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delitti
di
mafia
o
di
criminalità
organizzata,
quanto
in
relazione
a
reati
a
sfondo
sessuale,
quali
l’induzione
alla
prostituzione
minorile,
la
pornografia
minorile
o
le
iniziative
turistiche
volte
allo
sfruttamento
della
prostituzione
minorile.
Di
ciò
sarebbe
puntuale
riprova
il
caso
oggetto
del
giudizio
a
quo,
che,
al
momento
dell’entrata
in
vigore
dell’art.
2
del
decreto-‐ legge
n.
11
del
2009,
vedeva
l’imputata
agli
arresti
domiciliari
per
effetto
di
provvedimento
emesso
in
sede
di
impugnazione
cautelare
e
non
censurato
dal
pubblico
ministero,
in
quanto
coinvolta
in
una
vicenda
«tanto
grave
quanto
triste,
maturata
in
un
contesto
sociale,
culturale
ed
affettivo
molto
degradato».
L’imputata
si
sarebbe,
infatti,
legata
sentimentalmente
a
un
pericoloso
e
violento
pregiudicato
(la
vittima
dell’omicidio),
che
per
anni
l’avrebbe
costretta
a
prostituirsi,
lucrando
sui
proventi
di
tale
attività.
Avendo
quindi
conosciuto
il
coimputato,
avrebbe
cercato
invano
di
«emanciparsi»
dal
precedente
compagno,
il
quale,
anziché
rassegnarsi
alla
nuova
relazione,
avrebbe
compiuto
gravi
atti
di
intimidazione,
diretta
e
indiretta,
contro
l’imputata
e
il
rivale.
In
tale
prospettiva,
le
medesime
ragioni
che
hanno
indotto
la
Corte
a
dichiarare
costituzionalmente
illegittimo
l’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
con
riferimento
ai
delitti
di
cui
agli
artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐bis
e
609-‐quater
cod.
pen.
giustificherebbero,
e
a
più
forte
ragione,
analoga
declaratoria
di
illegittimità
costituzionale
in
rapporto
all’omicidio.
1.4.
–
L’Avvocatura
dello
Stato
ha
depositato
memoria
illustrativa,
con
la
quale
ha
eccepito
l’inammissibilità
della
questione
per
difetto
di
motivazione
sulla
rilevanza,
assumendo
che
il
giudice
a
quo
avrebbe
omesso
di
verificare
la
concreta
sussistenza,
nel
caso
di
specie,
delle
esigenze
cautelari,
la
cui
presenza
comunque
condiziona,
ai
sensi
della
norma
denunciata,
l’applicazione
della
misura
carceraria
nei
confronti
della
persona
raggiunta
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
il
reato
di
omicidio.
Nel
merito,
la
difesa
dello
Stato
ribadisce
l’insussistenza
della
denunciata
violazione
dei
principi
di
eguaglianza
e
di
ragionevolezza,
tenuto
conto
della
gravità
del
reato
di
cui
si
discute,
lesivo
del
supremo
bene
della
vita.
Parimenti
infondata
sarebbe
la
censura
di
violazione
dell’art.
13
Cost.,
giacché
la
norma
denunciata
rispetta
tanto
la
riserva
di
legge,
quanto
la
riserva
di
giurisdizione
in
esso
previste.
Inconferente
risulterebbe,
infine,
il
riferimento
alla
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.),
trattandosi
di
parametro
estraneo
–
in
base
alle
indicazioni
della
giurisprudenza
costituzionale
–
all’assetto
delle
misure
cautelari
restrittive
della
libertà
personale,
che
operano
su
un
piano
distinto
da
quello
della
condanna
e
della
pena.
2.1.
–
Identica
questione
di
legittimità
costituzionale
è
sollevata
dal
Giudice
per
le
indagini
preliminari
del
Tribunale
di
Milano,
con
ordinanza
del
1°
ottobre
2010.
Il
giudice
a
quo
è
chiamato
a
pronunciarsi
sull’istanza
di
sostituzione
della
misura
della
custodia
cautelare
in
carcere
con
gli
arresti
domiciliari,
presentata
il
28
settembre
2010
dal
difensore
dell’imputato,
condannato
in
primo
grado
a
dieci
anni
di
reclusione
per
concorso
in
omicidio
volontario:
istanza
motivata
con
la
sensibile
attenuazione
delle
esigenze
cautelari,
in
considerazione
della
decisiva
collaborazione
prestata
dall’imputato
all’autorità
inquirente
e
della
sua
«sicura
resipiscenza».
Ad
avviso
del
rimettente
–
conformemente
al
parere
espresso
dal
pubblico
ministero
–
le
esigenze
cautelari
dovrebbero
ritenersi
effettivamente
attenuate,
anche
se
non
completamente
cessate,
così
da
poter
essere
soddisfatte
con
la
misura
meno
costrittiva
richiesta
dalla
difesa.
All’accoglimento
dell’istanza
osterebbe,
tuttavia,
la
presunzione
iuris
et
de
iure
di
adeguatezza
della
sola
custodia
cautelare
in
carcere
sancita
dal
vigente
testo
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
Andrebbe,
infatti,
esclusa
la
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