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protetto
sia
dai
reati
a
sfondo
sessuale
presi
in
considerazione
da
tale
pronuncia
sia
dal
delitto
di
cui
all’art.
609-‐octies
cod.
pen.
La
Corte
di
cassazione
aveva
annullato
con
rinvio
l’ordinanza
del
Tribunale
del
riesame,
ritenendo,
in
particolare,
illogica
la
motivazione
relativa
all’insussistenza
dei
gravi
indizi
di
colpevolezza
nei
confronti
di
uno
degli
indagati.
Investito
nuovamente,
a
seguito
del
rinvio
disposto
dalla
Corte
di
cassazione,
il
giudice
rimettente,
da
un
lato,
sottolinea
la
sussistenza
dei
gravi
indizi
di
colpevolezza
nei
confronti
dell’indagato
per
il
quale
la
precedente
decisione
li
aveva
esclusi
e,
dall’altro,
conferma
la
valutazione
circa
l’adeguatezza
della
misura
degli
arresti
domiciliari
già
applicata
agli
altri
indagati
in
sostituzione
della
custodia
cautelare
in
carcere
originariamente
disposta.
Al
riguardo
il
Tribunale
del
riesame
osserva
che
la
misura
degli
arresti
domiciliari
«restringendo
l’indagato
in
un
ambito
familiare/coniugale,
comportando
già
un
pregnante
controllo
del
soggetto
e
la
preclusione
di
ogni
situazione
extraconiugale,
appare
già
adeguata
a
neutralizzare
del
tutto
il
pericolo
di
reiterazione
di
reati
della
stessa
specie
di
quelli
per
i
quali
si
procede».
Con
riferimento
a
quest’ultimo
profilo,
però,
il
giudice
del
riesame
ritiene
che
non
sia
più
possibile
un’interpretazione
costituzionalmente
orientata
dell’art.
275
cod.
proc.
pen.,
come
quella
adottata
dalla
Corte
di
cassazione
(terza
sezione
penale,
n.
4377
del
20
gennaio
2012),
secondo
cui
la
presunzione
prevista
dall’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
anche
per
il
delitto
di
violenza
sessuale
di
gruppo
dovrebbe
essere
interpretata
alla
luce
della
sentenza
n.
265
del
2010
della
Corte
costituzionale,
sicché
il
giudice
avrebbe
l’obbligo
di
valutare
anche
rispetto
a
tale
delitto
se
siano
stati
acquisiti
elementi
specifici
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
Infatti,
sottolinea
il
giudice
a
quo,
la
successiva
sentenza
della
Corte
costituzionale
n.
110
del
2012
ha
affermato
che
la
lettera
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.
non
consente
di
conseguire
in
via
interpretativa
l’effetto
che
solo
una
pronuncia
di
illegittimità
costituzionale
può
produrre.
Rivalutati
sia
il
quadro
cautelare
sia
l’idoneità
e
l’adeguatezza
della
misura
cautelare
applicata
agli
indagati,
il
giudice
rimettente
mette
in
luce
la
rilevanza
della
questione
di
legittimità
costituzionale
dell’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
nella
parte
in
cui
per
il
delitto
di
cui
all’art.
609-‐octies
cod.
pen.
prevede
una
presunzione
assoluta
di
adeguatezza
della
sola
misura
cautelare
della
custodia
in
carcere.
La
questione
stessa
sarebbe,
inoltre,
non
manifestamente
infondata
in
riferimento
agli
artt.
3,
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
Cost.:
estesa
dall’art.
2,
comma
1,
del
decreto-‐legge
n.
11
del
2009,
la
presunzione
in
esame,
osserva
il
rimettente,
è
stata
oggetto
di
varie
pronunce
di
illegittimità
costituzionale.
Pienamente
estensibili
alla
fattispecie
in
esame
sarebbero
le
motivazioni
addotte
dalla
Corte
costituzionale
con
tali
pronunce
e,
in
particolare,
con
la
sentenza
n.
265
del
2010
(in
considerazione
dell’omogeneità
del
bene
protetto
dalle
norme
relative
ai
reati
sessuali
oggetto
di
questa
sentenza
rispetto
al
delitto
di
violenza
sessuale
di
gruppo,
per
il
quale
si
procede
nel
giudizio
a
quo):
la
norma
censurata
sarebbe,
quindi,
in
contrasto
con
i
princìpi
di
uguaglianza
e
di
ragionevolezza
(art.
3
Cost.),
con
il
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.)
e
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.),
che
«portano
ad
individuare
nel
“minor
sacrificio
necessario”
il
criterio
che
deve
informare
la
materia
delle
misure
cautelari
personali
e
a
considerare
che
le
restrizioni
della
libertà
personale
dell’indagato
o
dell’imputato
nel
corso
del
procedimento
debbono
assumere
connotazioni
chiaramente
differenziate
da
quelle
della
pena».
Considerato
in
diritto
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