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1.–
Il
Tribunale
di
Salerno,
sezione
riesame,
dubita,
in
riferimento
agli
articoli
3,
13,
primo
comma,
e
27,
secondo
comma,
della
Costituzione,
della
legittimità
costituzionale
dell’articolo
275,
comma
3,
del
codice
di
procedura
penale,
come
modificato
dall’articolo
2
del
decreto-‐legge
23
febbraio
2009,
n.
11
(Misure
urgenti
in
materia
di
sicurezza
pubblica
e
di
contrasto
alla
violenza
sessuale,
nonché
in
tema
di
atti
persecutori),
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
23
aprile
2009,
n.
38,
nella
parte
in
cui
«impone
l’applicazione
della
misura
della
custodia
cautelare
in
carcere»
per
il
delitto
di
violenza
sessuale
di
gruppo
(articolo
609-‐octies
del
codice
penale).
Ad
avviso
del
rimettente
sarebbero
riferibili
anche
alla
fattispecie
in
questione
le
ragioni
che
hanno
indotto
questa
Corte
a
dichiarare
costituzionalmente
illegittima
la
norma
censurata
in
relazione
ad
alcuni
delitti
a
sfondo
sessuale
(sentenza
n.
265
del
2010),
al
delitto
di
omicidio
volontario
(sentenza
n.
164
del
2011)
e
al
delitto
di
associazione
finalizzata
al
traffico
illecito
di
sostanze
stupefacenti
o
psicotrope
(sentenza
n.
231
del
2011),
nonché
la
presunzione
assoluta
prevista
dall’art.
12,
comma
4-‐bis,
del
decreto
legislativo
25
luglio
1998,
n.
286
(Testo
unico
delle
disposizioni
concernenti
la
disciplina
dell’immigrazione
e
norme
sulla
condizione
dello
straniero)
in
relazione
ad
alcune
figure
di
favoreggiamento
delle
immigrazioni
illegali
(sentenza
n.
331
del
2011).
Esclusa
la
praticabilità
di
un’interpretazione
costituzionalmente
orientata,
il
Tribunale
di
Salerno
ritiene
la
norma
censurata
in
contrasto
con
i
princìpi
di
uguaglianza
e
di
ragionevolezza
(art.
3
Cost.),
con
il
principio
di
inviolabilità
della
libertà
personale
(art.
13,
primo
comma,
Cost.)
e
con
la
presunzione
di
non
colpevolezza
(art.
27,
secondo
comma,
Cost.),
princìpi
che
portano
a
individuare
nel
«“minor
sacrificio
necessario”
il
criterio
che
deve
informare
la
materia
delle
misure
cautelari
personali»
e
a
considerare
che
«le
restrizioni
della
libertà
personale
dell’indagato
o
dell’imputato
nel
corso
del
procedimento
debbono
assumere
connotazioni
chiaramente
differenziate
da
quelle
della
pena».
2.–
La
questione
è
fondata
in
riferimento
ai
parametri
evocati
dal
rimettente
e
nei
termini
di
seguito
specificati.
3.–
In
via
preliminare,
deve
rilevarsi
la
correttezza
della
tesi
del
rimettente
che
esclude
la
praticabilità,
nel
caso
in
esame,
di
un’interpretazione
costituzionalmente
orientata
della
norma
sospettata
di
illegittimità
costituzionale.
Infatti,
questa
Corte
ha
più
volte
affermato
che
«l’univoco
tenore
della
norma
segna
il
confine
in
presenza
del
quale
il
tentativo
interpretativo
deve
cedere
il
passo
al
sindacato
di
legittimità
costituzionale»
(sentenza
n.
78
del
2012)
e,
a
proposito
della
presunzione
assoluta
dettata
dall’art.
275,
comma
3,
cod.
proc.
pen.,
ha
già
ritenuto
che
le
parziali
declaratorie
di
illegittimità
costituzionale
della
norma
impugnata,
relative
esclusivamente
ai
reati
oggetto
delle
varie
pronunce,
non
si
possono
estendere
alle
altre
fattispecie
criminose
ivi
disciplinate
(sentenza
n.
110
del
2012).
4.–
La
norma
censurata
è
frutto
della
stratificazione
di
una
serie
di
interventi
legislativi:
particolare
rilievo
è
rivestito
dalla
novella
del
2009
(art.
2,
comma
1,
lettere
a
e
a-‐bis,
del
decreto-‐legge
n.
11
del
2009),
che
ha
esteso
la
disciplina
introdotta
nel
1995
per
i
delitti
di
cui
all’art.
416-‐bis
cod.
pen.
o
commessi
avvalendosi
delle
condizioni
previste
dal
predetto
art.
416-‐bis
ovvero
al
fine
di
agevolare
l’attività
delle
associazioni
previste
dallo
stesso
articolo
(art.
5,
comma
1,
della
legge
8
agosto
1995,
n.
332,
recante
«Modifiche
al
codice
di
procedura
penale
in
tema
di
semplificazione
dei
procedimenti,
di
misure
cautelari
e
di
diritto
di
difesa»)
a
numerose
altre
fattispecie
penali,
tra
le
quali
quelle
individuate
attraverso
il
riferimento
ai
delitti
di
cui
all’art.
51,
commi
3-‐bis
e
3-‐ quater,
cod.
proc.
pen.
Espressamente
previsto
nel
terzo
periodo
dell’art.
275,
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