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comma
3,
cod.
proc.
pen.
è
il
delitto
di
cui
all’art.
609-‐octies
cod.
pen.
(violenza
sessuale
di
gruppo),
assoggettato,
come
le
altre
figure
delittuose
indicate,
al
regime
cautelare
speciale
salvo
che
ricorrano
le
circostanze
attenuanti
contemplate
dalle
relative
disposizioni.
Con
la
sentenza
n.
265
del
2010,
questa
Corte
ha
già
dichiarato
l’illegittimità
costituzionale
della
disposizione
censurata,
nella
parte
in
cui
configura
una
presunzione
assoluta
–
anziché
relativa
–
di
adeguatezza
della
sola
custodia
in
carcere
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
nei
confronti
della
persona
raggiunta
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
i
reati
di
induzione
alla
prostituzione
minorile
o
di
favoreggiamento
o
sfruttamento
della
stessa,
di
violenza
sessuale
e
di
atti
sessuali
con
minorenne
(artt.
600-‐bis,
primo
comma,
609-‐bis
e
609-‐quater
cod.
pen.).
Ad
analoga
declaratoria
di
illegittimità
costituzionale
questa
Corte
è
poi
pervenuta
nei
riguardi
della
medesima
disposizione,
nella
parte
in
cui
assoggetta
a
presunzione
assoluta
anche
il
delitto
di
omicidio
volontario
(sentenza
n.
164
del
2011),
il
delitto
di
associazione
finalizzata
al
traffico
illecito
di
sostanze
stupefacenti
o
psicotrope
(sentenza
n.
231
del
2011),
il
delitto
di
associazione
per
delinquere
realizzato
allo
scopo
di
commettere
i
delitti
previsti
dagli
artt.
473
e
474
cod.
pen.
(sentenza
n.
110
del
2012)
e
i
delitti
commessi
avvalendosi
delle
condizioni
previste
dall’art.
416-‐bis
cod.
pen.
ovvero
al
fine
di
agevolare
l’attività
delle
associazioni
previste
dallo
stesso
articolo
(sentenza
n.
57
del
2013).
Inoltre,
questa
Corte
ha
dichiarato
l’illegittimità
costituzionale
dell’art.
12,
comma
4-‐bis,
del
d.lgs.
n.
286
del
1998,
recante
una
disciplina
analoga
a
quella
contenuta
nell’art.
275,
comma
3,
secondo
e
terzo
periodo,
cod.
proc.
pen.
(sentenza
n.
331
del
2011).
Nelle
decisioni
richiamate,
è
stato
rilevato
come,
alla
luce
dei
principi
costituzionali
di
riferimento
–
segnatamente,
il
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.)
e
la
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.)
–
la
disciplina
delle
misure
cautelari
debba
essere
ispirata
al
criterio
del
«minore
sacrificio
necessario»:
la
compressione
della
libertà
personale
deve
essere,
pertanto,
contenuta
entro
i
limiti
minimi
indispensabili
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
del
caso
concreto.
Ciò
impegna
il
legislatore,
da
una
parte,
a
strutturare
il
sistema
cautelare
secondo
il
modello
della
«pluralità
graduata»,
predisponendo
una
gamma
di
misure
alternative,
connotate
da
differenti
gradi
di
incidenza
sulla
libertà
personale,
e,
dall’altra,
a
prefigurare
criteri
per
scelte
«individualizzanti»
del
trattamento
cautelare,
parametrate
sulle
esigenze
configurabili
nelle
singole
fattispecie
concrete.
A
questi
canoni
si
conforma
la
disciplina
generale
del
codice
di
procedura
penale,
basata
sulla
tipizzazione
di
un
«ventaglio»
di
misure
di
gravità
crescente
(articoli
da
281
a
285)
e
sulla
correlata
enunciazione
del
principio
di
«adeguatezza»
(art.
275,
comma
1),
in
applicazione
del
quale
il
giudice
è
tenuto
a
scegliere
la
misura
meno
afflittiva
tra
quelle
astrattamente
idonee
a
soddisfare
le
esigenze
cautelari
ravvisabili
nel
caso
concreto
e,
conseguentemente,
a
far
ricorso
alla
misura
“massima”
(la
custodia
cautelare
in
carcere)
solo
quando
ogni
altra
misura
risulti
inadeguata
(art.
275,
comma
3,
primo
periodo).
Da
tali
coordinate
si
discosta
vistosamente
la
disciplina
dettata
dal
secondo
e
dal
terzo
periodo
del
comma
3
dell’art.
275
cod.
proc.
pen.,
che
stabilisce,
rispetto
ai
soggetti
raggiunti
da
gravi
indizi
di
colpevolezza
per
taluni
delitti,
una
duplice
presunzione,
relativa,
quanto
alla
sussistenza
delle
esigenze
cautelari,
e
assoluta,
quanto
alla
scelta
della
misura,
reputando
il
legislatore
adeguata,
ove
la
presunzione
relativa
non
risulti
vinta,
unicamente
la
custodia
cautelare
in
carcere,
senza
alcuna
possibile
alternativa.
A
tale
proposito,
questa
Corte
ha
ribadito
che
«le
presunzioni
assolute,
specie
quando
limitano
un
diritto
fondamentale
della
persona,
violano
il
principio
di
eguaglianza,
se
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