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Presidente,
l'Assemblea
è
da
oggi
chiamata
ad
esaminare,
in
seconda
lettura,
il
provvedimento
recante
modifiche
al
codice
di
procedura
penale
in
materia
di
misure
cautelari
personali.
Dunque,
un
provvedimento
particolarmente
importante
ed
atteso,
come
si
evince
anche
dal
dibattito
registratosi
sia
in
questo
ramo
del
Parlamento
sia
in
Senato,
poiché,
appunto,
quello
della
custodia
cautelare
è
un
istituto
che
incide
sul
bene
supremo
di
ogni
cittadino,
la
libertà
personale,
e
dunque
ogni
intervento
che
il
legislatore
si
preoccupa
di
promuovere
in
questa
materia
deve
essere
espressione
di
un
bilanciamento
equilibrato
tra
le
esigenze
di
sicurezza
della
collettività
e
la
tutela,
come
ricordavo
prima,
del
bene
fondamentale,
che
è
quello,
appunto,
della
libertà.
Il
codice
di
procedura
penale
già
stabilisce,
nella
formulazione
vigente,
che
nessuno
può
essere
sottoposto
a
misure
cautelari
se
a
suo
carico
non
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza,
e
dunque
devono
essere
accertate
in
concreto
delle
esigenze
previste
specificamente,
quali
il
pericolo
che
l'indagato
commetta
un
altro
reato,
che
possa
inquinare
le
prove
o
che
possa
darsi
alla
fuga.
Inoltre,
si
prevede
che
la
custodia
cautelare
in
carcere
possa
essere
disposta
solamente
in
merito
a
reati
di
una
certa
gravità,
individuati
in
base
alla
pena
edittale,
con
l'eccezione
di
quei
reati,
come
il
finanziamento
illecito
dei
partiti,
che,
anche
se
puniti
con
pena
inferiore,
sono
comunque
considerati
di
particolare
gravità.
A
fronte
di
questa
disciplina
legislativa,
che
sembrerebbe
relegare
la
custodia
cautelare
ad
una
misura
residuale
ed
eccezionale,
vi
sono
i
dati,
che
non
esitiamo
a
definire
drammatici,
dell'applicazione
concreta
della
misura.
Sono
dati
che
tutti
conosciamo,
sui
quali,
lungamente
e
in
tante
occasioni,
il
Parlamento
e
le
Commissioni
si
sono
soffermati,
e,
soprattutto,
sono
avvertiti
dall'opinione
pubblica
come
una
distorsione
del
sistema,
e
dunque
la
necessità
di
approntare
dei
correttivi,
capaci
di
ricondurre
l'istituto
nell'alveo
di
quella
che
è
la
sua
dimensione
fisiologica.
Il
provvedimento
è
diretto
a
disciplinare
l'istituto,
quindi,
sulla
base
di
principi
di
adeguatezza
e
di
proporzionalità,
affinché
vengano
temperati
gli
usi
distorti,
gli
abusi,
insomma,
tutte
le
occasioni
che
hanno
provocato
dibattiti
e
critiche,
per
quanto
riguarda
anche
l'operato
di
alcune
procure.
Per
raggiungere
questo
obiettivo,
la
Commissione
giustizia,
in
prima
lettura,
ha
acquisito
i
lavori
della
commissione
ministeriale
di
studio
in
tema
di
nuovo
processo
penale,
e
anche
il
contributo
di
numerose
associazioni
e
istituzioni,
a
partire
dalle
camere
penali
italiane.
Dell'intero
intervento,
una
disposizione
che
può
essere
considerata
d'importanza
primaria,
dunque
una
norma
che
potremmo
definire
cardine,
è
l'articolo
3
che
modifica
il
primo
periodo
del
comma
3
dell'articolo
275
del
codice
di
procedura
penale,
secondo
il
quale
la
custodia
cautelare
in
carcere
può
essere
disposta
soltanto
quando
ogni
altra
misura
risulti
inadeguata.
Il
testo
della
Camera
non
è
stato
modificato
dal
Senato,
l'innovazione
consiste
nel
prevedere
la
possibilità
di
applicazione
cumulativa
di
misure
coercitive
o
interdittive,
valorizzandosi
in
questo
modo
il
principio
dell'estrema
ratio
della
custodia
cautelare,
offrendo,
cioè,
al
giudice
un
più
ampio
ventaglio
di
alternative
al
carcere,
rendendo
più
concreto
il
principio
di
residualità
della
restrizione
carceraria.
E,
dunque,
proprio
al
fine
di
consentire
al
giudice
l'uso
di
una
pluralità
di
strumenti,
e
quindi
la
possibilità
di
ricorrere
in
maniera
adeguata
a
misure
diverse
dalla
custodia
in
carcere,
si
è
intervenuti
significativamente
sulle
misure
interdittive:
in
particolare
con
l'articolo
10,
peraltro
modificato
dal
Senato
nel
corso
dell'esame
di
sua
competenza,
si
interviene
sull'articolo
308
del
codice
di
procedura
penale
che
prevede
i
termini
di
durata
sia
delle
misure
coercitive
diverse
dalla
custodia
cautelare,
sia
delle
misure
interdittive.
La
finalità
dell'intervento
è
103