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realizzare
una
semplificazione
del
procedimento
probatorio
suggerita
da
aspetti
ricorrenti
del
fenomeno
criminoso
considerato,
ma
comunque
superabile
da
elementi
di
segno
contrario
–
non
eccede,
per
contro,
i
limiti
di
compatibilità
costituzionale,
rimanendo
per
tale
verso
non
censurabile
l’apprezzamento
legislativo
circa
la
ordinaria
configurabilità
di
esigenze
cautelari
nel
grado
più
intenso.
6.
–
Conformemente
a
quanto
sostenuto
dai
giudici
rimettenti,
le
considerazioni
dianzi
ricordate
valgono,
con
gli
opportuni
adattamenti,
anche
in
rapporto
al
delitto
di
omicidio
volontario.
Nonostante
l’indiscutibile
gravità
del
fatto
–
la
quale
peserà
opportunamente
nella
determinazione
della
pena
inflitta
all’autore,
quando
ne
sia
riconosciuta
in
via
definitiva
la
colpevolezza
–
anche
nel
caso
dell’omicidio,
la
presunzione
assoluta
di
cui
si
discute
non
può
considerarsi,
in
effetti,
rispondente
a
un
dato
di
esperienza
generalizzato,
ricollegabile
alla
«struttura
stessa»
e
alle
«connotazioni
criminologiche»
della
figura
criminosa.
Non
si
è,
difatti,
al
cospetto
di
un
reato
che
implichi
o
presupponga
necessariamente
un
vincolo
di
appartenenza
permanente
a
un
sodalizio
criminoso
con
accentuate
caratteristiche
di
pericolosità
–
per
radicamento
nel
territorio,
intensità
dei
collegamenti
personali
e
forza
intimidatrice
–
vincolo
che
solo
la
misura
più
severa
risulterebbe,
nella
generalità
dei
casi,
in
grado
di
interrompere.
Al
contrario,
l’omicidio
può
bene
essere,
e
sovente
è,
un
fatto
meramente
individuale,
che
trova
la
sua
matrice
in
pulsioni
occasionali
o
passionali.
I
fattori
emotivi
che
si
collocano
alla
radice
dell’episodio
criminoso
possono
risultare,
in
effetti,
correlati
a
speciali
contingenze
–
come,
ad
esempio,
per
i
fatti
commessi
in
risposta
a
specifici
comportamenti
lato
sensu
provocatori
della
vittima
–
ovvero
a
tensioni
maturate,
in
tempi
più
o
meno
lunghi,
nell’ambito
di
particolari
contesti,
da
quello
familiare
a
quello
dei
rapporti
socio-‐ economici.
Evenienze,
queste,
che
–
stando
alla
ricostruzione
operata
dal
giudice
a
quo
–
ricorrerebbero
puntualmente
nella
vicenda
sulla
quale
è
chiamato
a
pronunciarsi
il
Tribunale
di
Lecce,
in
cui
il
fatto
delittuoso
oggetto
di
contestazione
si
connoterebbe
come
episodio
«a
carattere
reattivo
a
fronte
di
una
lunga
storia
di
violenze
subite»
dall’imputata,
nell’ambito
di
una
relazione
affettiva
in
dissoluzione.
Di
conseguenza,
in
un
numero
tutt’altro
che
marginale
di
casi,
le
esigenze
cautelari
–
pur
non
potendo
essere
completamente
escluse
–
sarebbero
suscettibili
di
trovare
idonea
risposta
anche
in
misure
diverse
da
quella
carceraria,
che
valgano
a
neutralizzare
il
“fattore
scatenante”
o
ad
impedirne
la
riproposizione:
e
così,
anzitutto,
quanto
ai
fatti
legati
a
particolari
contesti,
tramite
misure
che
valgano
comunque
ad
operare
una
forzosa
separazione
da
questi
dell’imputato
o
dell’indagato,
nei
termini
già
evidenziati
dalla
sentenza
n.
265
del
2010.
Donde,
in
conclusione,
la
carenza
di
una
adeguata
“base
statistica”
della
presunzione
assoluta
in
questione,
pure
incidente
sul
valore
primario
della
libertà
personale.
Per
il
resto,
non
può
che
ribadirsi
che
–
contrariamente
a
quanto
sostenuto
dall’Avvocatura
dello
Stato
–
né
il
primario
rilievo
dell’interesse
protetto
dalla
fattispecie
incriminatrice,
né
esigenze
di
contenimento
di
eventuali
situazioni
di
allarme
sociale
possono
per
altro
verso
valere,
di
per
sé,
come
base
di
legittimazione
della
predetta
presunzione
assoluta.
Di
qui,
dunque,
l’esigenza
costituzionale
di
trasformarla
in
presunzione
solo
relativa.
7.
–
L’art.
275,
comma
3,
secondo
e
terzo
periodo,
cod.
proc.
pen.
va
dichiarato,
pertanto,
costituzionalmente
illegittimo
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
cui
all’art.
575
cod.
pen.,
è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
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