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L'impianto
dell'articolo
2,
comma
2,
che
costituisce
il
cuore
della
legge
Vassalli,
è
stato
modificato
secondo
la
seguente
impostazione.
In
primo
luogo,
si
è
distinto
tra
i
casi
di
dolo,
per
i
quali
anche
l'attività
di
interpretazione
e
di
valutazione
può
dar
luogo
a
responsabilità,
e
i
restanti
presupposti
per
i
quali,
invece,
vale
il
principio
illustrato,
cioè
che
la
regola
generale
esclude
l'attribuzione
di
responsabilità
ai
magistrati
per
l'attività
interpretativa
e
valutativa.
I
commi
3
e
3-‐bis,
tuttavia,
stabiliscono
le
eccezioni.
È
infatti
qualificabile
come
colpa
grave
la
violazione
manifesta
della
legge
e
del
diritto
dell'Unione
europea,
il
travisamento
del
fatto
o
delle
prove,
ovvero
l'affermazione
di
un
fatto
incontrastabilmente
escluso
dagli
atti
del
procedimento,
nonché
il
suo
reciproco,
e
dunque
la
negazione
di
un
fatto
incontrastabilmente
accertato
in
base
agli
stessi
atti
processuali.
Oltre
a
questa
categoria
di
eccezioni,
si
è
previsto,
quale
presupposto
autonomo,
l'emissione
di
un
provvedimento
cautelare
personale
o
reale,
fuori
dai
casi
consentiti
dalla
legge
oppure
senza
specifica
e
adeguata
motivazione.
Di
quest'ultima
norma
è
stato
dato
ampio
risalto
sui
mezzi
di
stampa;
al
riguardo,
mi
limito
a
precisare
che
la
precedente
disciplina
recata
dalla
legge
Vassalli
prevedeva
puntualmente
la
fattispecie
di
indebita
limitazione
della
libertà
personale
e
che,
dunque,
l'ipotesi
di
inserire
questa
evenienza
nei
profili
generali
di
attribuzione
della
responsabilità
avrebbe
costituito
uno
scostamento
dalla
disciplina
vigente.
Il
comma
3-‐bis
dello
stesso
articolo
2
stabilisce
i
presupposti
mediante
i
quali
può
rinvenirsi
la
sussistenza
della
violazione
manifesta
della
legge
e
del
diritto
dell'Unione
europea.
Si
tratta
di
una
norma
chiarificatrice
che
conferisce
un
maggior
grado
di
certezza
all'intera
disciplina
della
responsabilità
civile
e
sulla
quale
lo
stesso
disegno
di
legge
n.
1070,
a
mia
prima
firma,
non
mancava
di
soffermarsi,
sia
pur
con
una
formulazione
in
parte
diversa.
Gli
indici
previsti
dal
comma
3-‐bis
corrispondono
al
grado
di
chiarezza
e
precisione
delle
norme
violate,
nonché
all'inescusabilità
e
alla
gravità
dell'inosservanza.
Per
il
caso
della
sola
violazione
manifesta
del
diritto
dell'Unione
europea,
si
dovrà
tener
conto
(e
questa
è
una
eccezione
rispetto
al
diritto
e
alla
giurisprudenza
della
giurisdizione
domestica)
della
posizione
adottata
da
un'istituzione
dell'Unione
europea,
nonché
della
mancata
osservanza
dell'obbligo
di
rinvio
pregiudiziale.
Vengo
ora
alla
disamina
delle
modifiche
introdotte
agli
articoli
4
e
5
della
legge
n.
117
del
1988.
Con
la
prima
modifica
viene
aumentato,
da
due
a
tre
anni,
il
termine
per
la
proposizione
della
domanda
contro
lo
Stato,
nonché
il
termine
relativo
al
caso
di
diniego
di
giustizia.
Con
l'articolo
3
del
disegno
di
legge,
rimasto
invariato
in
esito
all'attività
emendativa
in
Commissione,
è
stata
disposta
la
soppressione
del
ben
noto
meccanismo
del
filtro
di
ammissibilità
(che
era
stato
uno
degli
elementi
che,
di
fatto,
avevano
reso
inapplicabile,
se
non
per
piccolissima
parte,
la
normativa
Vassalli),
sul
quale,
in
dottrina
e
nell'opinione
comune
degli
operatori
del
diritto,
si
sono
accentrate
fortissime
riserve
nel
corso
dei
venticinque
anni
di
vigenza
del
legge
Vassalli.
Si
tratta,
infatti,
di
un
istituto
la
cui
natura
deflativa
ha
finito
per
paralizzare
la
via
del
risarcimento
per
i
cittadini.
L'articolo
4
del
disegno
di
legge
n.
1070
stabilisce
il
principio
per
cui
la
decisione
pronunciata
nel
giudizio
contro
lo
Stato
fa
stato
anche
nel
giudizio
di
rivalsa
e
nel
procedimento
disciplinare,
con
esclusivo
riferimento
all'accertamento
dei
fatti
contenuto
in
sentenza.
Concludo
la
disamina
delle
modifiche
recate
dal
testo
deliberato
dalla
Commissione
con
riguardo
all'istituto
dell'azione
di
rivalsa.
Attribuita
in
capo
al
Presidente
del
Consiglio
dei
ministri,
essa
deve
essere
esercitata
entro
due
anni
dal
risarcimento
avvenuto
sulla
base
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