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nella
sottoposizione
alla
disciplina
stabilita
all’art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.:
disposizione
alla
quale
–
come
accennato
–
la
norma
censurata
preliminarmente
rinvia
al
fine
di
individuare
i
delitti
soggetti
allo
speciale
regime
cautelare
di
cui
si
discute.
Per
corrente
rilievo,
infatti,
la
predetta
disciplina
risponde
a
una
logica
distinta
ed
eccentrica
rispetto
a
quella
sottesa
alla
disposizione
sottoposta
a
scrutinio.
Il
richiamato
art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.
prevede
una
deroga
all’ordinaria
regola
(recata
dal
comma
3
dello
stesso
articolo
ed
espressione
del
cosiddetto
principio
di
accessorietà)
che
vorrebbe
attribuite
le
funzioni
di
indagine,
di
esercizio
dell’azione
penale
e
di
sostegno
dell’accusa
nei
procedimenti
di
primo
grado
all’ufficio
del
pubblico
ministero
presso
il
giudice
competente,
devolvendole
a
quello
presso
il
tribunale
del
capoluogo
del
distretto
nel
cui
ambito
ha
sede
il
giudice
competente.
Si
tratta
di
norma
ispirata
da
ragioni
di
opportunità
organizzativa
degli
uffici
del
pubblico
ministero,
anche
in
relazione
alla
tipicità
e
alla
qualità
delle
tecniche
di
indagine
richieste
da
taluni
reati,
ma
che
non
consentono
inferenze
in
materia
di
esigenze
cautelari,
tantomeno
al
fine
di
omologare
quelle
relative
a
tutti
procedimenti
per
i
quali
quella
deroga
è
stabilita.
Ne
è
evidente
riprova
l’eterogeneità
della
lista
delle
fattispecie
criminose
cui
la
norma
stessa
fa
riferimento,
che
già
primo
visu
evidenzia
come
il
relativo
criterio
di
selezione
non
consista
affatto
in
una
particolare
“qualità”
del
periculum
libertatis.
Detta
lista
–
mentre
non
include,
ad
esempio,
l’associazione
per
delinquere
finalizzata
a
commettere
rapine
a
mano
armata
o
estorsioni
–
abbraccia
invece
figure
quali
l’associazione
finalizzata
al
contrabbando
di
tabacchi
lavorati
esteri
(art.
291-‐quater
del
d.P.R.
23
gennaio
1973,
n.
43,
recante
«Approvazione
del
testo
unico
delle
disposizioni
legislative
in
materia
doganale»)
o
l’associazione
diretta
a
commettere
i
delitti
di
cui
agli
artt.
473
e
474
cod.
pen.,
in
materia
di
contraffazione
di
marchi
o
altri
segni
distintivi
e
di
commercio
di
prodotti
con
segni
mendaci
(ciò
a
seguito
dell’interpolazione
dell’art.
51,
comma
3-‐bis,
cod.
proc.
pen.
operata
dall’art.
15,
comma
4,
della
legge
23
luglio
2009,
n.
99,
recante
«Disposizioni
per
lo
sviluppo
e
l’internazionalizzazione
delle
imprese,
nonché
in
materia
di
energia»).
4.3.
–
Contrariamente
a
quanto
assume
l’Avvocatura
dello
Stato,
la
presunzione
assoluta
censurata
non
può
neppure
rinvenire,
da
ultimo,
la
sua
base
di
legittimazione
costituzionale
nella
gravità
astratta
del
delitto
associativo
che
qui
viene
in
rilievo,
desumibile
dalla
severità
della
pena
edittale,
o
nell’esigenza
di
eliminare
o
ridurre
situazioni
di
allarme
sociale,
correlate
alla
pericolosità
della
diffusione
del
traffico
e
del
consumo
di
sostanze
stupefacenti
rispetto
a
beni
quali
l’ordine
pubblico
e
la
salute
individuale.
A
tale
riguardo,
non
si
può,
infatti,
che
ribadire
quanto
già
affermato
da
questa
Corte
nelle
precedenti
pronunce
sul
tema
(sentenze
n.
164
del
2011
e
n.
265
del
2010).
In
primo
luogo,
cioè,
che
la
gravità
astratta
del
reato,
considerata
in
rapporto
alla
misura
della
pena
o
alla
natura
dell’interesse
protetto,
è
elemento
significativo
in
sede
di
giudizio
di
colpevolezza,
particolarmente
ai
fini
della
determinazione
della
sanzione,
ma
inidoneo
a
fungere
da
elemento
preclusivo
della
verifica
del
grado
delle
esigenze
cautelari
e
all’individuazione
della
misura
concretamente
idonea
a
farvi
fronte.
In
secondo
luogo,
poi,
che
il
contenimento
dell’allarme
sociale
causato
dal
reato
non
può
essere
annoverato
tra
le
finalità
della
custodia
cautelare,
costituendo
una
funzione
istituzionale
della
pena,
perché
presuppone
la
certezza
circa
il
responsabile
del
delitto
che
ha
provocato
l’allarme.
5.
–
Alla
luce
delle
considerazioni
che
precedono,
la
presunzione
assoluta
sancita
dalla
norma
censurata
va
dunque
trasformata,
anche
in
rapporto
al
delitto
oggetto
dell’odierno
scrutinio,
in
presunzione
solo
relativa.
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