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risulterebbe,
nella
generalità
dei
casi,
in
grado
di
interrompere»
(sentenza
n.
164
del
2011).
Né
può
argomentarsi,
nel
senso
della
legittimità
della
presunzione
assoluta
in
questione,
sulla
base
del
carattere
necessariamente
plurisoggettivo
del
delitto
di
violenza
sessuale
di
gruppo.
Questa
Corte,
infatti,
ha
già
affermato,
come
si
è
ricordato,
l’illegittimità
costituzionale
del
regime
cautelare
speciale
di
cui
all’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
in
relazione
ad
alcune
fattispecie
associative
(sentenze
n.
110
del
2012,
n.
231
del
2011),
mentre
ha
ritenuto
«assistita
da
adeguato
fondamento
razionale
la
presunzione
de
qua
in
rapporto
al
delitto
di
associazione
di
tipo
mafioso»,
sottolineando
che
esso
è
«normativamente
connotato
–
di
riflesso
a
un
dato
empirico-‐sociologico
–
come
quello
in
cui
il
vincolo
associativo
esprime
una
forza
di
intimidazione
e
condizioni
di
assoggettamento
e
di
omertà,
che
da
quella
derivano,
per
conseguire
determinati
fini
illeciti.
Caratteristica
essenziale
è
proprio
tale
specificità
del
vincolo,
che,
sul
piano
concreto,
implica
ed
è
suscettibile
di
produrre,
da
un
lato,
una
solida
e
permanente
adesione
tra
gli
associati,
una
rigida
organizzazione
gerarchica,
una
rete
di
collegamenti
e
un
radicamento
territoriale
e,
dall’altro,
una
diffusività
dei
risultati
illeciti,
a
sua
volta
produttiva
di
accrescimento
della
forza
intimidatrice
del
sodalizio
criminoso»
(sentenza
n.
231
del
2011).
È
di
tutta
evidenza
la
profonda
differenza
tra
il
paradigma
punitivo
ritenuto
idoneo
a
giustificare
la
presunzione
assoluta
in
esame
e
la
connotazione
normativa
del
delitto
di
cui
all’art.
609-‐octies
cod.
pen.,
in
relazione
al
quale
la
giurisprudenza
di
legittimità
ha
chiarito
la
differenza
tra
la
nozione
di
gruppo
e
quella
di
associazione,
quest’ultima
ricollegabile
al
requisito
della
apposita
creazione
di
una
organizzazione,
sia
pure
minima
e
rudimentale
(Corte
di
cassazione,
terza
sezione
penale,
sentenza
3
giugno
1999,
n.
11541).
Se
alla
differenza
della
nozione
di
gruppo
rispetto
a
quella
di
organizzazione
–
quest’ultima,
peraltro,
ancora
insufficiente,
di
per
sé
sola,
ad
assicurare
la
tenuta
costituzionale
della
presunzione
in
esame
–
si
aggiunge
la
considerazione
che,
per
consolidato
orientamento
della
giurisprudenza
di
legittimità,
il
delitto
di
cui
all’art.
609-‐octies
cod.
pen.
può
perfezionarsi
anche
con
il
concorso
di
due
sole
persone,
ossia
con
un
numero
di
partecipi
inferiore
a
quello
necessario
alla
configurazione
di
qualsiasi
figura
di
associazione
per
delinquere,
emerge
l’inidoneità
della
fattispecie
criminosa
della
violenza
sessuale
di
gruppo
a
rispondere
a
«dati
di
esperienza
generalizzati,
riassunti
nella
formula
dell’id
quod
plerumque
accidit»
(sentenza
n.
139
del
2010),
in
forza
dei
quali
riconoscere
la
legittimità
della
presunzione
assoluta
di
cui
alla
norma
censurata.
È
da
aggiungere
una
considerazione
sulla
sfera
applicativa
della
figura
delittuosa
delineata
dall’art.
609-‐octies
cod.
pen.
per
il
tramite
del
richiamo
agli
atti
sessuali
di
cui
all’art.
609-‐bis
cod.
pen.
L’ampia
portata
di
quest’ultima
fattispecie,
che
è
frutto
della
concentrazione
in
un’unica
norma
incriminatrice
delle
«fattispecie
di
violenza
carnale
e
di
atti
di
libidine
violenti,
rispettivamente
previste
negli
artt.
519
e
521
del
testo
originario
del
codice
penale»
e
che,
pertanto,
abbraccia
«una
gamma
assai
vasta
di
comportamenti,
caratterizzati
dall’idoneità
a
incidere
comunque
sulle
facoltà
della
persona
offesa
di
autodeterminarsi
liberamente
nella
propria
sfera
sessuale»
(sentenza
n.
325
del
2005),
si
riflette
sulla
fattispecie
di
violenza
sessuale
di
gruppo,
ulteriormente
dilatata
dall’inapplicabilità
a
quest’ultima
della
circostanza
attenuante
dei
“casi
di
minore
gravità”
(art.
609-‐bis,
terzo
comma,
cod.
pen.).
Di
conseguenza,
anche
tenendo
conto
dell’esclusione
dal
regime
cautelare
speciale
delle
ipotesi
attenuante
di
cui
all’art.
609-‐octies,
quarto
comma,
cod.
pen.,
vale
a
fortiori
per
il
delitto
di
violenza
sessuale
di
gruppo
il
rilievo
svolto
da
questa
Corte
in
relazione
alla
violenza
sessuale
ex
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