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- l’inversione, rispetto all’attuale codice, tra il titolo II (rapporti con i colleghi) ed il III (rapporti con il cliente e la parte assistita) nel senso di dare precedenza a quest’ultimo rispetto all’altro (Alpa, Appunti sul progetto di codice deontologico degli avvocati italiani, in Rass. for., 1/1997, 172 ss., già si interrogava sulla “ragione della collocazione di questo titolo nel corpus delle regole subito a seguire i principi generali, mentre le regole riguardanti i clienti sono poste in chiusura: più opportunamente, il cod. europeo colloca le regole inerenti i clienti al secondo posto”);
- la previsione di un nuovo titolo (il IV) riservato ai doveri dell’avvocato nel processo; si è ritenuto di riunire in questo ambito tutte quelle previsioni deontologiche che attengono alla tipicità della funzione difensiva (e la sottolineatura assume anche un valore ideologico) e che risultavano in qualche modo disperse in diverse parti dell’attuale codice; è stato un modo per recuperare anche le regole che sovraintendono ai rapporti con i magistrati e con gli altri operatori del processo senza sottolineare, anche in questo caso con una sottile venatura sempre di ordine ideologico, un dovere ed un rapporto spesso “a senso unico”; è questo un titolo che rafforza ed esalta la valenza pubblicistica del corredo deontologico dell’avvocato e che conforta ulteriormente la scelta adottata dal Consiglio e della quale si è dato conto nella premessa della presente relazione;
- la previsione ancora di un ulteriore nuovo titolo (il VI) dedicato ai doveri verso le Istituzioni forensi alla luce del rafforzamento che vi è stato del rapporto avvocato/istituzione nell’ambito della legge n. 247/2012; - la scelta di riunire e raccogliere nell’ambito del codice deontologico le varie disposizioni di carattere disciplinare che si rinvengono vuoi nella legge n. 247/2012 vuoi, con un fenomeno che si è andato accentuando negli ultimi tempi, in ambiti di legislazione speciale, con lo Stato che sembra divenire la fonte della normazione deontologica attentando così all’autonomia dell’ordinamento forense come unica fonte di norme deontologiche; si tratta di casi nei quali, salvando l’autonomia delle due sfere, quella ordinamentale e quella statuale, le singole “norme devono... ritenersi fonte, se violate, di responsabilità disciplinare, che però non deriva dalla violazione di una norma deontologica” (così Perfetti, Ordinamento e deontologia forensi, Padova 2011, 100 ss.).
La bozza del nuovo codice si compone di settantatre (73) articoli raccolti in sette (7) titoli: il primo (artt. 1-22) individua i principi generali; il secondo (artt. 23-37) è riservato ai rapporti con il cliente e la parte assistita; il terzo (artt. 38-45) si occupa dei rapporti tra colleghi; il quarto (artt. 46-62) attiene ai doveri dell’avvocato nel processo; il quinto (artt. 63-68) concerne i rapporti con terzi e controparti; il sesto (artt. 69-72) concerne i rapporti con le Istituzioni forensi; il settimo (art. 73) contiene la disposizione finale.
➤ La tipizzazione “per quanto possibile” delle condotte. I lavori preparatori del codice del 1997 già evidenziavano che “nella sua struttura, il Codice opera una sintesi tra la necessità di indicare i principi generali e al contempo di tipicizzare i comportamenti costituenti violazioni deontologiche [...] ed in tal modo l’astrattezza dei principi è temperata dalla tipicizzazione dei comportamenti [...] che individuano le fattispecie concrete
	
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