sostanzialmente,
da
superfetazioni.
Si
potrebbe
dire
che
il
fatto
è
inevitabilmente
materiale,
e
forse
questa
obiezione
potrebbe
meritare
una
contro
obiezione.
Ma
si
dice:
«rilevanti»,
e
il
relatore
si
permette
di
dare
una
sua
interpretazione
funzionale,
essendo
il
termine
"rilevanti"
volto
a
garantire
il
profilo
di
offensività.
Sappiamo
che
l'offesa
si
costruisce
in
relazione
al
danno,
come
anche
al
pericolo.
Quindi,
un
fatto
materiale
è
rilevante
allorquando
non
è
un
fatto
inidoneo
ad
offendere
l'interesse
giuridicamente
protetto,
ancorché
formalmente
corrispondente
al
tipo.
In
ciò
permettendosi
il
relatore
di
evocare
una
questione
storica,
tradizionale,
che
fa
parte
della
esperienza
di
ogni
penalista:
il
problema,
trattato
reiteratamente
anche
dalla
Corte
costituzionale,
della
necessaria
offensività
delle
condotte
di
rilevanza
penalistica,
da
determinarsi
anche
in
presenza
di
una
loro
apparente
corrispondenza
al
tipo.
Quindi,
il
legislatore,
attraverso
questa
formula
(che
ad
un
osservatore
distratto
potrebbe
sembrare
enfatica,
ripetitiva,
caratterizzata
da
superfetazioni),
vuole
sottolineare
che
i
fatti
inoffensivi,
le
valutazioni,
i
fatti
che
in
sostanza
non
sono
in
grado
neanche
di
innescare
la
categoria
del
pericolo,
si
pongono
al
di
fuori
dell'ambito
della
punibilità.
La
Commissione
(ma
prima
ancora
il
Governo)
ha
pensato
ad
una
circostanza
attenuante:
il
fatto
di
lieve
entità
punito
con
una
pena
che
va
da
uno
a
tre
anni
di
reclusione,
al
contrario
della
ipotesi
tipica,
punita
con
una
pena
che
va
da
uno
a
cinque
anni
di
reclusione.
Questa
scelta
legislativa
non
è
una
scelta
casuale.
Essa
gioca
un
ruolo
specifico
(potremmo
definirlo
insostituibile),
perché
lega
il
delitto
di
cui
all'articolo
2621
al
problema
della
tenuità
del
fatto
e,
quindi,
a
quella
causa
di
non
punibilità.
Io
qui
uso
un
termine
atecnico,
generalizzante,
sotto
il
quale,
storicamente,
si
pongono
tutta
una
serie
di
fenomeni
caratterizzati
dalla
non
punibilità,
ma
nettamente
diversificati
l'uno
dall'altro.
La
causa
di
non
punibilità
è
prevista,
per
come
noi
sappiamo
(e
anche
questa
sarà
una
questione
che
verrà
trattata
in
Aula),
ed
è
stata
pubblicata
sulla
Gazzetta
Ufficiale
della
Repubblica
proprio
ieri.
La
ammissibilità
di
tale
causa
di
non
punibilità
è
prevista,
sostanzialmente,
solo
per
i
delitti
puniti
con
una
pena
compresa
fino
ai
cinque
anni
di
reclusione.
52