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L'articolo
13
interviene
sul
citato
articolo
310
c.p.p.
relativo
all'appello
avverso
le
ordinanze
che
dispongono
misure
cautelari
personali.
La
norma
integra
la
scarna
formulazione
del
comma
2,
precisando
che
la
decisione
sull'appello
del
tribunale
del
riesame
(entro
20
gg
dalla
ricezione
degli
atti)
sia
assunta
con
ordinanza
depositata
in
cancelleria
entro
30
gg.
dalla
deliberazione.
La
previsione
nasce
dall'esigenza
di
coordinare
la
disciplina
dell'appello
cautelare
con
le
modifiche
apportate
al
riesame,
prevedendo
anche
per
il
primo
un
obbligo
di
depositare
la
motivazione
in
cancelleria
entro
trenta
giorni
(fermo
restando,
però,
che
rimane
estraneo
all'appello
il
meccanismo
sanzionatorio
di
caducazione
della
misura
che
contraddistingue
il
mancato
rispetto
dei
termini
del
riesame).
Gli
articoli
14
e
15
del
testo
novellano
l'articolo
311
c.p.p.
relativo
al
ricorso
per
Cassazione
sulle
ordinanze
che
dispongono
misure
coercitive
(ex
articolo
309)
nonché
su
quelle
emesse
in
sede
di
appello
avverso
ordinanze
in
materia
di
misure
cautelari
personali
(ex
articolo
310
c.p.p.).
L'obiettivo
è
limitare
la
legittimazione
a
ricorrere
in
Cassazione
da
parte
dell'ufficio
del
pubblico
ministero
che
abbia
richiesto
l'adozione
di
una
misura
cautelare
e
che
per
due
volte
(doppia
conforme
negativa)
se
la
sia
vista
rigettare.
Inoltre
si
mira
a
completare
la
disciplina
del
ricorso
per
Cassazione
avverso
le
misure
cautelari.
Allo
stato
della
legislazione
vigente,
infatti,
quando
la
Corte
di
cassazione
annulla
con
rinvio
l'ordinanza
del
tribunale
del
riesame,
gli
atti
vengano
inviati
al
tribunale
distrettuale
ma
senza
che
il
tribunale
sia
nuovamente
vincolato
al
termine
temporale
di
dieci
giorni
per
decidere.
Con
le
modifiche
contenute
nel
testo
si
prevede,
invece,
che,
a
seguito
di
annullamento
con
rinvio,
gli
atti
siano
rinviati
al
tribunale
distrettuale
(il
«tribunale
della
libertà»),
il
quale
deve
decidere
entro
dieci
giorni
e
motivare
entro
trenta
giorni
a
pena
di
caducazione
della
misura
cautelare.
Vi
sono
poi
altri
tipi
di
intervento
che
sono
volti
ad
eliminare
degli
automatismi
che
portano
ad
applicare
necessariamente
la
custodia
cautelare
in
carcere,
quando
invece
il
giudice
nel
caso
concreto
potrebbe
ritenere
opportuno
prevedere
altre
misure.
In
particolare,
gli
articoli
7
e
8
del
testo
in
esame
abrogano,
rispettivamente:
il
comma
1-‐ter
dell'articolo
276
c.p.p.
ovvero
l'obbligo
da
parte
del
giudice
di
revocare
gli
arresti
domiciliari
ed
applicare
la
custodia
in
carcere
in
caso
di
trasgressione
del
divieto
di
allontanarsi
dalla
propria
abitazione;
il
comma
5-‐bis
dell'articolo
284
c.p.p.
che
preclude
al
giudice
la
concessione
degli
arresti
domiciliari
al
condannato
per
evasione
nei
5
anni
precedenti
al
fatto
per
il
quale
si
procede.
L'articolo
1,
invece,
ha
una
portata
più
che
altro
di
coordinamento
interno
al
codice,
in
quanto
la
sostituzione
al
primo
comma
del
termine
«persona
sottoposta
alle
indagini»
con
quello
di
«imputato»
è
puramente
terminologica,
poiché
le
garanzie
che
si
applicano
all'imputato
valgono
anche
per
la
persona
sottoposta
ad
indagini
(articolo
61
c.p.p).
Per
quanto
attiene
al
parere
espresso
dalle
altre
Commissioni,
si
ricorda
che
la
Commissione
Affari
Costituzionali
ha
espresso,
il
5
dicembre,
parere
favorevole
sul
provvedimento
con
due
osservazioni.
La
prima,
riferita
all'articolo
6,
comma
1,
del
testo,
chiede
alla
Commissione
Giustizia
di
valutare
l'opportunità
di
modificare
il
secondo
periodo
del
comma
3
dell'articolo
275
c.p.p.,
prevedendo
che
–
in
osservanza
della
giurisprudenza
costituzionale
–
la
presunzione
di
sola
idoneità
della
custodia
in
carcere
per
i
reati
di
cui
agli
artt.
416-‐bis,
270
e
270-‐bis
del
codice
penale
fosse
corroborata
dall'assunzione
di
elementi
specifici
in
relazione
al
caso
concreto.
Su
questo
punto
si
richiama
quanto
già
espresso
in
merito.
Vi
è
forse
una
ulteriore
considerazione
da
fare
alla
luce
della
giurisprudenza
costituzionale:
eliminare
la
presunzione
assoluta
di
meritevolezza
della
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