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51 della legge n. 247/2012 il codice deontologico deve prevedere doveri e regole di condotta e le infrazioni a tali doveri e a tali regole di condotta costituiscono certamente illecito disciplinare dal momento che “sono sottoposte al giudizio dei consigli distrettuali di disciplina”. Ai sensi poi dell'art. 17 della stessa legge, il codice deontologico deve prevedere “canoni” che impongono una “condotta” “irreprensibile”, requisito necessario per l'iscrizione all'albo e per mantenere detta iscrizione. Ai sensi dell’art. 3 infine, come visto, il codice deontologico deve prevedere “principi” ai quali l’avvocato deve uniformarsi esercitando la professione e “norme di comportamento” che è tenuto ad osservare in via generale (oltre a quelle che è tenuto ad osservare specificamente nei rapporti con certi soggetti).
La violazione di tutti i doveri (art. 51 L. n. 247/2012), di tutte le regole di condotta (art. 51), di tutti i canoni (art. 17 L. n. 247/2012), di tutti i principi (art. 3 L. n. 247/2012) e di tutte le norme di comportamento previste dal codice deontologico forense costituisce quindi illecito disciplinare.
Il codice deve poi espressamente individuare fra le norme in esso contenute quelle che devono essere caratterizzate, per quanto possibile, dall’osservanza del principio della tipizzazione della condotta e che devono contenere l’espressa indicazione della sanzione applicabile. Tali norme sono quelle che rispondono alla tutela di un pubblico interesse al corretto esercizio della professione. Vero è che risulta altresì opportuno ribadire quanto sopra già anticipato e cioè che tutte le norme che presiedono alla deontologia della funzione difensiva (se si eccettuano forse solo alcune che hanno ad oggetto lo stretto perimetro del rapporto privatistico avvocato/cliente e quello dei rapporti tra colleghi) si coniugano con la tutela del pubblico interesse ad un idoneo, qualificato e corretto esercizio della professione; così è in particolare per quelle che, in relazione all’agire dell’avvocato, assicurano la salvaguardia dei doveri di indipendenza, lealtà, probità, dignità, decoro, diligenza e competenza, doveri tutti che il comma 2 dell’art. 3 della legge n. 247/2012 richiama con diretta saldatura al “rilievo sociale della difesa” ed al rispetto dei “principi della corretta e leale concorrenza”.
Ed è sempre l’ordinamento professionale che sottolinea e declina il pubblico interesse al corretto esercizio della professione con previsioni quali: - l’art. 1, comma 2 lettere a), b) e c), per il quale “l’ordinamento forense, stante la specificità della funzione difensiva e in considerazione della primaria rilevanza giuridica e sociale dei diritti alla cui tutela essa è preposta:
a) regolamenta l’organizzazione e l’esercizio della professione di avvocato e, nell’interesse pubblico, assicura la idoneità professionale degli iscritti onde garantire la tutela degli interessi individuali e collettivi sui quali essa incide; b) garantisce l’indipendenza e l’autonomia degli avvocati, indispensabili condizioni dell’effettività della difesa e della tutela dei diritti;
c) tutela l’affidamento della collettività e della clientela, prescrivendo l’obbligo della correttezza dei comportamenti e la cura della qualità ed efficacia della prestazione professionale.”
	
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