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punito
dall’art.
575
cod.
pen.
presenterebbero
disvalori
ampiamente
differenziabili,
sia
sul
piano
della
condotta
(trattandosi
di
reato
a
forma
libera)
che
su
quello
dell’elemento
psicologico
–
come
attesterebbero
i
casi
dell’omicidio
commesso
con
dolo
eventuale
o
d’impeto,
o
per
reazione
all’altrui
provocazione,
ovvero,
ancora,
per
motivi
di
particolare
valore
morale
o
sociale
–
e,
soprattutto,
potrebbero
bene
proporre
esigenze
cautelari
affrontabili
con
misure
diverse
dalla
custodia
carceraria.
La
presunzione
censurata
verrebbe,
di
conseguenza,
a
porsi
in
contrasto
–
conformemente
a
quando
deciso
dalla
citata
sentenza
n.
265
del
2010
–
con
i
principi
di
eguaglianza
e
di
ragionevolezza
(art.
3
Cost.)
e
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.),
nonché
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.).
2.
–
Le
ordinanze
di
rimessione
propongono
questioni
identiche,
sicché
i
relativi
giudizi
vanno
riuniti
per
essere
definiti
con
unica
decisione.
3.
–
L’eccezione
di
inammissibilità
per
difetto
di
motivazione
sulla
rilevanza,
formulata
dall’Avvocatura
dello
Stato
in
rapporto
alla
questione
proposta
dal
Tribunale
di
Lecce,
non
è
fondata.
A
prescindere
da
ogni
altra
considerazione
–
connessa
al
fatto
che,
in
base
alla
norma
denunciata,
la
sussistenza
delle
esigenze
cautelari
è
oggetto
di
presunzione
relativa,
e
che,
con
l’appello
cautelare
di
cui
il
rimettente
è
investito
(soggetto
all’ordinario
principio
devolutivo:
art.
597
cod.
proc.
pen.),
il
difensore
non
risulta
aver
mosso
contestazioni
sul
punto
–
è
dirimente
il
rilievo
che,
contrariamente
a
quanto
assume
la
difesa
dello
Stato,
il
giudice
a
quo
ha
comunque
motivato
in
ordine
alla
configurabilità,
nel
caso
di
specie,
del
periculum
libertatis.
Il
rimettente
ha,
infatti,
richiamato
la
propria
ordinanza
del
19
settembre
2008
(emessa
in
accoglimento
di
precedente
impugnazione
della
difesa),
con
la
quale
aveva
ritenuto
che
le
esigenze
cautelari
–
pure
ravvisabili
–
di
cui
all’art.
274,
comma
1,
lettera
c),
cod.
proc.
pen.
potevano
essere
soddisfatte
con
gli
arresti
domiciliari,
precisando
che
tale
valutazione
resta
tuttora
valida,
non
essendo
sopravvenuti
nuovi
elementi
di
ordine
fattuale.
4.
–
Nel
merito,
la
questione
è
fondata.
5.
–
Con
la
sentenza
n.
265
del
2010,
questa
Corte
ha
già
dichiarato
costituzionalmente
illegittima
la
norma
censurata,
nella
parte
in
cui
sancisce
una
presunzione
assoluta
–
anziché
soltanto
relativa
–
di
adeguatezza
della
sola
custodia
in
carcere
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
nei
confronti
della
persona
raggiunta
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
taluni
delitti
a
sfondo
sessuale:
in
particolare,
per
i
reati
di
induzione
o
sfruttamento
della
prostituzione
minorile,
violenza
sessuale
e
atti
sessuali
con
minorenne
(artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐ bis
e
609-‐quater
cod.
pen.).
5.1.
–
Nell’occasione,
la
Corte
ha
rilevato
come
i
limiti
di
legittimità
delle
misure
cautelari
–
nell’ambito
della
cui
disciplina
si
colloca
la
disposizione
scrutinata
–
risultino
espressi,
a
fronte
del
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.)
–
oltre
che
dalle
riserve
di
legge
e
di
giurisdizione
(art.
13,
secondo
e
quarto
comma,
Cost.)
–
anche
e
soprattutto
dalla
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.),
a
fronte
della
quale
le
restrizioni
della
libertà
personale
dell’indagato
o
dell’imputato
nel
corso
del
procedimento
debbono
assumere
connotazioni
nitidamente
differenziate
da
quelle
della
pena,
irrogabile
solo
dopo
l’accertamento
definitivo
della
responsabilità.
Ulteriore
indefettibile
corollario
dei
principi
costituzionali
di
riferimento
è
che
la
disciplina
della
materia
debba
essere
ispirata
al
criterio
del
«minore
sacrificio
necessario»
(sentenza
n.
295
del
2005):
la
compressione
della
libertà
personale
dell’indagato
o
dell’imputato
va
contenuta,
cioè,
entro
i
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