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§
1.
Legge
16
aprile
2015,
n.
47
Modifiche
al
codice
di
procedura
penale
in
materia
di
misure
cautelari
personali.
Modifiche
alla
legge
26
luglio
1975,
n.
354,
in
materia
di
visita
a
persone
affette
da
handicap
in
situazione
di
gravità
Pubblicata
in
Gazzetta
Ufficiale
n.
94
del
23-‐4-‐2015
Entrata
in
vigore
il
8-‐5-‐2015
Relazione
alla
Camera
On.
ANNA
ROSSOMANDO,
Relatore.
Il
provvedimento
oggi
all'esame
dell'Assemblea
affronta
uno
dei
temi
più
delicati
per
ogni
democrazia:
la
limitazione,
fino
all'azzeramento,
della
libertà
personale
in
assenza
di
una
condanna
definitiva
che
abbia
accertato
la
responsabilità
penale
della
persona
sottoposta
alla
misura.
Compito
del
legislatore
è
procedere
ad
un
attento
bilanciamento
tra
il
diritto
fondamentale
della
libertà
individuale
e
le
esigenze
di
giustizia
a
tutela
della
collettività.
È
quindi
evidente
quanto
sia
necessario
assicurare
una
disciplina
dell'istituto
che
non
dia
spazio
ad
incertezze
applicative,
prevedendo
criteri
tassativi
e
specifici
ai
quali
il
giudice
debba
attenersi.
È
naturalmente
da
tutti
condiviso
l'assunto
secondo
cui
la
disciplina
legislativa
delle
misure
cautelari
deve
essere
del
tutto
compatibile
con
i
principi
costituzionali
ed,
in
particolare,
con
il
principio
di
presunzione
di
innocenza.
Divergenze,
invece,
possono
esservi
nella
individuazione
del
punto
di
equilibrio
tra
diritti
fondamentali
dell'individuo,
da
un
lato,
e
le
esigenze
connesse
all'accertamento
giudiziale
del
reato,
dall'altro.
Nel
cercare
questo
punto
di
equilibrio
si
deve
tenere
conto
–
e
questa
è
stata
la
linea
guida
seguita
dalla
Commissione
–
che
l'adozione
di
una
misura
restrittiva
della
libertà
personale
deve
essere
intesa
come
una
extrema
ratio.
Non
è
sufficiente
che
la
legge
si
muova
in
tal
senso,
è
necessario
che
lo
faccia
in
concreto
anche
il
magistrato
che
applica
la
normativa.
In
effetti,
il
codice
di
procedura
penale
già
stabilisce
che
«nessuno
può
essere
sottoposto
a
misure
cautelari
se
a
suo
carico
non
sussistono
gravi
indizi
di
colpevolezza»
e,
quindi,
che
devono
essere
accertate
in
concreto
delle
esigenze
previste
specificamente,
quali
il
pericolo
che
l'indagato
commetta
un
altro
reato,
che
possa
inquinare
le
prove
o
che
possa
darsi
alla
fuga.
Inoltre
si
prevede
che
la
custodia
cautelare
in
carcere
possa
essere
disposta
solamente
in
merito
a
reati
di
una
certa
gravità,
individuati
in
base
alla
pena
edittale.
Si
stabilisce
espressamente
che
«la
custodia
cautelare
in
carcere
può
essere
disposta
soltanto
quando
ogni
altra
misura
risulti
inadeguata».
A
fronte
di
questa
disciplina
legislativa
che
sembrerebbe
relegare
la
custodia
cautelare
ad
una
misura
residuale
ed
eccezionale
vi
sono
i
dati
drammatici
dell'applicazione
concreta
della
misura.
È
un
dato
allarmante
che
il
40
per
cento
dei
detenuti
sia
in
attesa
di
giudizio.
Tra
costoro
occorre
comunque
distinguere
coloro
che
siano
stati
condannati
in
primo
o
secondo
grado
da
chi
sia
indagato
o
imputato
in
primo
grado.
La
prima
categoria
si
riduce
riducendo
i
tempi
del
processo.
Si
tratta
di
soggetti
che
comunque
sono
stati
condannati.
A
questo
proposito,
ricordo
che
in
molti
Stati
alla
sentenza
di
condanna
di
primo
grado
segue
il
carcere
come
conseguenza
naturale
anche
se
la
sentenza
non
è
ancora
definitiva.
La
seconda
categoria
è
quella
più
delicata
in
quanto
comprende
coloro
che
non
siano
stati
in
alcun
modo
riconosciuti
colpevoli
o
addirittura
rinviati
a
giudizio.
In
Italia
12
mila
detenuti
si
trovano
in
questa
condizione.
Il
provvedimento
approvato
dalla
Commissione
5