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praticabilità
–
prospettata
dalla
difesa
–
di
un’estensione
in
via
analogica
all’omicidio
volontario
della
norma
risultante
dalla
sentenza
di
questa
Corte
n.
265
del
2010,
riferita
esclusivamente
ai
delitti
di
cui
agli
artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐bis
e
609-‐ quater
cod.
pen.:
donde
la
rilevanza
della
questione.
Quanto
alla
non
manifesta
infondatezza,
il
giudice
a
quo
svolge
argomentazioni
del
tutto
analoghe
a
quelle
del
Tribunale
di
Lecce.
In
particolare,
assume
che
neppure
in
rapporto
all’omicidio
volontario
sarebbe
ravvisabile
la
ratio
ritenuta
idonea
a
giustificare
la
censurata
presunzione
assoluta
con
riguardo
ai
delitti
di
mafia.
Per
quanto
gravi,
i
fatti
che
integrano
il
delitto
punito
dall’art.
575
cod.
pen.
presenterebbero
disvalori
ampiamente
differenziabili
e,
soprattutto,
potrebbero
manifestare
esigenze
cautelari
affrontabili
con
misure
diverse
dalla
custodia
carceraria.
Ben
diversa
può
essere,
infatti,
l’intensità
del
dolo
dell’omicida
–
da
quello
eventuale
o
alternativo
a
quello
premeditato
–
così
come
marcatamente
dissimili
possono
risultare
le
stesse
condotte
costitutive
del
reato,
trattandosi
di
fattispecie
a
forma
libera;
laddove,
al
contrario,
già
sotto
il
profilo
strutturale
il
delitto
di
associazione
a
delinquere
di
stampo
mafioso
è
a
dolo
specifico
e
a
condotta
vincolata.
2.2.
–
È
intervenuto
il
Presidente
del
Consiglio
dei
ministri,
rappresentato
e
difeso
dall’Avvocatura
generale
dello
Stato,
chiedendo
che
la
questione
sia
dichiarata
non
fondata.
Richiamando
l’ordinanza
n.
450
del
1995
di
questa
Corte,
la
difesa
dello
Stato
assume
che,
nel
caso
di
specie,
la
scelta
legislativa
di
imporre,
in
presenza
di
esigenze
cautelari,
la
misura
carceraria
non
può
essere
considerata
irragionevole,
ove
si
consideri
che
il
delitto
di
omicidio
offende
il
bene
fondamentale,
di
rilevanza
costituzionale,
della
vita.
La
norma
censurata
non
lederebbe
neppure
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
essendo
stato
rispettato
il
principio
della
riserva
di
legge
in
materia
di
provvedimenti
restrittivi
della
libertà
personale.
Né,
da
ultimo,
si
comprenderebbe
come
detta
norma
possa
essere
ritenuta
incompatibile
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza
dell’imputato,
sancita
dall’art.
27
Cost.
Considerato
in
diritto
1.
–
Il
Tribunale
di
Lecce
e
il
Giudice
per
le
indagini
preliminari
del
Tribunale
di
Milano
dubitano
della
legittimità
costituzionale
dell’art.
275,
comma
3,
del
codice
di
procedura
penale,
come
modificato
dall’art.
2
del
decreto-‐legge
23
febbraio
2009,
n.
11
(Misure
urgenti
in
materia
di
sicurezza
pubblica
e
di
contrasto
alla
violenza
sessuale,
nonché
in
tema
di
atti
persecutori),
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38,
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
cui
all’art.
575
del
codice
penale
(omicidio
volontario),
è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
caso
concreto,
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
I
rimettenti
reputano
estensibili
ai
procedimenti
relativi
al
delitto
di
omicidio
le
ragioni
che
hanno
indotto
questa
Corte,
con
la
sentenza
n.
265
del
2010,
a
dichiarare
costituzionalmente
illegittima
la
norma
censurata,
nei
termini
dianzi
indicati,
con
riferimento
a
taluni
delitti
a
sfondo
sessuale
(artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐bis
e
609-‐ quater
cod.
pen.).
Al
pari
di
tali
delitti,
neanche
il
reato
di
omicidio
potrebbe
essere
infatti
assimilato,
sotto
il
profilo
in
esame,
ai
delitti
di
mafia,
relativamente
ai
quali
tanto
questa
Corte
che
la
Corte
europea
dei
diritti
dell’uomo
hanno
ritenuto
giustificabile
la
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere,
sancita
dalla
norma
censurata.
Per
quanto
gravi,
i
fatti
che
integrano
il
delitto
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