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n.
108
del
1996).
Si
vedano
altresì
gli
articoli
3
del
decreto-‐legge
n.
259
del
2006,
convertito,
con
modificazioni,
dalla
legge
n.
281
del
2006,
74
e
76,
comma
6,
del
codice
delle
leggi
antimafia
e
delle
misure
di
prevenzione,
di
cui
al
decreto
legislativo
n.
159
del
2011.
Quest'elenco
dimostra
come
sia
possibile
ragionare
su
un
innalzamento
delle
soglie
previste
dall'articolo
280
del
codice
penale,
ma
a
condizione,
si
ripete,
di
un
previo
ripensamento
complessivo
e
sistematico
dell'intero
quadro
sanzionatorio
penale.
Una
riforma
delle
soglie
cautelari
deve
essere
coordinata
con
una
revisione
complessiva
delle
sanzioni
penali,
in
modo
da
assicurare
un
adeguato
coordinamento
fra
le
due.
Sarebbe
intempestiva
e
pericolosa
una
novella
che
riscrivesse
i
requisiti
edittali
per
l'applicazione
delle
cautele
prima
di
una
riforma
generale
delle
sanzioni.
All'articolo
1
della
presente
proposta
di
legge
si
stabilisce
che
il
pericolo
di
fuga,
quale
esigenza
cautelare
a
fondamento
della
detenzione,
debba
essere
non
solo
concreto,
ma
anche
attuale,
nel
senso
che
il
rischio
che
la
persona
possa
fuggire
deve
essere
imminente.
La
Corte
di
cassazione
ha
riconosciuto
che
il
pericolo
deve
essere
concreto,
nel
senso
«che
esso
non
possa
essere
valutato
in
astratto,
con
riferimento
a
parametri
di
carattere
generale,
predefiniti,
ma
in
relazione
a
elementi
e
circostanze
attinenti
al
soggetto
(personalità,
tendenza
a
delinquere
e
a
sottrarsi
ai
rigori
della
legge,
pregresso
comportamento,
abitudini
di
vita,
frequentazioni,
natura
delle
imputazioni,
entità
della
pena
presumibile
o
concretamente
inflitta)
idonee
a
definire
nel
caso
specifico
non
la
certezza,
ma
la
probabilità
che
l'inquisito
faccia
perdere
le
sue
tracce».
La
Corte
ha
invece
escluso
che
il
pericolo
debba
anche
essere
«attuale»,
ritenendo
eccessivo
che
la
concretezza
debba
altresì
«consistere
in
specifici
comportamenti
dell'imputato
o
dell'indagato
indirizzati
alla
fuga
o
anche
solo
ad
un
tentativo,
del
tutto
iniziale,
di
fuga»
(Corte
di
cassazione,
sezioni
unite,
sentenza
n.
34537
dell'11
luglio
2001).
L'articolo
2
mira
a
circoscrivere
i
casi
di
misura
applicata
per
il
pericolo
di
reiterazione
di
reati
della
stessa
specie,
richiedendo
che
il
pericolo
di
reiterazione
sia
non
solo
concreto,
ma
altresì
attuale,
per
rafforzare
l'esigenza
di
una
valutazione
più
stringente
dell'effettiva
pericolosità
del
prevenuto.
L'articolo
3
stabilisce
che
il
pericolo
di
fuga
non
debba
essere
tratto
solo
dalla
gravità
del
reato
(e
quindi
dalla
severità
della
sanzione),
come
peraltro
già
affermato
dalla
Cassazione
(Corte
di
cassazione,
sezioni
unite,
citata
sentenza
n.
34537
dell'11
luglio
2001)
e
si
prevede
altresì
che
il
pericolo
di
commissione
di
ulteriori
delitti,
anche
alla
luce
della
personalità
del
prevenuto,
non
possa
essere
desunto
unicamente
dalla
vicenda
criminosa
in
oggetto.
Con
l'articolo
4
si
estende
il
divieto
di
applicazione
della
misura
fondato
sulla
prognosi
di
sospensione
condizionale
agli
arresti
domiciliari,
oggi
escluso
dalla
giurisprudenza.
All'articolo
5
si
prevede
che
la
custodia
cautelare
debba
costituire
l’extrema
ratio,
anche
tenendo
conto
della
possibilità
di
applicazione
cumulativa
di
misure
coercitive
o
interdittive.
L'articolo
6
riporta
la
seconda
parte
dell'articolo
275,
comma
3,
del
codice
di
procedura
penale
alla
versione
voluta
dalla
legge
n.
332
del
1995,
anteriore
alle
modifiche
apportate
dalle
recenti
riforme
securitarie,
peraltro
in
linea
con
quanto
stabilito
da
diverse
recenti
sentenze
della
Corte
costituzionale
(sentenze
n.
265
del
2010,
n.
164
del
2011,
n.
231
del
2011
e
n.
57
del
2013).
L'articolo
7
interviene
sulla
disciplina
dei
controlli
successivi
da
parte
del
giudice
che
ha
disposto
la
misura
su
istanza
di
parte,
secondo
quanto
previsto
dall'articolo
299
del
codice
di
procedura
penale.
Si
prevede
che
la
revoca
possa
essere
richiesta
solo
per
ragioni
sopravvenute
(escludendo,
quindi,
domande
fondate
su
argomenti
già
interamente
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