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Giustizia
mira
a
rendere
più
stringente
l'attuale
normativa
affinché
il
giudice
debba
ricorrere
alla
custodia
in
carcere
solo
quando
sia
strettamente
necessario.
I
dati
relativi
alla
custodia
cautelare
in
carcere
sono
tanto
allarmanti
da
poter
far
ritenere
che
questa
misura
abbia
oramai
finito
per
assumere
una
valenza
surrogatoria
della
pena
detentiva
che
dovrebbe
essere
conseguenza
di
una
sentenza
definitiva
di
condanna.
La
lunghezza
dei
processi
rende
meno
certa,
e
comunque
molto
ritardata,
l'applicazione
della
sanzione,
per
cui
la
restrizione
cautelare
finisce
per
essere
percepita,
erroneamente,
come
l'unica
vera
pena
capace
di
avere
un
immediato
effetto
deterrente
e
preventivo.
Si
tratta
di
una
stortura
che
può
essere
corretta
non
solo
attraverso
una
rivisitazione
della
disciplina
codicistica
della
custodia
cautelare,
ma
anche
–
anzi,
specialmente
–
intervenendo
sul
processo
rendendolo
conforme
al
principio
costituzionale
della
ragionevole
durata.
Dopo
aver
rilevato
che
nel
dibattito
sulla
custodia
cautelare
vengono
spesso
richiamati
come
coincidenti
il
principio
di
non
colpevolezza
ed
il
principio
di
presunzione
di
innocenza
per
quanto
questi
in
realtà
hanno
un
diverso
significato,
si
sottolinea
come
la
disciplina
dell'istituto
debba
ispirarsi
ai
principi
di
adeguatezza
e
di
proporzionalità
affinché
dell'istituito
non
se
ne
faccia
un
uso
distorto.
A
questo
punto
è
opportuno
fare
un
chiarimento
sulla
ratio
della
proposta
di
legge
in
esame.
La
circostanza
che
il
40
per
cento
dei
detenuti
sia
in
custodia
cautelare
e
che
l'affollamento
delle
carceri
sia
oramai
sempre
più
insostenibile
non
significa
che
l'obiettivo
della
proposta
di
legge
sia
la
riduzione
del
sovraffollamento
carcerario.
Questa
rappresenta
un
effetto
indiretto
per
quanto
estremamente
importante
del
raggiungimento
dell'obiettivo
della
proposta
di
legge:
ridurre
l'applicazione
della
custodia
cautelare
e
la
sua
durata
al
minimo
compatibile
con
gli
interessi
della
giustizia,
facendo
un
uso
più
ampio
possibile
delle
alternative
alla
custodia
cautelare
quali
ad
esempio
(su
questo
punto
riporto
fedelmente
la
sentenza
Torreggiani
della
CEDU)
«l'obbligo,
per
l'indagato,
di
risiedere
ad
un
indirizzo
specificato,
il
divieto
di
lasciare
o
di
raggiungere
un
luogo
senza
autorizzazione,
la
scarcerazione
su
cauzione,
o
il
controllo
e
il
sostegno
di
un
organismo
specificato
dall'autorità
giudiziaria.
A
tale
proposito
è
opportuno
valutare
attentamente
la
possibilità
di
controllare
tramite
sistemi
di
sorveglianza
elettronici
l'obbligo
di
dimorare
nel
luogo
precisato.
Per
sostenere
il
ricorso
efficace
e
umano
alla
custodia
cautelare,
è
necessario
impegnare
le
risorse
economiche
e
umane
necessarie
e,
eventualmente,
mettere
a
punto
i
mezzi
procedurali
e
tecnici
di
gestione
appropriati».
La
Commissione
ha
effettuato
una
istruttoria
legislativa
molto
approfondita,
che
è
stata
caratterizzata
da
un
ciclo
di
audizioni
di
altissimo
livello
per
gli
importanti
contributi
dati
all'elaborazione
finale
del
testo
oggi
in
esame.
In
primo
luogo,
si
è
ritenuto
di
dover
acquisire
i
lavori
che
sono
in
corso
di
svolgimento
da
parte
del
Ministero
della
Giustizia
in
merito
alla
modifica
della
disciplina
legislativa
della
custodia
cautelare
in
carcere.
Si
sono
quindi
sentiti
il
Presidente
della
Corte
di
Appello
di
Milano
Giovanni
Canzio,
quale
presidente
della
Commissione
ministeriale
di
studio
in
tema
di
processo
penale,
ed
il
professor
Glauco
Giostra,
presidente
della
Commissione
ministeriale
di
studio
in
tema
di
ordinamento
penitenziario
e
misure
alternative,
che
hanno
illustrato
le
diverse
ipotesi
di
modifica
delle
disposizioni
in
materia
di
custodia
cautelare,
che
le
rispettive
commissioni
hanno
finora
individuato.
Gran
parte
di
queste
ipotesi
sono
state
poi
tradotte
in
emendamenti
dai
deputati
e
in
gran
parte
sono
state
approvate.
Naturalmente
ai
lavori
della
Commissione
hanno
dato
un
apporto
estremamente
significativo
anche
gli
operatori
del
diritto,
che
applicano
la
legge
o
assistono
coloro
che
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