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A
fronte
di
questa
disciplina
legislativa
che
sembrerebbe
relegare
la
custodia
cautelare
ad
una
misura
residuale
ed
eccezionale
vi
sono
i
dati
drammatici
dell'applicazione
concreta
della
misura.
È
un
dato
allarmante
che
il
40
per
cento
dei
detenuti
sia
in
attesa
di
giudizio.
Tra
costoro
occorre
comunque
distinguere
coloro
che
siano
stati
condannati
in
primo
o
secondo
grado
da
chi
sia
indagato
o
imputato
in
primo
grado.
La
prima
categoria
si
riduce
riducendo
i
tempi
del
processo.
Si
tratta
di
soggetti
che
comunque
sono
stati
condannati.
A
questo
proposito,
ricordo
che
in
molti
Stati
alla
sentenza
di
condanna
di
primo
grado
segue
il
carcere
come
conseguenza
naturale
anche
se
la
sentenza
non
è
ancora
definitiva.
La
seconda
categoria
è
quella
più
delicata
in
quanto
comprende
coloro
che
non
siano
stati
in
alcun
modo
riconosciuti
colpevoli
o
addirittura
rinviati
a
giudizio.
In
Italia
12
mila
detenuti
si
trovano
in
questa
condizione.
Il
provvedimento
approvato
dalla
Commissione
Giustizia
mira
a
rendere
più
stringente
l'attuale
normativa
affinché
il
giudice
debba
ricorrere
alla
custodia
in
carcere
solo
quando
sia
strettamente
necessario.
I
dati
relativi
alla
custodia
cautelare
in
carcere
sono
tanto
allarmanti
da
poter
far
ritenere
che
questa
misura
abbia
oramai
finito
per
assumere
una
valenza
surrogatoria
della
pena
detentiva
che
dovrebbe
essere
conseguenza
di
una
sentenza
definitiva
di
condanna.
La
lunghezza
dei
processi
rende
meno
certa,
e
comunque
molto
Pag.
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ritardata,
l'applicazione
della
sanzione,
per
cui
la
restrizione
cautelare
finisce
per
essere
percepita,
erroneamente,
come
l'unica
vera
pena
capace
di
avere
un
immediato
effetto
deterrente
e
preventivo.
Si
tratta
di
una
stortura
che
può
essere
corretta
non
solo
attraverso
una
rivisitazione
della
disciplina
codicistica
della
custodia
cautelare,
ma
anche
–
anzi,
specialmente
–
intervenendo
sul
processo
rendendolo
conforme
al
principio
costituzionale
della
ragionevole
durata.
Dopo
aver
rilevato
che
nel
dibattito
sulla
custodia
cautelare
vengono
spesso
richiamati
come
coincidenti
il
principio
di
non
colpevolezza
ed
il
principio
di
presunzione
di
innocenza
per
quanto
questi
in
realtà
hanno
un
diverso
significato,
si
sottolinea
come
la
disciplina
dell'istituto
debba
ispirarsi
ai
principi
di
adeguatezza
e
di
proporzionalità
affinché
dell'istituito
non
se
ne
faccia
un
uso
distorto.
A
questo
punto
è
opportuno
fare
un
chiarimento
sulla
ratio
della
proposta
di
legge
in
esame.
La
circostanza
che
il
40
per
cento
dei
detenuti
sia
in
custodia
cautelare
e
che
l'affollamento
delle
carceri
sia
oramai
sempre
più
insostenibile
non
significa
che
l'obiettivo
della
proposta
di
legge
sia
la
riduzione
del
sovraffollamento
carcerario.
Questa
rappresenta
un
effetto
indiretto
per
quanto
estremamente
importante
del
raggiungimento
dell'obiettivo
della
proposta
di
legge:
ridurre
l'applicazione
della
custodia
cautelare
e
la
sua
durata
al
minimo
compatibile
con
gli
interessi
della
giustizia,
facendo
un
uso
più
ampio
possibile
delle
alternative
alla
custodia
cautelare
quali
ad
esempio
(su
questo
punto
riporto
fedelmente
la
sentenza
Torreggiani
della
CEDU)
«l'obbligo,
per
l'indagato,
di
risiedere
ad
un
indirizzo
specificato,
il
divieto
di
lasciare
o
di
raggiungere
un
luogo
senza
autorizzazione,
la
scarcerazione
su
cauzione,
o
il
controllo
e
il
sostegno
di
un
organismo
specificato
dall'autorità
giudiziaria.
A
tale
proposito
è
opportuno
valutare
attentamente
la
possibilità
di
controllare
tramite
sistemi
di
sorveglianza
elettronici
l'obbligo
di
dimorare
nel
luogo
precisato.
Per
sostenere
il
ricorso
efficace
e
umano
alla
custodia
cautelare,
è
necessario
impegnare
le
risorse
economiche
e
umane
necessarie
e,
eventualmente,
mettere
a
punto
i
mezzi
procedurali
e
tecnici
di
gestione
appropriati».
La
Commissione
ha
effettuato
una
istruttoria
legislativa
molto
approfondita,
che
è
stata
caratterizzata
da
un
ciclo
di
audizioni
di
altissimo
livello
per
gli
importanti
contributi
dati
all'elaborazione
finale
del
testo
oggi
in
esame.
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