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al luogo in cui i dati confluiscono, porterebbe all’inaccettabile risultato di concentrare la competenza per tutti i reati presso il tribunale di Roma, stante la gestione centralizzata del materiale informatico. A fronte di ciò, si è dunque stabilito che i reati in questione debbano considerarsi consumati nel luogo in cui il contribuente ha il domicilio fiscale, salva l’applicabilità del criterio suppletivo del luogo dell’accertamento laddove detto domicilio risulti ubicato all’ estero.
Il comma 3 ha per converso di mira la fattispecie, prevista dall’articolo 8, comma 2, dello schema, dell’emissione di più fatture o documenti per operazioni inesistenti da parte del medesimo soggetto nel corso dello stesso periodo d’imposta: ipotesi che - per le ragioni a suo tempo lumeggiate (retro, § 3.2.1) - è stata configurata come integrativa di un unico reato. Stante la particolare strutturazione dell’ipotesi criminosa, nella quale confluiscono più episodi distinti, si è reso necessario dettare uno specifico criterio di individuazione del giudice competente nel caso, ben configurabile, in cui i plurimi documenti siano stati emessi in località diverse (e, più precisamente, in località comprese nelle circoscrizioni di diversi tribunali). Al riguardo, si è scartata, per vero, la soluzione di privilegiare il luogo di emissione del maggior numero di documenti o dei documenti di maggiore importo: soluzione che avrebbe inevitabilmente alimentato e trascinato nel tempo le questioni di competenza, specie nel caso - tutt’altro che infrequente - di scoperta in fasi successive delle false fatturazioni. La competenza è stata di contro attribuita a quello fra i giudici dei diversi luoghi di emissione dei singoli documenti, presso il quale ha sede l’ufficio del pubblico ministero che per primo ha provveduto ad iscrivere la notizia di reato nel registro previsto dal- l’articolo 335 del codice di procedura penale: criterio che ripete, con gli opportuni adattamenti, quello previsto dagli articoli 9, comma 3, e 10, comma 2, del medesimo codice.
Il pericolo - paventato dalla Commissione giustizia della Camera - che il sistema adottato possa consentire alla persona sottoposta alle indagini di «scegliersi» il giudice attraverso «confessioni mirate», volte ad «incanalare» le indagini presso un determinato ufficio di procura piuttosto che un altro, non è parso tale da giustificare una revisione della scelta. In primo luogo, infatti, l’ipotetica confessione, onde poter sortire il temuto effetto, dovrebbe intervenire in una fase assolutamente prodromica, precedente l’ iscrizione della notitia criminis nell’apposito registro. In secondo luogo, poi, tale iscrizione non basterebbe ancora, di per sé sola, a radicare la competenza, occorrendo che sia effettuata dall’ufficio del pubblico ministero di uno dei luoghi in cui le fatture o documenti per operazioni inesistenti sono stati realmente emessi (particolare, questo, che preserva il valore della «naturalità» del giudice). In terzo luogo e da ultimo, deve rilevarsi come le citate disposizioni degli articoli 9, comma 3, e 10, comma 2, del codice di procedura penale, dalle quali il criterio è mutuato, non abbiano dato luogo, nella pratica applicativa, a problemi del genere di quelli evidenziati nel parere.
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