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sostanze:
reati
per
i
quali,
con
sentenza
del
16
giugno
2010,
emessa
a
seguito
di
giudizio
abbreviato,
ella
era
stata
condannata
in
primo
grado
alla
pena
di
nove
anni
di
reclusione.
A
sostegno
dell’istanza,
il
difensore
aveva
dedotto
che
le
esigenze
cautelari,
legate
al
pericolo
di
commissione
di
reati
analoghi,
dovevano
ritenersi
cessate
o
quantomeno
affievolite,
alla
luce
di
un
complesso
di
circostanze:
quali,
in
specie,
l’«efficacia
deterrente»
del
lungo
periodo
di
detenzione
fino
ad
allora
patito
dall’imputata,
la
sua
incensuratezza,
il
comportamento
sostanzialmente
collaborativo
da
lei
tenuto
nel
corso
del
processo
e
l’esigenza
di
riallacciare
i
rapporti
con
i
figli
minori,
interrotti
dall’inizio
della
carcerazione
preventiva.
Il
difensore
aveva
prodotto,
altresì,
la
dichiarazione
di
disponibilità
del
responsabile
di
un
istituto
religioso
ad
accogliere
l’imputata
in
regime
di
arresti
domiciliari.
Ad
avviso
del
giudice
a
quo,
gli
elementi
addotti
dalla
difesa,
seppure
inidonei
a
dimostrare
il
venir
meno
delle
esigenze
cautelari,
sarebbero
comunque
indicativi
di
una
loro
significativa
attenuazione:
ciò,
anche
alla
luce
delle
peculiarità
della
vicenda
concreta,
che
aveva
visto
il
vincolo
associativo
svilupparsi
in
un
ambito
«sostanzialmente
familiare»
e
in
un
periodo
nel
quale
quasi
tutti
gli
associati
erano
anche
consumatori
di
sostanze
stupefacenti.
Le
evidenziate
circostanze
farebbero
ritenere,
in
specie,
che
il
periculum
libertatis
possa
essere
adeguatamente
fronteggiato
con
la
misura
degli
arresti
domiciliari
in
un
luogo
diverso
da
quello
in
cui
le
condotte
criminose
si
erano
sviluppate,
quale
l’istituto
religioso
indicato
dal
difensore.
All’accoglimento
dell’istanza
osterebbe,
tuttavia,
la
preclusione,
introdotta
dalla
novella
legislativa
modificativa
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
in
forza
della
quale,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
una
serie
di
reati,
–
tra
cui
quello
di
associazione
finalizzata
al
traffico
illecito
di
sostanze
stupefacenti
o
psicotrope
(evocato
tramite
il
rinvio
all’art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.)
–
«è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari».
Tale
disposizione,
secondo
il
corrente
orientamento
della
giurisprudenza
di
legittimità,
dovrebbe
trovare
applicazione
–
in
forza
del
principio
tempus
regit
actum,
trattandosi
di
norma
processuale
–
anche
in
rapporto
alle
misure
cautelari
da
adottare
per
i
fatti
delittuosi
commessi
–
come
nel
caso
di
specie
–
anteriormente
alla
data
di
entrata
in
vigore
della
novella
legislativa.
Il
rimettente
dubita,
tuttavia,
della
legittimità
costituzionale
della
norma
denunciata,
in
riferimento
agli
artt.
3,
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
Cost.
Al
riguardo,
il
giudice
a
quo
rileva
come
questa
Corte,
con
la
sentenza
n.
265
del
2010,
abbia
già
dichiarato
costituzionalmente
illegittimo
l’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
per
contrasto
con
gli
indicati
parametri
costituzionali,
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
ai
delitti
di
cui
agli
artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐bis
e
609-‐ quater
cod.
pen.,
è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
caso
concreto,
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
Con
la
pronuncia
ora
ricordata
–
il
cui
iter
argomentativo
viene
ampiamente
ripercorso
nell’ordinanza
di
rimessione
–
la
Corte
avrebbe
individuato
precisi
limiti
entro
i
quali
la
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
custodia
in
carcere
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
–
sancita
dalla
norma
censurata
in
deroga
ai
principi
generali
regolativi
della
materia
–
può
ritenersi
compatibile
con
il
dettato
costituzionale.
Si
tratterebbe,
da
un
lato,
di
limiti
negativi
derivanti
dalla
presunzione
di
non
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