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art.
609-‐bis
cod.
pen.,
ossia
che
la
fattispecie
criminosa
già
in
astratto
comprende
«condotte
nettamente
differenti
quanto
a
modalità
lesive
del
bene
protetto»,
il
che
«rende
anche
più
debole
la
“base
statistica”
della
presunzione
assoluta
considerata»
(sentenza
n.
265
del
2010).
7.–
Deve,
pertanto,
concludersi
che
la
norma
censurata
è
in
contrasto
sia
con
l’art.
3
Cost.,
per
l’irrazionale
assoggettamento
ad
un
medesimo
regime
cautelare
delle
diverse
ipotesi
riconducibili
alla
fattispecie
in
esame
e
per
l’ingiustificata
parificazione
dei
procedimenti
relativi
al
delitto
di
violenza
sessuale
di
gruppo
a
quelli
concernenti
delitti
caratterizzati
dalla
“struttura”
e
dalle
“connotazioni
criminologiche”
tipiche
del
delitto
di
cui
all’art.
416-‐bis
cod.
pen.;
sia
con
l’art.
13,
primo
comma,
Cost.,
quale
referente
fondamentale
del
regime
ordinario
delle
misure
cautelari
privative
della
libertà
personale;
sia,
infine,
con
l’art.
27,
secondo
comma,
Cost.,
in
quanto
attribuisce
alla
coercizione
processuale
tratti
funzionali
tipici
della
pena.
Come
questa
Corte
ha
già
precisato,
ciò
che
vulnera
i
parametri
costituzionali
richiamati
non
è
la
presunzione
in
sé,
ma
il
suo
carattere
assoluto,
che
implica
una
indiscriminata
e
totale
negazione
di
rilevanza
al
principio
del
«minore
sacrificio
necessario».
La
previsione,
invece,
di
una
presunzione
solo
relativa
di
adeguatezza
della
custodia
carceraria
–
atta
a
realizzare
una
semplificazione
del
procedimento
probatorio,
suggerita
da
aspetti
ricorrenti
del
fenomeno
criminoso
considerato,
ma
comunque
superabile
da
elementi
di
segno
contrario
–
non
eccede
i
limiti
di
compatibilità
costituzionale,
rimanendo
per
tale
verso
non
censurabile
l’apprezzamento
legislativo
circa
la
ordinaria
configurabilità
di
esigenze
cautelari
nel
grado
più
intenso
(sentenze
n.
57
del
2013;
n.
110
del
2012;
n.
331,
n.
231
e
n.
164
del
2011;
n.
265
del
2010).
Va,
pertanto,
dichiarata
l’illegittimità
costituzionale
dell’art.
275,
comma
3,
terzo
periodo,
cod.
proc.
pen.,
come
modificato
dall’articolo
2
del
decreto-‐legge
n.
11
del
2009,
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
cui
all’art.
609-‐octies
cod.
pen.,
è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
caso
concreto,
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
per
questi
motivi
LA
CORTE
COSTITUZIONALE
dichiara
l’illegittimità
costituzionale
dell’articolo
275,
comma
3,
terzo
periodo,
del
codice
di
procedura
penale,
come
modificato
dall’articolo
2
del
decreto-‐legge
23
febbraio
2009,
n.
11
(Misure
urgenti
in
materia
di
sicurezza
pubblica
e
di
contrasto
alla
violenza
sessuale,
nonché
in
tema
di
atti
persecutori),
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38,
nella
parte
in
cui
–
nel
prevedere
che,
quando
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza
in
ordine
al
delitto
di
cui
all’articolo
609-‐octies
del
codice
penale,
è
applicata
la
custodia
cautelare
in
carcere,
salvo
che
siano
acquisiti
elementi
dai
quali
risulti
che
non
sussistono
esigenze
cautelari
–
non
fa
salva,
altresì,
l’ipotesi
in
cui
siano
acquisiti
elementi
specifici,
in
relazione
al
caso
concreto,
dai
quali
risulti
che
le
esigenze
cautelari
possono
essere
soddisfatte
con
altre
misure.
Così
deciso
in
Roma,
nella
sede
della
Corte
costituzionale,
Palazzo
della
Consulta,
il
16
luglio
2013.
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