Page 155 - Microsoft Word - Libertas.doc
P. 155
limiti
minimi
indispensabili
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
riconoscibili
nel
caso
concreto.
Ciò
impegna
il
legislatore,
da
una
parte,
a
strutturare
il
sistema
cautelare
secondo
il
modello
della
“pluralità
graduata”,
predisponendo
una
gamma
alternativa
di
misure,
connotate
da
differenti
gradi
di
incidenza
sulla
libertà
personale;
dall’altra,
a
prefigurare
meccanismi
“individualizzanti”
di
selezione
del
trattamento
cautelare,
coerenti
e
adeguati
alle
esigenze
configurabili
nelle
singole
fattispecie
concrete.
Questo
insieme
di
indicazioni
costituzionali
trova
puntuale
espressione
nella
disciplina
generale
dettata
dal
codice
di
procedura
penale.
A
fronte
della
tipizzazione
di
un
“ventaglio”
di
misure,
di
gravità
crescente
(artt.
281-‐285),
il
criterio
di
«adeguatezza»
(art.
275,
comma
1)
–
dando
corpo
al
principio
del
«minore
sacrificio
necessario»
–
impone,
difatti,
al
giudice
di
scegliere
la
misura
meno
afflittiva
tra
quelle
astrattamente
idonee
a
tutelare
le
esigenze
cautelari
ravvisabili
nel
caso
concreto.
Da
tali
coordinate
si
discosta
vistosamente
la
disciplina
dettata
dal
secondo
e
dal
terzo
periodo
del
comma
3
dell’art.
275
cod.
proc.
pen.
–
inserita
tramite
una
serie
di
interventi
novellistici
–
la
quale
stabilisce,
rispetto
ai
soggetti
raggiunti
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
taluni
delitti,
una
duplice
presunzione:
relativa,
quanto
alla
sussistenza
delle
esigenze
cautelari;
assoluta,
quanto
alla
scelta
della
misura,
reputando
il
legislatore
adeguata,
ove
la
presunzione
relativa
non
risulti
vinta,
unicamente
la
custodia
cautelare
in
carcere,
senza
alcuna
possibile
alternativa.
Proprio
per
i
marcati
profili
di
scostamento
rispetto
al
regime
ordinario,
la
disciplina
derogatoria
–
riferita,
ai
suoi
esordi,
ad
un
ampio
ed
eterogeneo
parco
di
figure
criminose
–
era
stata
circoscritta,
a
partire
dal
1995
e
in
una
prospettiva
di
recupero
delle
garanzie,
ai
soli
procedimenti
per
delitti
di
mafia
in
senso
stretto
(art.
5,
comma
1,
della
legge
8
agosto
1995,
n.
332,
recante
«Modifiche
al
codice
di
procedura
penale
in
tema
di
semplificazione
dei
procedimenti,
di
misure
cautelari
e
di
diritto
di
difesa»).
In
tali
limiti,
essa
aveva
superato
il
vaglio
tanto
di
questa
Corte
(ordinanza
n.
450
del
1995),
che
della
Corte
europea
dei
diritti
dell’uomo
(sentenza
6
novembre
2003,
Pantano
contro
Italia).
Entrambe
le
Corti
avevano,
infatti,
in
vario
modo
valorizzato
la
specificità
dei
predetti
delitti,
la
cui
connotazione
strutturale
astratta
(come
reati
associativi
entro
un
contesto
di
criminalità
organizzata
di
tipo
mafioso,
o
come
reati
a
questo
comunque
collegati)
valeva
a
rendere
«ragionevoli»
le
presunzioni
in
questione,
e
segnatamente
quella
di
adeguatezza
della
sola
custodia
carceraria:
trattandosi,
in
sostanza,
della
misura
più
idonea
a
neutralizzare
il
periculum
libertatis
connesso
al
verosimile
protrarsi
dei
contatti
tra
imputato
ed
associazione.
Con
l’intervento
novellistico
del
2009
(art.
2,
comma
1,
lettere
a
e
a-‐bis,
del
decreto-‐legge
n.
11
del
2009,
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
n.
38
del
2009),
il
legislatore
ha
compiuto
«un
“salto
di
qualità”
a
ritroso»,
riespandendo
l’ambito
di
applicazione
della
disciplina
eccezionale
a
numerose
altre
fattispecie
penali,
in
larga
misura
eterogenee
fra
loro
quanto
a
oggettività
giuridica
(fatta
eccezione
per
i
delitti
“a
sfondo
sessuale”),
struttura
e
trattamento
sanzionatorio.
5.2.
–
Ciò
premesso,
questa
Corte
ha
ribadito,
nella
citata
sentenza
n.
265
del
2010,
che
«le
presunzioni
assolute,
specie
quando
limitano
un
diritto
fondamentale
della
persona,
violano
il
principio
di
eguaglianza,
se
sono
arbitrarie
e
irrazionali,
cioè
se
non
rispondono
a
dati
di
esperienza
generalizzati,
riassunti
nella
formula
dell’id
quod
plerumque
accidit.
In
particolare,
l’irragionevolezza
della
presunzione
assoluta
si
coglie
tutte
le
volte
in
cui
sia
“agevole”
formulare
ipotesi
di
accadimenti
reali
contrari
alla
generalizzazione
posta
a
base
della
presunzione
stessa
(sentenza
n.
139
del
2010)».
Sotto
tale
profitto,
ai
delitti
a
sfondo
sessuale
allora
in
discussione
non
poteva
estendersi
la
ratio
giustificativa
del
regime
derogatorio
già
155