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da
legittimo
impedimento
tempestivamente
conosciuto,
per
cui
provvede
l'art.
486,
comma
5,
già
sopra
richiamato)
di
non
poter
dare
alla
semplice
assenza
del
difensore
altra
conseguenza
se
non
quella
della
designazione
immediata
di
un
sostituto:
al
quale
peraltro
sono
assegnati
gli
stessi
diritti
e
doveri
del
sostituto
di
cui
all'art.
102,
e
cioè
di
un
soggetto
al
quale
nessuno
ha
mai
inteso
riconoscere
un
autonomo
diritto
al
termine
per
preparare
la
difesa.
Egli
rappresenta
il
difensore
a
tutti
gli
effetti
e
la
legge
ne
presume
la
preparazione
adeguata.
Queste,
in
sintesi,
le
ragioni
per
le
quali
deve
ritenersi
valida
l'interpretazione
dell'art.
108
fornita
dall'ordinanza
del
giudice
rimettente
e
non
è
viceversa
accettabile
la
soluzione
interpretativa
proposta
dall'Avvocatura
dello
Stato.
Mentre
una
interpretazione
estensiva
della
nozione
di
abbandono,
come
già
rilevato,
non
è
proposta
neanche
dall'Avvocatura,
un
ricorso
analogico
è
da
escludersi
per
mancata
esistenza
di
una
ratio
comune
all'ipotesi
dell'assenza
e
a
quelle
espressamente
contemplate
nell'art.
108.
4.
-‐
Così
delineato
per
sommi
capi
il
quadro
normativo
vigente,
deve
ora
prendersi
in
esame
la
questione
di
legittimità
costituzionale
dell'art.
108
sollevata
dal
Pretore
di
Napoli
sotto
il
duplice
profilo
della
lesione
del
principio
di
eguaglianza
e
della
lesione
del
diritto
di
difesa
giudiziaria.
L'art.
3
della
Costituzione
è
richiamato
dall'ordinanza
del
giudice
rimettente
sotto
un
duplice
aspetto:
per
la
comparazione
con
situazioni
definite
analoghe
a
quella
dell'assenza
del
difensore,
come
la
rinuncia,
e
per
la
comparazione
con
i
termini
per
la
difesa
previsti
per
il
rito
direttissimo:
dieci
giorni
nel
giudizio
davanti
al
tribunale
o
alla
corte
di
assise
(art.
451,
comma
6,
del
codice
di
procedura
penale),
cinque
giorni
nel
giudizio
davanti
al
pretore
(art.
566,
comma
7,
dello
stesso
codice).
Sotto
il
primo
profilo
debbono
invocarsi
considerazioni
simili
a
quelle
svolte,
nel
precedente
paragrafo,
a
proposito
della
ricostruzione
del
sistema
dettato
per
la
sostituzione
del
difensore
assente.
La
semplice
assenza,
non
sorretta
da
un
legittimo
impedimento,
è
istituto
del
tutto
diverso
da
quello
dell'abbandono
della
difesa,
e,
a
maggior
ragione,
da
quello
della
rinuncia,
specificamente
richiamato
come
tertium
comparationis
dal
giudice
a
quo.
E
d'altra
parte
il
sostituto
del
difensore
(non
importa
se
designato
a'
sensi
dell'art.
97,
comma
4,
dal
magistrato
procedente,
o
dal
difensore
di
fiducia
o
d'ufficio
a'
sensi
dell'art.
102)
è
figura
del
tutto
diversa
da
quella
del
nuovo
difensore
designato
nelle
ipotesi
di
rinuncia,
revoca,
incompatibilità
e
abbandono
di
difesa.
Il
primo
è
chiamato
a
partecipare
al
processo
in
surroga
del
difensore
assente,
che
ancora
deve
considerarsi
a
tutti
gli
effetti
difensore
dell'imputato,
come
ripetutamente
riconosciuto
anche
dalla
Corte
di
cassazione,
in
particolare
nella
decisione
più
sopra
ricordata.
Egli
non
è
portatore
di
una
soggettività
difensiva
autonoma,
proprio
perché
il
dominus
della
difesa
non
scompare
dal
processo,
né
di
diritto
(come
nei
casi
di
rinuncia,
revoca
e
incompatibilità)
né
di
fatto,
come
nel
caso
di
abbandono,
per
cui
pure
subentra
un
sostituto
fino
a
che
la
situazione
non
sia
chiarita
o
con
il
rientro
nella
effettività
delle
funzioni
difensive
o
con
la
revoca
o
con
la
rinuncia.
Quello
del
sostituto
è
dunque
un
intervento
estemporaneo
ed
episodico,
fatto
per
sopperire
alle
esigenze
immediate
della
difesa,
e
non
può
essere
paragonato
all'intervento
del
nuovo
difensore
né
a
quello
del
difensore
temporaneamente
sostituito.
Quelle
denunciate
dal
giudice
rimettente
come
situazioni
meritevoli
di
un
medesimo
trattamento
sono
dunque,
invece,
situazioni
del
tutto
eterogenee,
delle
quali
non
sembra
possibile
l'assimilazione:
non
nel
sistema
della
legge,
come
già
visto,
ma
neanche
dal
punto
di
vista
della
legittimità
costituzionale.
Meno
ancora
è
invocabile
il
principio
costituzionale
d'eguaglianza
quando
si
assume
come
tertium
comparationis
il
sistema
previsto
per
i
termini
a
difesa
nel
51