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Arturo Rocco: Il problema e il metodo della scienza del diritto penale. (1)

Quanto mai singolare e caratteristico è il momento scientifico odierno del diritto penale. E', in vero, nella coscienza di tutti, e fin dei profani agli studi nostri, e non ha mancato di essere da altri, e pur recentemente, avvertito, che la scienza del diritto penale attraversa oggi non soltanto in Italia, ma anche in Francia e perfino in Germania, un periodo di crisi, dal quale, prima o poi, deve, necessariamente, uscir fuori (2). Questa crisi non dipende, tuttavia soltanto, come potrebbe credersi, da inconsulti desideri di novità o da tendenze manifestamente ipercritiche, o da invalse abitudini di dilettantismo scientifico e di enciclopedismo forense, ma trova ben più la sua fonte in tutte le generali correnti che animano il pensiero scientifico contemporaneo. Nè essa è, a dir vero, un fenomeno isolato e sporadico che affligga, del suo male, il solo organismo scientifico del diritto penale, ma si riannoda ad una crisi più vasta più grave che agita tutto il dominio delle scienze etiche e così non solo delle scienze giuridiche ma altresì delle scienze delle scienze politiche, morali e sociali. Tuttavia io non credo di andare errato se affermo che, almeno nel più ristretto campo delle scienze giuridiche, poche altre presentano oggidì uno stato di disorganizzazione pari a quello che si riscontra, nell'attuale momento, nella scienza del diritto penale. Questa scienza, il cui organismo, trentacinque anni or sono, pareva ormai definitivamente consolidato e fortificato, tanto essa era rigorosamente definita nella sua invalidità e irrevocabilmente costituita e sistemata nel suo oggetto, nei limiti suoi, nei suoi principi fondamentali e direttivi: questa scienza, trentacinque anni fa, così concordemente esposta nel corpo delle sue dottrine, unanimemente insegnata nella scuola, ossequiata nella pratica, seguita nella pubblica opinione, si è ora ridotta a tale, che, di fronte alle contestazioni, alle incertezze, ai dubbi, di cui è minacciata, di fronte all'ambiente di scetticismo e di diffidenza formatosi a lei d'attorno, vi è luogo veramente a chiedersi daccapo quale sia, nel pensiero e nella vita sociale odierna, il problema della sua esistenza, quale cioè la sua ragion d'essere, la sua missione teorica e la sua pratica funzione e quale il metodo che essa deve seguire nel raggiungimento di tale sua destinazione scientifica e pratica. E invero, se ben esiguo, e, anzi, quasi nullo, è ormai il numero di coloro che, infatuati di una falsa o esagerata ipotesi antropologica, considerano la scienza nostra come destituita da ogni ragion d'essere come scienza, ad un tempo sociale e giuridica, permangono, tuttavia, sia pure isolate, opinioni e tendenze per le quali essa dovrebbe trasformarsi completamente nel suo oggetto, nel suo contenuto, nei suoi limiti, e perfino nel suo nome, in guisa tale da perdere la propria autonomia e individualità di scienza giuridica e da venir sostituita da una nuova, e più ampia, disciplina sociologica, nella quale essa rimarrebbe assorbita e confusa. Perfino in taluni di coloro - e son ormai la maggioranza - che pur mantengono ferma di fronte alla prepotenza sociologica, l'autonomia della scienza del diritto penale, l'influenza delle idee nuove, da un lato, e delle vecchie, dall'altro, fa dilagare la scienza del diritto penale al di fuori dei confini giuridici che le sono naturalmente assegnati.

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La produzione scientifica contemporanea del diritto penale si caratterizza, appunto, per questo stato generale di incertezza della scienza nostra. Essa va vagolante, dubbia di sè e dei suoi fini, par quasi, ancora, cercare sè stessa. E così corrono oggi per le mani di tutti i trattati e monografie e articoli, così detti, di diritto penale in vista di taluno dei quali c'è da domandarsi, tra l'altro, se una scienza che si chiama diritto penale, sia, o non sia, una scienza giuridica. C'è dell'antropologia, della psicologia, della statistica, della sociologia, della filosofia, della politica: tutto, insomma, qualche volta, tranne che del diritto. Ora si naviga ancora in pieno diritto naturale o razionale o ideale, compiacendosi di esercitazioni accademiche intinte tuttavia di metafisica e di scolastica; ora invece, ci si adagia in mezzo ad una congerie di fluttuanti concetti politici che, pronti al servizio delle tesi più disparate, lasciano naturalmente i tempo che trovano; ora si corre dietro a evanescenti concetti biologici o psicologici o sociali, i quali, quando pure siano veri e fondati - e sono ben lungi dall'esserlo sempre - non servono a nulla, se scompagnati dall'indagine giuridica. E sempre è un abbandono alla sfrenata voluttà della critica legislativa e della riforma delle leggi penali vigenti, a una critica che, nelle sue snodate tendenze riformatrici, non trova, bene spesso, confini, che disconosce talora la legge, prima ancor di conoscerla, e che mira a scrollare dalle fondamenta quasi tutto l'edificio del diritto costituito. Sempre è una trascuranza, un disprezzo, che cela talvolta un'evidente incapacità, per la costruzione dogmatica degli istituti penali in base ai principi del diritto positivo vigente; e, s'intende, non del solo diritto positivo penale, ma altresì di tutto il diritto, pubblico e privato: sempre è un lasciar da parte l'indagine delle ragioni di necessità sociale e di opportunità politica che stanno a base del diritto costituito: un tenersi fermi alla gretta e materiale esegesi della lettera della legge, ancor più meschina nel diritto penale, per i limiti segnati all'interpretazione di esso per saltar, poi, alla critica e alla riforma della legge medesima, quasi gioendo nella fretta di contrapporre ad essa ciò che non potrebbe spesso tenerne luogo (3).

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Quale, in particolare, la causa prossima di un tale stato di cose? La diagnosi non pare difficile. L'antica scienza classica del diritto penale ignara, prima, dimentica, poi, degli insegnamenti della scuola storica del diritto, aveva preteso di studiare un diritto penale all'infuori del diritto positivo, si era illusa di potere, essa, foggiare un diritto penale diverso da quello consacrato nelle leggi positive dello Stato, un diritto penale di carattere assoluto, immutabile, universale, la cui origine andasse rintracciata nella divinità, o nella rivelazione dell'umana coscienza, o nelle leggi di natura o nelle leggi del pensiero e dell'idea. La stessa monumentale e gloriosa opera del Carrara non era sfuggita a questo vizio dei tempi e che nel tempo trovava la sua ragione di essere (4): e in questo vizio caddero pure, anteriormente o successivamente, eminenti giuristi, quali, per esempio, il Feuerbach (5), l'Haelschner (6), il Berner (7), in Germania, l'Ortolan (8), e il Bertauld (9), in Francia e, in Italia, il Pessina (10), il Buccellati (11), il Canonico (12), il Brusa (13) ed altri che troppo lungo sarebbe qui enumerare (14). Ciò fu manifestamente, a nostro sommesso avviso, un grave errore perchè portò a trascendere i limiti dell'esperienza, entro i quali, per necessità, ogni sapere umano, e così anche il sapere giuridico, si contiene. L'indirizzo positivo moderno, come già la scuola storica antica, giustamente combattè quest'errore; ma cadde, a sua volta, in un errore altrettanto manifesto affermando, in onta al principio della divisione del lavoro scientifico, che è condizione assoluta dello sviluppo della conoscenza umana, la scienza del diritto penale altro non essere se non un capitolo ed un'appendice della sociologia. Esso - possiamo oggi giudicarne con sereno criterio - ha sortito, bensì, in parte soltanto, del resto, l'effetto, che si proponeva, di purgare il vecchio organismo scientifico del diritto penale dalle incrostazioni metafisiche di cui era ricoperto, ma nella mania distruttrice di cui era invasato, ha distrutto fin anche là dove non doveva distruggere ed ha soprattutto dimenticato lo scopo, che principalmente lo muoveva: il rinnovamento della scienza del diritto criminale mediante l'applicazione del metodo della filosofia sperimentale e positiva e sulla base dei dati offerti dalla scienza antropologica e sociologica, per fermarsi esclusivamente sui mezzi, cioè lo studio dell'antropologia e della sociologia. Così infeudati il diritto e la scienza del diritto penale all'antropologia, anzi, annullatili in nome di una falsa antropologia o, d'altro canto, affogatili nel grande mare della sociologia, la scuola positiva, non ostante alcune sue innegabili benemerenze, ha avuto, in definitiva, il risultato di accumulare intorno a sè un mucchio di rovine giuridiche, senza aver nulla fatto per trarre da esse il nuovo edificio, non dirò legislativo, ma almeno scientifico, del diritto penale che aveva predicato di voler costruire e che tutti aspettavano avesse finito. Così, abbattendo senza riedificare, essa ha finito per limitarsi al compito, che è relativamente il più facile, il compito critico e negativo ed è pervenuta, in ultima analisi, ad un diritto penale ... senza diritto! Di qui quello stato di ansietà, di incertezza, di continua perplessità che dicevano dinanzi caratterizzare l'attuale momento scientifico del diritto penale: sicchè, per parlare in gergo forense, può dirsi che, allo stato degli atti, la scienza giuridica penale si affanna oggi nella ricerca tormentosa di sè medesima, e fra i vecchio che spesso non regge, e il nuovo che poco o nulla vi dà, possiamo dire di non avere oggi, più alcun fermo principio giuridico di diritto penale.
In tali condizioni è mai possibile che una scienza prosperi e progredisca? Evidentemente, no; e noi ci troviamo appunto nel caso delle esercitazioni dei soldati in piazza, i quali, dopo molte marce e contromarce, si trovano sempre allo stesso punto. E il peggio si è che mentre da un lato la scuola positiva ha dato all'Italia alcune opere a cui sotto certi aspetti, si deve molta riconoscenza, dall'altro essa ha contribuito, insieme agli avanzi della filosofia metafisica, ad annebbiare il criterio giuridico fino ad accecarlo; sicchè, quel fine senso giuridico, che è vanto speciale dell'ingegno italiano, quel fine senso giuridico che fra i cultori del diritto privato è ormai dote comune, e quasi non apprezzata, tanto è nel dominio di tutti, è, nel diritto penale, divenuto oramai pregio rarissimo e quasi prezioso. Or son vent'anni, nel campo delle discipline di diritto pubblico, si levò autorevole una voce, quella dell'illustre professore Orlando, che predicava il divorzio o, per meglio dire, la separazione di queste scienze della sociologia, dalla politica e dalla filosofia avvertendo di essere questa l'unica condizione del progresso di questi rami importantissimi del nostro diritto. Nè la voce rimase ascoltata. Tanto a un dìpresso potrebbe oggi ripetersi per il diritto penale, e l'ammonimento sarebbe quanto mai utile ed opportuno. Perchè, di qualunque disciplina giuridica si tratti, sempre è vero ciò che l'Orlando diceva, cioè, che "il criterio storico, il sociale, il politico, ma sopra tutto il filosofico con le forme più astruse della metafisica più sfrenata, soffocando il criterio giuridico sin quasi ad ucciderlo" e che "dove le nebulosità dell'astrazione filosofica, impediscono la netta percezione dei contorni, ivi, non è più diritto, perchè il diritto è la precisione" (15)!

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Così essendo, o noi ci sbagliamo, o non c'è altro rimedio che questo: rimedio semplicissimo, almeno ad enunciarlo: tenersi fermi, religiosamente e scrupolosamente attaccati allo studio del diritto. Non dico già di un ipotetico diritto naturale o razionale o ideale che dovrebbe essere assoluto e quindi unico, perchè desunto dalle leggi invariabili della natura, del pensiero o dell'idea, ma che, invece, nei sistemi per mezzo di cui viene esposto, presenta diversità anche maggiori di quelle che corrono fra i diritti positivi dei varii Stati, e che distaccato, come è, dalle sue vere cause, cioè dalle forze sociali che lo determinano, meglio potrebbe dirsi, invece, un diritto soprannaturale. Parlo invece, e soltanto, del diritto positivo vigente il solo che l'esperienza ci addita e il solo che possa formare l'oggetto di una scienza giuridica, quale la scienza del diritto penale è, e quale, sbugiardati ormai gli oracoli di una comoda, quanto inesatta, antropologia, essa deve e vuol rimanere. Nel tempo stesso accentuare sempre più la distinzione, non dico già la separazione, della scienza giuridica penale, dalla antropologia, dalla psicologia, dalla sociologia ed anche dalla filosofia del diritto e dalla politica criminale, arte o scienza che sia (16), riducendo quella principalmente, se non esclusivamente, come già per il diritto privato si è fatto da tempo, ad un sistema di "principi di diritto" ad una teoria giuridica, ad una conoscenza scientifica della disciplina giuridica dei delitti e delle pene, ad uno studio, insomma, generale e speciale, del delitto e della pena sotto l'aspetto giuridico, come fatti o fenomeni regolati dall'ordinamento giuridico positivo. è questo l'indirizzo così detto "tecnico - giuridico", il solo indirizzo possibile in una scienza appunto giuridica, e per giunta di carattere speciale, quale è quella che porta il nome di scienza del diritto penale, ed il solo da cui può aspettarsi una ricostruzione organica della debilitata compagine scientifica del diritto penale. Che questa si ancora l'unica via da seguire per giungere ad un tal risultato, è opinione che sembra penetrare, a poco a poco, benchè quasi sempre sotto limitati aspetti, nella convinzione della maggioranza degli scrittori: quali, a cagion' d'esempio, il Loening (17), il Sergiewsky (18), il Merkel (19), il Binding (20), il Liszt (21), il Meyer (22), il Beling (23), il Finger (24), il Vargha (25), il Garraud (26), il Civoli (27), il Manzini (28), o perfino negli ultimi suoi scritti il Pessina (29); quasi si direbbe che essa risponda, mi si passi l'espressione, ad uno stato generale della coscienza giuridica (30).

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Ma qui vedo già sorgere sull'orizzonte una capitale obiezione: si dice che una tale distinzione della scienza del diritto penale dalle scienze psicologica, antropologica e sociologica, da un lato, dalla filosofia del diritto e dalla politica, dall'altro, non è scientificamente e praticamente possibile. Si dirà che in tal modo, si distrugge il diritto penale come scienza, che se ne fa un vuoto, quanto pericoloso, formalismo; che si riduce la scienza ad un puro esercizio scolastico di astrazioni teoriche; che si bandisce un isolamento cellulare fra le varie scienze criminologiche, quanto mai gravido di nefaste conseguenze pratiche per la società civile (31).
Ma non è punto il nostro pensiero giungere ad una tal conclusione, nè essa è punto una conseguenza necessaria delle nostre affermazioni.
Ciò che si vuole è soltanto che la scienza del diritto penale conformemente alla sua natura di scienza giuridica speciale, limiti l'oggetto delle sue ricerche dirette, allo studio esclusivo del diritto penale e, conformemente ai suoi mezzi, dell'unico diritto penale che esista come dato dell'esperienza, cioè il diritto penale positivo. Si vuole, in conseguenza, che essa si limiti a studiare il delitto e la pena sotto il lato puramente e semplicemente giuridico, come fatti disciplinati da norme di diritto obiettivo, cioè come fatti giuridici, di cui l'uno è la causa dell'altro l'effetto o la conseguenza giuridica, lasciando ad altre scienze, e precisamente all'antropologia ed alla sociologia criminale, la cura speciale di studiarli, rispettivamente, l'uno, come fatto individuale e sociale, cioè, sotto l'aspetto naturale, organico e psichico, e sotto l'aspetto sociale, l'altro, come fatto sociale (32). Ma non si vuole affatto, proclamando tale distinzione, formalizzare lo studio del diritto penale, ridurlo ad una astrazione teorica, isolarlo dalla realtà naturale e sociale da cui germoglia; nè è questo punto, come dianzi dicevo, il risultato necessario di quella distinzione. Quando si dice che la scienza giuridica penale studia il delitto e la pena come fenomeni sociali, e l'antropologia criminale studia il delitto come fenomeno naturale, altro non si fa se non stabilire l'oggetto e i limiti di queste scienze. E per la scienza del diritto penale si afferma che essa ha per compito lo studio della disciplina giuridica di quel fatto umano e sociale che si chiama delitto, e di quel fatto sociale e politico che si chiama pena, cioè lo studio delle norme giuridiche che vietano le azioni umane imputabili, ingiuste e dannose indirettamente produttive e rivelatrici di un pericolo per l'esistenza della società giuridicamente organizzata, e perciò lo studio del diritto e del dovere giuridico soggettivo, cioè del rapporto giuridico penale, che da esse nasce in virtù di quelle norme. Questo studio è necessariamente uno studio tecnico giuridico, perchè altri mezzi non si hanno, nella conoscenza scientifica del diritto, se non quelli forniti dalla tecnica giuridica: ma ciò non vuol dire che il cultore del diritto penale non debba assumere talvolta la veste dell'antropologo, del psicologo e del sociologo; e neppure che in questo studio tecnico del diritto non si possa, e non di debba, anzi, seguire un metodo positivo e sperimentale. Distinzione non è separazione e tantomeno divorzio scientifico. E anzi sotto questo aspetto, appunto, del metodo che si deve seguire nella ricerca tecnica del diritto, che la scienza del diritto penale, per sua natura scienza esclusivamente giuridica, e intesa a studiare il delitto e la pena come obiettivi di norme giuridiche, si riallaccia intimamente, come meglio si vedrà innanzi, con la scienza che tratta del delitto quale fenomeno naturale, cioè, l'antropologia criminale e con quella che tratta del delitto e della pena quali fenomeni sociali, cioè, la sociologia criminale. E non diversamente avviene per ciò che riguarda i rapporti del diritto penale con la filosofia del diritto e con la scienza politica. Quando si afferma che il diritto penale, che si tratta di scientificamente conoscere, è il diritto penale positivo, il solo che esista come dato della realtà, e il solo che possa formar obiettivo di una scienza giuridica speciale, qual è la scienza del diritto penale, non si nega affatto, che esistano necessità, esigenze o bisogni sociali che si impongono alla coscienza e alla volontà del legislatore penale e sono destinate appunto ad essere in diritto positivo trasformate: quelle esigenze stesse che, nel loro complesso, modernamente si designano col nome di "giustizia" e che costituiscono, in quanto siano già penetrate nell'ordinamento giuridico, il fondamento intrinseco del diritto positivo. Neppure si nega che vi siano oltre queste, benchè non indipendentemente da queste, esigenze di convenienza e di opportunità politica e pratica vaganti fuori del tempio del diritto costituito che fanno breccia al diritto positivo penale, preparando, anch'esse, i germi del suo rinnovamento futuro. Si dice solo che le une formano obietto di una conoscenza filosofica, la così detta filosofia del diritto penale: le altre formano obietto di una conoscenza politica, la così detta politica criminale (o, più esattamente si direbbe, da tal punto di vista, penale); mentre la conoscenza più strettamente giuridica, la conoscenza scientifica del diritto penale, intesa nel suo stretto e più proprio senso, si esaurisce, invece, nello studio tecnico del diritto positivo penale (33). Con ciò nemmeno si esclude, e si vuole escluso, che il cultore del diritto penale abbia a servirsi sussidiariamente del criterio filosofico e dal criterio politico, quando spiega la ragion d'essere degli istituti giuridici penali nello Stato e nella società attuali (34) e, sia pure, quando di proposito (e del resto in via secondaria) procede alla ricerca di quel che il diritto penale positivo dovrebbe essere, ed elabora così le venture riforme legislative. Ma in tal caso sempre è vero che si deve tener distinta l'indagine propriamente e strettamente giuridica da quella filosofia e politica, se si vuol evitare una illecita e pericolosa intrusione ed inframmettenza di elementi filosofici e politici nella logica limpidezza della ricerca giuridica; e non si deve dimenticare che altro è diritto, altro è filosofia, altro è politica: sì che il giurista penalista, che a queste due ultime indagini si cimenti, proceda con la piena coscienza di ciò che va rintracciando e sappia e faccia sapere che, in quel momento, egli fa getto della toga del giurista, per vestir l'abito, sia pure altrettanto severo, del filosofo e del cultore di scienza politica. E non si creda già che si tratti qui di una pura questione di forma, nè sembri, questo nostro, un eccessivo amor di sistema, ed un troppo fervido zelo per inutili, e chi sa forse, pericolose dogane scientifiche. O io un inganno stranamente, o la causa principale, se non addirittura unica, dei guai che oggidì nella scienza nostra si lamentano, dipende appunto dalla trascurata osservanza dei limiti che separano le varie scienze criminologiche, dall'avvenuta confusione dell'obiettivo non solo, ma soprattutto della natura e dei fini rispettivi del diritto, della sociologia, della antropologia, della filosofia e della politica criminali. è avvenuto anche qui quel fenomeno così acutamente rilevato da Icilio Vanni, per cui "il momento in cui una disciplinasi mette per nuove vie e cerca di giovarsi di altre scienze venute progredendo intorno ad essa, le offre facile seduzione ad allargarsi illegittimamente oltre il campo suo proprio, perdendo i vantaggi della divisione del lavoro" (35). Così, dunque, anche nella cerchia delle scienze criminologiche, uopo è che l'ordine si ristabilisca ed ognuna riprenda la naturale sua sede, se si vuole che esse, con accordo comune e cosciente, vivano ciascuna una vita prospera e rigogliosa di pratiche conseguenze. Così richiede la necessità della specializzazione scientifica, nella quale ormai si riassume ogni progresso dello scibile umano e la legge di divisione del lavoro scientifico che all'umano pensiero inesorabilmente presiede, e che non è soltanto il prodotto di una necessità subiettiva nella mente dell'uomo, limitata e debole come la nostra natura, ma è il portato altresì di una necessità obiettiva, scaturente dalla realtà della vita individuale e sociale, nella varietà e complessità dei fenomeni che la costituiscono (36).

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Questo, dunque, è principalmente, se non esclusivamente, il compito e la funzione, della scienza del diritto penale: l'elaborazione tecnico - giuridica del diritto penale positivo e vigente, la conoscenza scientifica, e non semplicemente empirica, del sistema del diritto penale quale è, in forza delle leggi che ci governano. L'utilità di una tale logica, e non dico affatto formale, organizzazione e sistemazione dei principi del diritto penale vigente, non è chi non vegga; essa mira a porgere a coloro che sono chiamati dalla loro missione nella vita sociale ad interpretare ed applicare il diritto, sia combattendo come avvocati, sia decidendo come magistrati, la conoscenza scientifica delle norme del diritto medesimo; mira a porgere all'interprete, giurista o magistrato, quanto è necessario per la pratica amministrazione della giustizia, mira, insomma, a render proficua la scienza giuridica nel campo pratico della applicazione giudiziale, come a mantenere la quotidiana vita pratica del diritto all'altezza di una conoscenza scientifica di legge.
Nè la sua funzione benefica qui si esaurisce. Elaborando tecnicamente i principi del diritto positivo, essa matura e feconda altresì nelle viscere del diritto vigente, i germi del diritto futuro e si converte in strumento di progresso giuridico e civile giacchè, mentre non è possibile riformare il diritto se non si conosce tutta la virtù dei principi che esso contiene e che può trasmettere alle legislazioni venture, d'altra parte la conoscenza scientifica del sistema del vigente diritto potentemente aiuta a trarre dall'intimità di esso il sistema del diritto avvenire.

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Ma in che, più propriamente questo studio tecnico del diritto penale positivo, questo tecnicismo giuridico consiste? Avviciniamoci ad esso, e guardiamolo in faccia: il non averlo ben conosciuto ha condotto più d'uno a non comprenderne l'alta difficoltà ed importanza.
Ogni scienza, ha la sua tecnica particolare; e per tecnica s'intende l'insieme di quei mezzi, di quei procedimenti logici, metodici, sistematici che ad essa sono specifici e di cui essa si serve per il raggiungimento dei propri fini (37). Così è pure della scienza del diritto in genere o giurisprudenza. Anche la scienza del diritto ha la sua tecnica particolare: una tecnica, anzi, vecchia di quasi tremila anni, perpetuatasi attraverso i secoli e trasmessa, lungo essi, ai moderni dai giureconsulti romani, maestri ad ognuno nell'arte di studiare il diritto. La determinazione di questi criteri tecnici non è facile, perchè l'arte di studiare tecnicamente il diritto, come ogni arte, si sente, più di quel che si dica, si apprende per conto proprio, più di quel che s'insegni ad altri, perchè essa è frutto di esperienze e di osservazioni personalmente e successivamente tentate; onde è più agevole averne una nozione empirica, superficiale ed approssimativa, che non una nozione scientifica, approfondita ed esatta. Ma questa determinazione non è tuttavia, e fortunatamente, impossibile.
Data, infatti l'indole comune ai vari rami del diritto, la comune natura dei vari rapporti di diritto in quanto tali (38), prima di rinunziare a trovare i criteri tecnici per lo studio del diritto penale, in vista della sua minore maturità scientifica, bisogna guardare se non vi siano altre scienze giuridiche il cui progresso scientifico, dal punto di vista tecnico, sia così inoltrata poterci offrire modelli di procedimenti tecnici per lo studio del diritto in genere e del diritto penale in ispecie. E allora noi non possiamo a meno di avvertire questo fatto: che, cioè, mentre la scienza del diritto penale ci mostra gravi imperfezioni, specialmente dal punto di vista tecnico e sistematico, le scienze del diritto privato, civile e commerciale, e alcune scienze di diritto pubblico, come il diritto amministrativo e si può aggiungere, fors'anche, il diritto processuale civile, ci mostrano una perfezione tecnica che forse non potremmo, almeno rispetto a taluna di esse, desiderare maggiore. Quale la conseguenza di tale osservazione? La conseguenza manifesta è in ciò che il primo e più generale criterio che si possa fornire anche per uno studio tecnico del diritto positivo penale che voglia essere utile alla scienza e alla vita, è quello di seguire la via sicura e fidata dai cultori del diritto privato, prima, e, poi, da quelli del diritto amministrativo e processuale così sia ora magistralmente battuta, quella via stessa per cui sembrano incamminarsi ormai con passo sicuro anche il diritto costituzionale e il diritto internazionale, impossessandosi, in pari tempo, dei procedimenti propri di quelle, fra le scienze ora nominate, che, come il diritto privato, sono di perfezionata tecnica del diritto, esempio evidente.
Tuttavia, quando ciò si sia detto, si sarà detto troppo e troppo poco. Troppo, per chi del senso giuridico, del criterio e dell'intuito del diritto, sia naturalmente e fortunatamente dotato: troppo poco, invece, per chi non lo sia. Dobbiamo dunque, pur nel medesimo ordine d'idee rimanendo, andar in traccia di un criterio meno generico, e più concreto, meno didattico e più scientifico. Se noi guardiamo più da vicino il modo di procedere proprio della conoscenza scientifica del diritto positivo, specialmente nel campo del diritto privato, ma anche nel campo del diritto amministrativo e del diritto processuale civile, e nella sfera del diritto in genere, vedremo che i mezzi tecnici di cui questa conoscenza dispone, si riassumono esclusivamente in tre ordini di procedimenti e di ricerche: 1° una ricerca esegetica; 2° una ricerca dogmatica e sistematica; 3° una ricerca critica del diritto (39). è appunto in questi tre ordini di ricerche che lo studio tecnico del diritto positivo penale deve consistere: esse prenderanno naturalmente una speciale fisionomia per la natura speciale del diritto cui si vanno applicando.
1°)
. La prima ricerca che la scienza del diritto penale ha da compiere è una ricerca di indole esegetica.
Io non starò a ripetere, in che cosa l'esegesi consista, come essa si fermi al mero esame del documento legislativo, e si traduca per mezzo della interpretazione della legge, secondo l'ordine da essa stessa seguito: sono queste nozioni così comuni, che potrebbero apparire volgari. Neppure mi indugerò sulla dottrina della interpretazione della legge in genere, e della legge penale in ispecie, quantunque sia d'opinione che questa dottrina, sin ora principalmente, se non esclusivamente, dai cultori del diritto privato e ai fini del diritto privato elaborata, abbisogni, nella parte che l'interpretazione delle leggi penali riguarda, di una revisione critica fondamentale. Alcune poche osservazioni soltanto io voglio in proposito fare. La prima è intesa a rilevare un mal vezzo anzi un errore, che si è insinuato specialmente nella nostra pratica giudiziaria. Si è creduto che il divieto sancito dall'art. 4 delle disposizioni preliminari al codice civile e l'art. 1° del codice penale, di estendere le leggi penali oltre i casi in esse espressi, tagliasse addirittura le mani all'interprete che si appresta a cogliere l'intima portata del dettato legislativo penale; e così l'interpretazione e l'applicazione delle disposizioni della legge penale si ridusse spesso ad un automatismo meccanico e gretto consistente nel vedere, col vocabolario alla mano, se le ipotesi letteralmente e strettissimamente previste dal legislatore penale si fossero nel fatto verificate. Gravissimo errore. Il divieto in parola non esclude, anzi include e presuppone dinanzi a sè l'interpretazione logica, e non soltanto grammaticale, della norma legislativa, cioè la determinazione del pensiero e della volontà della legge ed anche della sua ragione giustificatrice; nè si deve esagerarne la portata prendendo pretesto da locuzioni meno che esatte per dispensarsi dall'applicare la legge a casi che in essa veramente rientrano. Ma vi è di più. L'interpretazione di cui parliamo, può essere non soltanto restrittiva, bensì anche estensiva e modificativa: l'aver ritenuto, nelle disposizioni più sopra citate, l'assoluta, o anche soltanto parziale, esclusione dell'interpretazione estensiva, e per conseguenza di quella modificativa o correttiva, nel campo del diritto penale, è un altro grave quanto comune errore della nostra dottrina e più ancora della nostra pratica giudiziaria. Ciò che nelle materie penali viene interdetto all'interprete non è già l'interpretazione estensiva della norma legislativa, bensì soltanto l'interpretazione analogica e anche questa, come, per non ripetermi, dirò in seguito, entro certi limiti, tutt'altro che irrilevanti. Ora, per notevole che possa essere la somiglianza fra l'una e l'altra forma di interpretazione giuridica, è così profonda ed essenziale la differenza, ed a tutti, senza ch'io voglia ripeterla, così nota, da potersi, io penso, giustamente affermare non esser lecito di confonderle insieme nella comune esclusione dal campo delle norme di diritto penale (40).
La seconda, e certo non nuova, osservazione mira a mettere in guardia contro l'esagerazione e l'abuso del sistema esegetico.
L'esegesi - si sa - non è che la prima forma, la prima manifestazione dello studio scientifico del diritto: necessaria forma, si, ma anche la più bassa. Guai a coloro che subordinano la conoscenza scientifica del diritto al puro, gretto e materiale, commento esegetico della lettera legislativa! Eppure codesto errore è, più che non si creda, comune alla massima parte dei penalisti, specialmente appartenenti alla schiera dei pratici, cui il difetto di attitudine speculativa, la mancanza d'abito scientifico, l'inettitudine e l'inabitudine all'astrazione impediscono di andar oltre, più del medesimo e pedestre esame del documento legislativo. Il commento puramente esegetico, delizia di certi scrittori, per lo più da dozzina, preso in sè e per sè, è una forma di prodotto letterario scientificamente inferiore, una specie di degenerazione dell'elemento così detto pratico del diritto: giacchè è pur sempre vero, se pure comunemente detto e ripetuto, che nel commento esegetico non si fa già la scienza, ma si introduce, al più, della scienza, e che lo studio esegetico è soltanto una parte, e non la più nobile ed elevata, della scienza del diritto. Esagerato che sia e condotto all'abuso esso converte la scienza giuridica in un'arida casistica. "L'interpretazione esegetica - nota, fra gli altri, l'Orlando - distrugge lo spirito differenziale delle scienza giuridiche (41)". Il diritto penale è certamente diverso dal diritto privato e questo dal diritto pubblico, ma il commentare un articolo del codice penale non è qualcosa di diverso che commentare un articolo del codice civile o di commercio.
2°)
Queste poche osservazioni intorno a quella prima forma di attività scientifica, che è l'esegesi, ci renderanno agevole intendere la natura di quell'altra ricerca che la scienza del diritto penale ha da compiere, e che dicemmo essere la ricerca dogmatica.
La ricerca dogmatica è la ricerca - come la parola stessa ci dice - dogmaticamente descrittiva ed espositiva dei principi fondamentali del diritto positivo nella loro logica e sistematica coordinazione: quella che i tedeschi, un po' barbaramente, chiamano la costruzione degli istituti e dei rapporti giuridici e che altri dice la trattazione "sistematica" del contenuto del diritto vigente (Merkel, Filomusi). Il diritto è vita: fenomeno, anch'esso, sociale, anzi fra i fenomeni sociali il più importante, esso è un organismo che ha propria esistenza, proprie cause, proprie leggi che il giurista uopo è che rintracci nelle stesse viscere inesplorate di esso. L'esegesi, anche nel suo senso più elevato, non ci dà che la conoscenza empirica del diritto: dogmatica giuridica, con la cognizione sistematica delle norme giuridiche, poste in rapporto reciproco, in guisa da scoprirne le uniformità, determinarne le cause, i fondamenti, i principi, ci offre invece, la conoscenza scientifica del diritto medesimo. In rapporto all'esegesi, che è la scienza della legge, essa può dirsi veramente la scienza del diritto! Quando l'interpretazione, non soltanto letterale ma anche logica, ha adempiuto al suo compito, si apre l'adito, mercè l'analogia e i principii generali del diritto (art.3 Disp. Prelim. cod. civ.) allo sviluppo dei concetti contenuti nelle norme giuridiche per suo mezzo fissati. Allora, secondo le scultorie parole dello Scialoja, conviene partire dalle disposizioni delle leggi e astraendo risalire da concetto a concetto sempre più generalizzando e dal generale tornando a discendere al particolare si giudicherà per dirla con Aristotele (Eth. Nic., V, I0) "come lo stesso legislatore avrebbe detto se fosse stato presente" come avrebbe prescritto se avesse preveduto i fatti e i rapporti che non furono da lui regolati e che si tratta appunto di regolare (42). In tal modo la scienza giuridica costruisce dogmaticamente il sistema dei principi del diritto vigente. E la conoscenza metodica e sistematica di tali principi è quanto mai utile alla feconda e rigogliosa applicazione del diritto. Come l'olmo forte, l'edera tenace, così la dogmatica giuridica sorregge la ricerca esegetica che le si abbandona fidente e sicura; essa rende organica l'interpretazione, per sè meccanica, della legge e illumina e rischiara l'interprete negli ambigui silenzi legislativi, nelle tortuose asperità della pratica, nella multiforme varietà e complessità dei casi e delle fattispecie giuridiche. Ma sorge grave il dubbio. Una tale costruzione dogmatica dei principi del diritto positivo vigente è veramente possibile e utile nel campo del diritto penale? Non trova essa un ostacolo insormontabile, che le toglie al tempo stesso ogni pratica ragion d'essere, nella norma sancita dall'art.4 delle disposizioni preliminari al codice civile e dall'art. 1 del codice penale, i quali, sotto forma diversa, interdicono al giudice di fondarsi sull'analogia e tanto più sui principi generali del diritto (arti. 3 delle stesse Disposizioni) per applicare la pena? Io penso che no. Ciò che si vieta al giudice è soltanto di elevare a reato un fatto e di applicare al suo autore una pena al di fuori di qualsiasi esplicita previsione legislativa: giacchè con ciò usurperebbe una funzione che il legislatore, per un evidente pensiero di equità sociale e di convenienza politica: la tutela della libertà civile, vuole, soltanto a sè riservata. Ma con ciò non è detto che la funzione del giudice penale, come interprete del diritto vigente, abbia sempre a ridursi alla forma di una interpretazione inferiore. Il divieto della analogia e dei principi generali del diritto in materia penale ha un'efficacia assai più limitata di quello che dai più non si creda. Anzitutto esso non vale integralmente per le leggi processuali penali che, mentre non vietano azioni sotto minaccia di pena (art. 1 cod. pen. e 4 Dispos. prelim. cod. civ.) nemmeno, d'altronde, in tutte le loro disposizioni, "restringono il libero esercizio dei diritti dei cittadini" (art. 4 D. Prel. cod. civ.). Ma anche rispetto alle leggi penali propriamente dette esso non esclude punto che il giudice possa ricorrere così all'una che agli altri per decidere tutte quelle questioni di diritto penale, e non son certo poche, che non consistono nel vedere se un fatto rispetto al quale il legislatore omise di pronunziarsi, possa vestire carattere di reato, se una circostanza, che il legislatore non menzionò, possa avere il carattere di circostanza aggravante della pena stabilita per un dato reato.
Dire quali e quante queste questioni siano, non è certo possibile, sebbene facile sia immaginare: ma per limitarsi ad un semplice esempio, chi potrà negare la possibilità di un ricorso all'analogia, non solo, ma anche ai principi del diritto positivo penale in tutte quelle questioni giuridiche che insorgono nell'applicazione di disposizioni le quali, lungi dal portare una pena, hanno l'effetto di escludere, rispetto a taluni casi, l'applicazione della pena, o anche di sostituire pene minori a pene più gravi? O in quelle questioni tendenti a determinare concetti giuridici dal legislatore, nelle sue disposizioni, supposti ma non definiti? (es. cod. pen. art. 9 capov.: "delitti politici"; art. 366, n. 2: "premeditazione" ecc.). In tutti questi casi, e in genere, in tutti quelli in cui si tratti di interpretare norme giuridiche penali non già penalmente imperative o proibitive, ma o permissive (es. art.49 n. 2, 3 cod. pen.) o negative (es. art.44, 45, 46, 49 n. 1, 53, 85, 86, 91 cod. pen.) o dichiarative (es. art.155, 191, 207, 263, 470 cod. pen.) attingere ai principi generali del diritto, come all'antologia, è dunque lecito al giudice penale: se così non fosse, poichè gli è pur forza risolvere in un senso o nell'altro i problemi insorti dell'applicazione della legge, egli non potrebbe emettere alcuna sentenza (43). Ciò detto, la possibilità e l'utilità pratica di una costruzione dogmatica e sistematica dei principi del diritto positivo penale, dinanzi messa in dubbio, appare evidente: essa deve fornire preziosi contributi nell'opera quotidiana dell'applicazione giudiziale della legge vigente. Ho detto utilità pratica, e non scientifica, perchè questa è così manifesta che mi parrebbe di perder tempo a metterla in evidenza (44). Del resto, ed è noto, l'una specie di utilità è così all'altra connessa, che l'Jhering potette giustamente rilevare come spesso la soluzione di una sola questione teorica possa dar la chiave di volta in tutta una serie di questioni pratiche che si cerca vanamente di chiarire in una maniera indiretta (45).
Io insisto volentieri sulla necessità e l'importanza di questa che abbiamo chiamato ricerca dogmatica, perchè è appunto alla sua trascuranza che si deve la lamentata attuale imperfezione tecnica del diritto penale. Se una riforma nella scienza nostra è necessaria, essa deve cominciare anzitutto da una revisione dogmatica, da una nuova, più precisa e corretta e insieme più moderna, determinazione dei concetti giuridici fondamentali. Questa determinazione è difficilissima: nel diritto penale più che in ogni altro ramo del diritto, come agevolmente si comprende per poco ci si soffermi a riflettere. Il diritto penale è un diritto di natura speciale: esso ha particolarità caratteristiche che, mentre da tutti gli altri rami del diritto lo distinguono, ad essi indissolubilmente, specie ai fini scientifici, lo ricollegano. Questa speciale natura del diritto penale si riassume nel dire che esso ha il carattere di un diritto, bensì autonomo e primario, ma tuttavia integrativo, nei suoi precetti e nelle sue sanzioni, di tutte le altre branche del diritto (46). E infatti compito particolare di esso la specifica tutela coattiva mediante la minaccia e l'inflizione della pena dei beni e degli interessi umani ai beni dell'esistenza individuale e sociale la cui offesa (reato) riveli e produca, ad un tempo, un pericolo per la esistenza della società giuridicamente organizzata (47). Ora questi beni e interessi che il diritto penale tutela, sono spesso (se non sempre) già giuridicamente protetti senza o mediante il riconoscimento della volontà che prosegue e costituiscono, perciò, spesso, beni e interessi giuridici, individuali o collettivi, o anche veri e propri diritti soggettivi, privati o pubblici dei singoli o dello Stato. E poichè questi beni e interessi, possono essere infinitamente vari: dalla vita, all'onore, dal patrimonio, alla libertà personale, dalla morale domestica, al segreto epistolare, così infinitamente vari ed eventualmente appartenenti alle più diverse branche del diritto possono essere i beni e interessi giuridici o i diritti subbiettivi che vi corrispondono. La natura dei reati, che di questi interessi giuridici o di questi diritti sono la violazione non può in tali casi, in nessun modo giuridicamente, che è quanto dire scientificamente, determinarsi, se non quando si sia anteriormente determinata e stabilita la natura di quegli interessi giuridici o di quei diritti: conoscenza, quest'ultima, che implica, dunque, per lo meno nell'ipotesi in questione, la conoscenza, almeno elementare e fondamentale, di tutti gli altri rami del diritto, pubblico e privato. In questo senso, appunto, in quanto cioè il diritto penale, pur mantenendo la sua indipendenza, s'irradia talvolta con funzione completiva e tutrice, su ogni campo del diritto, è giusto il dire che la conoscenza scientifica del diritto penale implica in via subordinata, ma ineccepibile, la conoscenza scientifica di tutti gli altri rami del diritto: e che esso trova, mi si passo la frase abusata, "ses tètes de chapitre", in tutte le altre speciali scienze giuridiche (48).
Quale vasto e talvolta inesplorato orizzonte di studi si offre qui al penalista, sia pure che egli si metta a scrutarlo dal suo particolare punto di vista! Ma quale altresì necessario, anzi indispensabile, studio!
Provatevi, infatti, a conoscere scientificamente i così detti "reati contro la proprietà", senza conoscere, almeno nelle sue linee fondamentali, il sistema del nostro diritto privato, civile e commerciale! Provatevi a studiare scientificamente i reati contro la pubblica amministrazione, senza conoscere i principi generali del nostro ordinamento giuridico amministrativo, o i reati contro l'amministrazione della giustizia senza conoscere i tratti caratteristici e fondamentali del nostro diritto processuale e del nostro ordinamento giudiziario, o i reati contro lo Stato o la libertà senza conoscere i capisaldi del nostro ordinamento costituzionale!
I risultati cui perverrete saranno così scientificamente nulli da non andare più oltre della semplice riproduzione degli articoli della legge, con la relativa esposizione delle piccole controversie esegetiche che vi sono connesse: risultati indegni del nome della scienza!
Ma anche senza voler andare a rintracciare in altri ordini scientifici, che il nostro non sono, la necessità, l'importanza e la difficoltà di una elaborazione dogmatica del diritto penale questa si rivela già, prima facie, in quella parte della nostra scienza che suol chiamarsi "generale".
è un fatto che mentre gli scrittori accumulano ancora capitoli su capitoli nell'illusoria pretesa di risolvere il bimillenario e forse irresolubile problema del libero arbitrio, mentre ci perdiamo ancora in dispute, talvolta bizantine, e sempre poi interminabili, sul "fondamento" del diritto di punire e sopra altri argomenti i quali, pel fine immediato e pratico della scienza nostra, non hanno che una importanza accessoria, ecco che i veri problemi giuridici fondamentali sono talora così trascurati che solo uno sforzo laborioso di bibliografia può riscontrarne, qualche volta, le tracce.
è mai possibile, per esempio, un diritto penale senza che l'idea dello Stato e della sua personalità giuridica sia così chiara, così abituato come può essere il concetto di capacità giuridica nel diritto privato? Eppure voi potrete ancora leggere nei nostri moderni scrittori diverse pagine intese a discutere la macchinosa ipotesi della società - organismo, ma ne troverete ben poche che pongano il concetto dello Stato e della sua giuridica personalità nel campo del diritto penale.
E il nostro moderno diritto penale, non manca egli forse tuttora, quasi assolutamente di quella teoria dei diritti pubblici subiettivi, individuali e statuali, così comune ormai nel campo del diritto pubblico interno e così essenziale anche a quel ramo di esso che è i diritto penale? E allora come si può sperare una ricostruzione dogmatica del nostro diritto positivo penale, quando manca perfino ciò che costituisce il presupposto di ogni costruzione giuridica, cioè la determinazione dei rapporti giuridici, di che nella scienza nostra si tratta, del loro contenuto, dei loro soggetti, della loro nascita, modificazione, estinzione?
Io eccederei, dai limiti che mi sono prefissi, se concedessi alla dilucidazione di questo punto così essenziale della ricerca giuridica penale, più che un accenno fugace: ma non posso a meno di esprimere il mio radicato e profondo convincimento, che una sistemazione scientifica delle nostre discipline, dal punto di vista giuridico non sarà possibile fino a tanto che non si sarà stabilito quale sia la natura e quali i caratteri dei rapporti giuridici che nel campo del diritto penale sostanziale, intercorrono far Stato e suddito, fra Stato e reo, fra Stato e offeso e, nel campo del diritto penale processuale, fra parti e giudice, fra parte e parte (49).
La scienza del diritto ha elementi propri con cui lavora, senza dei quali nessuna indagine, per minima che sia, le è possibile compiere. Questi elementi sono norme giuridiche, cioè, rapporti giuridici, sono soggetti capaci di diritti e di doveri, cioè, persone giuridiche (uomini o collettività di uomini). Fuori di essi non v'è scienza del diritto, e neppure scienza del diritto penale (50).
Il non aver sempre compresa e rispettata questa verità - verità ben semplice invero, ma non meno importante - ha fatto invadere il campo giuridico penale da eterogenei concetti politici e filosofici e sopra tutto da biechi fantasmi del mondo antropologico e da strane figure sociologiche che attraversano la scena del diritto e l'ingombrano con crescente disperazione degli spettatori.
3°)
. Dopo l'esegesi, dopo la dogmatica, vien terza la ricerca critica: l'ultima di cui la scienza del diritto disponga.
L'esegesi e la dommatica ci hanno fatto conoscere il sistema del diritto vigente, ci hanno dato il diritto quale è in forza delle leggi che ci regolano; sorge adesso l'esigenza di una ricerca ulteriore, la quale, non paga più della conoscenza del diritto qual è, chiede a sè stessa se e fino a qual punto esso abbia una necessità e una ragione di essere, e se, eventualmente, non debba ad esso sostituirsi un diritto diverso: e questa è la ricerca che prende il nome di critica e che suole anche dirsi ricerca del diritto costituendo. Sotto due modi, è noto, può esplicarsi la critica. Indirizzandosi ad istituti che il vigente diritto riconosce e consacra, può essa invocare riforme intese a modificarne la disciplina o addirittura ad abolirne la esistenza giuridica: ma può essa altresì, volgendo indietro lo sguardo traverso la storia o volgendolo innanzi traverso il diritto delle altre nazioni, fissare la sua attenzione ad istituti che il vigente diritto positivo non per anco consacra, per invocare dal nuovo diritto il loro riconoscimento legislativo. E come diversi sono i modi con cui si esplica, così diversi sono pure i mezzi di cui la ricerca critica si vale. Il primo sistema di critica è quello che limita la sua azione nell'àmbito stesso dello studio del diritto positivo vigente: traendo, per virtù di logica deduzione, i teoremi e i corollari del diritto vigente, esso mostra la disparità, le antinomie, le disarmonie esistenti nel seno del diritto qual è, e la sua pratica impossibilità a raggiungere gli scopi, sociali e politici, dal legislatore voluti. E' questa forma di critica, (non da tutti per verità conosciuta e da pochissimi praticata) parte viva della elaborazione dogmatica, tanto da potersi dire che in essa rientri, come quella che trae la previsione del diritto futuro, dalle intime latèbre del diritto attuale: è in brevi parole la critica dedotta dai principi stessi e dall'applicazione pratica del diritto positivo vigente, la critica giuridica.
Generalmente però, non è in base ai principi ed al sistema del vigente diritto, che una legge può criticarsi, bensì in base a valutazioni di ordine sociale o di ordine politico. Il compito del giudizio, della critica e della riforma, del diritto penale vigente da questi due ultimi aspetti sociale e politico, spetta appunto alla filosofia del diritto penale e alla politica criminale, (o meglio a quella parte di essa, che potrebbe dirsi politica penale) le quali, ponendosi dal punto di vista del legislatore penale, ci dicono, appunto, in base alle necessità sociali e alle opportunità politiche, quali siano i migliori mezzi repressivi di lotta contro la criminalità (scienza del diritto penale de lege ferenda scienza o arte della legislazione penale) (51).
Ed è qui che ricorre un'osservazione fondamentale. Di qualunque specie di critica si tratti, attinga essa alla fonte delle esigenze logiche del sistema e delle esigenze pratiche della applicazione del diritto positivo vigente, o a quella delle necessità sociali, o a quella delle convenienze ed opportunità politiche, norma indeclinabile al giurista, deve esser questa: che non si passi nella comoda via della critica, se non attraverso il ponte scabroso e difficile della ricerca esegetica e, sopra tutto, della ricerca dogmatica e sistematica. L'indagine esegetica e dogmatica, insieme unite, reciprocamente contemperate, armonicamente condotte, debbono darci, o ci danno, quello che il diritto positivo è, in sè o nei principii che lo ispirano: correre alla critica non è lecito, se prima queste indagini non siano completamente e coscienziosamente esaurite, giacchè non è possibile criticare ciò che, scientificamente almeno, non si conosce ancora (52). Sterile piacere, in vero, questo della critica legislativa. Quando pure essa produca il suo miglior frutto, la riforma legislativa, quanto mai remota non ne è la maturazione? E non è soltanto sterile la critica legislativa, ma altresì, bene spesso, esiziale al fisiologico sviluppo della scienza. E' ad essa che andiam debitori di aver così gravemente nociuto al carattere giuridico della scienza nostra. In questa, infatti, la discussione filosofica, morale, sociale, economica, politica, storica, e perfino biologica e psicologica circa il fondamento, la giustificazione, la bontà, la convenienza generica e specifica di un istituto, soffoca e seppellisce lo studio giuridico di esso, quando pure non serve addirittura ad escluderlo. Parliamo della pena: ed ecco mille teoriche che ne discutono le origini, il compito, il fondamento, lo scopo, la legittimazione, la riforma, e, perfino, parrà strano, la possibilità della sua abolizione: e intanto non si definisce nemmeno che cosa la pena giuridicamente sia. Parliamo di responsabilità penale e ci occupiamo di andarne a rintracciare la radice e la giustificazione fin nell'intimo mistero della psiche umana: ed ecco un mucchio di dottrine che ne ricercano, affermandolo o negandolo, il fondamento psicologico: dalla dottrina del libero arbitrio, a quella del determinismo; da quella della libertà relativa della volontà a quella della libertà dello intelletto; da quella della intimidabilità a quella della normalità; da quella della identità personale a quella dello stato individuale di criminalità; e intanto si trascura di stabilire con precisione quali sono le condizioni, soggettive o oggettive, che il vigente diritto penale richiede perchè si sia chiamati a rispondere penalmente verso lo Stato delle proprie azioni delittuose (53). Parliamo del delitto, ed ecco chi antropologicamente lo considera come l'effetto della variazione individuale o della degenerazione, o dell'ambiente, o dell'ibridismo, o dell'assorbimento di certe speciali proteine elaborate dall'uomo vivo o della denutrizione del sistema nervoso centrale, o della tarda e precoce età dei genitori o dell'arresto di sviluppo del sistema arterioso o come l'effetto di un virus simile al virus della rabbia e via, per tutti i gusti; ed ecco pure chi, dal punto di vista sociologico, lo crede un fenomeno normale e, come tale, socialmente utile, o anormale, ma socialmente utilizzabile: ed ecco una quantità di ricerche intorno alla nozione del così detto delitto naturale o sociale, di cui si dànno le più strane e svariate definizioni; ma intanto non si precisa nemmeno che cosa il delitto, o per dir meglio il reato, dal punto di vista giuridico sia, e sfugge quasi completamente la nozione di esso come fenomeno giuridico, come fatto giuridicamente illecito, da cui derivano obbligazioni e diritti. Che più? Parliamo del delinquente e vogliamo studiarlo nella sua intima struttura fisica e psichica: ed ecco chi lo crede un selvaggio in ritardo, un pazzo morale, un epilettico, un isterico, un nevrastenico: chi, al contrario, lo crede un uomo normale, stimando invece anormale l'uomo onesto; ed ecco una fioritura di classificazioni e di sotto classificazioni dei delinquenti: nati, pazzi, occasionali, passionali, abituali (54). Ma intanto si mette da parte l'idea, ai fini del diritto essenzialissima, della personalità giuridica del reo, in quanto è cittadino sia pure imputato e, eventualmente, condannato in un giudizio penale, si dimentica che lo individuo qualificato e perfino giudicato come delinquente possiede, come consociato, avanti e dopo il reato e perfino, entro certi limiti, dopo la condanna, la garanzia dei diritti o dei beni e interessi giuridici che costituiscono il suo stato personale e la sua condizione patrimoniale, senza che dal godimento di tali diritti o interessi giuridici si possa in alcun modo ed a priori escluderlo, essendo, per ora almeno, impossibile una sicura diagnosi della delinquenza potenziale ed essendo probabilmente per sempre impossibile una sicura prognosi della delinquenza effettiva (55). Quale il risultato di un tale sistema? Il risultato è che quelle nozioni giuridiche che in altri rami del diritto appaiono sempre rivestite di una certezza obiettiva, nel diritto penale portano seco faticosamente dietro il guscio indivisibile ed opprimente di discussione e di controversie proprie di altre scienze, che quelle nozioni avviluppano di dubbi insuperabili e mettono in forse continuamente nelle pratiche applicazioni. Il risultato deplorevole è che mentre i cultori del diritto privato, per esempio, hanno preso a considerare i princìpi del diritto ed a trattar gli istituti giuridici quasi (dirò seguendo la bella immagine di Savigny e Jhering) come entità reali, esistenti, viventi (56); ai cultori del diritto penale essi appaiono invece come creazioni dell'arbitrio o della fantasia del legislatore; onde quella chiarezza, quella certezza, quella quasi matematica precisione che costituiscono l'abito intellettuale tecnico dei cultori del diritto privato, si convertono, nel campo del diritto penale, in incertezza, in oscurità, in confusione.

*****

Abbiamo visto quale sia il problema, il compito e la missione, della scienza del diritto penale, cioè la conoscenza scientifica del diritto positivo vigente per la pratica applicazione di esso ai casi particolari. Abbiamo visto altresì, in parte, quale ne sia il metodo, determinando i mezzi, i procedimenti tecnici che il giurista deve mettere in atto per conoscere scientificamente il diritto positivo. Resta, perchè della questione del metodo compiutamente si tratti, che si dica, con la dovuta brevità, alcunchè delle fonti cui la scienza del diritto penale ha da attingere in questo studio tecnico del diritto vigente. Lo studio dogmatico e sistematico dei princìpi generali del diritto nella sua armonica e coordinata unità, è uno studio per sua natura eminentemente logico e deduttivo, che bisogna però, appunto perchè tale, guardarsi bene dal convertire in uno studio aprioristico, astratto e formale. Ad evitare questo scoglio, in cui sovente le scienze giuridiche inciampano, che formalismo si chiama, ad evitare che la costruzione dogmatica degli istituti e dei rapporti giuridici si desuma meccanicamente, con le sole regole ermeneutiche, dalle norme scritte nel codice; ad impedire, infine, che la scienza del diritto si converta in una giostra accademica di principi, rigidamente dedotti, con logica cieca dinanzi ad ogni realtà, uopo è pure che la deduzione logica si reintegri e completi, entro certi limiti, con l'induzione sperimentale, e da essa riceva animo e moto, così da dar vita ad un procedimento scientifico che, obbedendo alla legge della fondamentale unità dei due metodi, meriti a ragione il nome di metodo, veramente e sanamente, positivo. Le sorgenti da cui trae alimento l'induzione sperimentale che può valere come mezzo ai fini scientifici del diritto penale, si riducono se non andiamo errati, a tre: la antropologia (ivi compresa la psicologia) e la sociologia: la storia: il diritto comparato: onde tre forme di induzione: l'induzione antropologica, psicologica e sociologica, l'induzione storica, l'induzione comparativa.
A.
La prima specie di induzione, è quella che ci offrono le scienze che studiano l'uomo e la società. Il diritto, altro non è che norma della umana condotta, e, come tale, esso, necessariamente, è, anche forma, e superstruttura (epifenomeno, secondo l'espressione di alcuni) di fenomeni umani e sociali che, al di sotto di esso, palpitano di vita perenne. Conoscer completamente di quello, non è dunque possibile senza conoscer, almeno elementarmente, di questi: onde allo studio della struttura tecnica di un istituto giuridico, è necessario che si accompagni lo studio del suo scopo e della sua funzione sociale, e quindi, alla conoscenza della norma giuridica, è, sino a un certo punto, necessario, che si accompagni anche la conoscenza degli uomini e dei fatti su cui quella norma impera. E in tal modo, ma in tal modo soltanto, che la scienza giuridica, scienza di ragionamento logico, può sposarsi alla scienza di osservazione sperimentale. Così il diritto penale, scienza delle norme giuridiche disciplinanti quei fatti umani e sociali che si chiamano delitti, e quei fatti sociali e politici che si chiamano pene, se vuole esser cosciente dello scopo e della funzione sociale delle norme che studia, bisogna pure che arricchisca, in certa misura, sè stesso della conoscenza dell'uomo che il delitto commette e a cui la pena si applica, della conoscenza dell'ambiente nel quale il delitto viene commesso e in mezzo a cui la pena svolge i suoi effetti; bisogna, in altri termini, che prenda in certi limiti conoscenza del delitto come fenomeno naturale, individuale e sociale, e della pena, come fenomeno sociale, attingendo ai dati che ora le offrono quelle nuove scienze che sono l'antropologia (somatologia e psicologia) e la sociologia criminale. E poichè il diritto penale non ha soltanto la funzione di infrenare mediante la pena, l'attività umana ribelle al diritto medesimo, ma altresì nel tempo stesso, di difendere l'attività giuridicamente lecita; poichè esso non si rivolge soltanto a coloro che son naturalmente proclivi a delinquere, ma anche ai cittadini naturalmente ossequenti alla legge, così esso ha bisogno altresì della conoscenza, sebbene soltanto sussidiaria, degli uomini e della società in genere, per apprender gli effetti psicologici e sociali che il delitto e la pena in essa producono, ciò che è pur compito della psicologia e della sociologia, sia generale che criminale. Uno dei caratteri peculiari dell'odierno momento scientifico del diritto penale, consiste appunto, come fu osservato (57), nel constatato bisogno di un armonico e efficace coordinamento della scienza giuridica penale specialmente con gli studi sin ora compiuti sull'uomo delinquente e sul delitto considerato come fenomeno sociale. Bisogna che la scienza del diritto penale, pur conservando gelosamente il suo essenziale carattere di scienza giuridica, si mantenga vicina alla vita e da essa tragga forza ed alimento; giacchè non è possibile comprendere il sistema del diritto penale vigente, - che è non solo sistema di imperativi e di massime ipotetiche, ma altresì sistema di relazioni umane e sociali, giuridicamente ordinate, - e soprattutto non è possibile preparare il sistema del futuro diritto criminale, senza possedere i fattori d'ordine antropologico, psicologico e sociale che concorsero a formare il primo o concorreranno a formar il secondo senza conoscere l'ambiente umano e sociale in mezzo a cui vivono e al quale applicano le norme del diritto penale presente e avvenire. Certo, negli studi antropologici, psicologici e sociologici criminali sono assai pochi i risultati sicuri; spesso, troppo spesso per nostra sventura, in nome della scienza sperimentale, si emisero teoriche fantastiche e lungi da ogni fondamento reale: ma ripudiando appunto tutto ciò che vi è in essi di esagerato e di falso, negando, anzi, rigorosamente quartiere a tutto ciò che veramente non risulti dimostrato dal controllo positivo dei fatti, è necessario accogliere nel seno della scienza giuridica, come necessarie premesse della scienza medesima, quelle pratiche verità sia pur numericamente limitate, che la osservazione o l'esperimento ci avranno indubitatamente come tali indicate.
Esaminare particolarmente quali siano i risultati di un tale coordinamento, anche soltanto sui punti essenziali della nostra scienza implicherebbe l'esame di tutta la scienza, essa stessa, il che non è certamente qui il luogo di opportunamente fare; ne limitandoci ad un semplice accenno, diremo che l'antropologia criminale, non già come anatomia e fisiologia, ma invece come psicologia e più ancora come psicopatologia criminale, sembra a noi poter esser di aiuto principalmente per la determinazione tecnica, allo scopo dell'applicazione giudiziale del diritto vigente, dei principi giuridici generali dell'imputabilità, e della responsabilità penale, e delle cause giuridicamente esclusive o limitatrici delle medesime e la sociologia criminale poter servire di sussidio nella definizione delle nozioni giuridiche del reato e della pena in genere e dei singoli reati in ispecie. Se tuttavia, a più particolari svolgimenti, non ci è qui consentito procedere, ci è appunto perciò lecito, anzi doveroso, porre un'osservazione d'indole generale e metodica, che serve a confermare concetti già in precedenza accennati. La proclamata necessità per la scienza del diritto penale di rinnovare le sue dottrine nelle onde pure del naturalismo e del suo sapere positivo, per sostituire alle ipotesi astratte, uno studio profondo dei fatti (58), non deve portarla ad uscire dal campo che naturalmente e rigorosamente le è assegnato dal suo carattere di scienza giuridica. La scienza del diritto penale, dalla antropologia, dalla psicologia, dalla sociologia criminale, altro non deve attingere se non i dati positivi delle sue costruzioni giuridiche, giacchè è naturale che elementi anche complessi e difficili, di una scienza possano non solo, ma debbono costituire semplici "dati" o "presupposti" di un'altra (59).
L'indagine penetrante nella realtà della vita naturale e sociale da cui il diritto criminale rampolla, purchè serenamente e pazientemente condotta, purchè contenuta nei suoi limiti naturali e legittimi, è, anch'essa, uno dei fattori di una florida esistenza della scienza giuridica penale. Mercè lo studio, sebbene soltanto sussidiario e complementare, dei fatti in sè, nelle loro cause, nei loro effetti, nelle grandi leggi sociologiche che li dominano; mercè lo studio, sebbene meramente ausiliario, degli uomini nei loro organismi, nelle loro malattie, nelle loro rappresentazioni, nei loro sentimenti, nelle loro volizioni, nel loro ambiente, la conoscenza tecnica della disciplina giuridica del delitto e della pena, pur rimanendo e dovendo rimanere nei suoi rigorosi limiti di scienza giuridica, esce tuttavia animata e vivificata come da un soffio di vita. In tal modo la costruzione scientifica del diritto vigente riesce ad integrare organicamente la legge nelle aride e fredde formule che la costituiscono, a ravvivarne le norme formali e superficiali. Per tal modo, specialmente, la filosofia del diritto penale e la politica criminale, maturano e preparano i germi delle riforme legislative, quasi anticipando l'opera del legislatore, cui altro non resta se non apporre il suggello dell'autorità dello Stato ai risultati da queste scienze ottenuti sull'osservazione genuina dei fatti. Così, con trasformazione lenta e graduale, normalmente, senza soluzione di continuità nella evoluzione giuridica, pari al maschio dell'ape che muore generando, il precetto etico o la regola politica si converte in precetto di diritto vigente.
B.
Accanto all'induzione antropologica, psicologica e sociologica, si aggiunge la induzione storica e comparativa. Io non starò a ripetere in qual modo la storia del diritto penale possa divenire una fonte della conoscenza scientifica dello stesso diritto penale vigente, e se occorre anche segnare le grandi linee della via per la quale dovrà necessariamente incamminarsi il diritto penale futuro; non starò a spiegare come, seguendo il filo storico dello svolgimento degli istituti giuridici penali, si possa bene spesso riuscire a scorgere, attraverso una nebbia di oscuri concetti, la limpida loro figura nel diritto presente. è merito glorioso della scuola, detta appunto storica del diritto, la quale a noi appare come una delle forme di applicazione del metodo induttivo alle scienze giuridiche, l'aver dimostrato tali verità, su cui dunque sarebbe ormai superfluo l'insistere.
C.
Ciò che la ricerca storica del diritto penale fa nell'ordine della successività, compie poi la scienza del diritto penale comparato nell'ordine della contemporaneità. Fonte, anch'essa importantissima della conoscenza scientifica del diritto penale, essa costituisce un valido ausiliario così nella ricerca, che abbiamo detto, dogmatica, come, e più, in quella, che chiamammo, critica. Sopra tutto in quest'ultima, essa slarga l'orizzonte delle idee scientifiche fin oltre i confini dello Stato e del diritto nazionale, e fornisce i modelli su cui vanno plasmate le riforme legislative che vogliano trarre profitto dalle altrui passate esperienze. Ma nella costruzione dogmatica dei principi del vigente diritto penale, come nella critica di esso, sempre cauto ne deve essere l'uso: occorre anzi evitare l'abuso che solitamente se ne va facendo, a mera pompa di facile erudizione, allorchè si citano in lunghe fila, a mo' di autorità dottrinali; e non bisogna dimenticare che, nella conoscenza scientifica del nostro diritto penale, quei diritti penali stranieri possono soltanto invocarsi, il cui generale sistema al nostro si avvicina alle sue linee tipiche e fondamentali; e questi pure, ivi soltanto, ove si palesi il bisogno di colmare le lacune delle leggi italiane.
Così la scienza del diritto penale sicuramente procede sulla base della verità e dell'intima natura dei fatti individuali e sociali, con la scorta della storia e del diritto comparato dei popoli civili. Queste sono le conti della "conoscenza scientifica" del diritto, non del diritto, come da alcuni, rispetto alla prima di esse, non esattamente fu detto (60). Posto un tale concetto, la questione, tuttora così ardente, dei rapporti fra la scienza del diritto penale e l'antropologia, la psicologia e la sociologia criminale, s'illumina di vivida luce: la scienza del diritto penale, per le sue costruzioni giuridiche, si giova, come suo mezzo, come suo dato e presupposto, dell'induzione antropologica, psicologica e sociologica, nel modo istesso con cui si giova della storica e della sua comparativa: ma essa non è antropologia, o psicologia, o sociologia, più di quel che sia storia o diritto comparato (61).

*****

Qui ho finito e mi è d'uopo concludere.
Ogni crisi nella scienza, come nella vita, è per se stessa sempre atta a preparare un avvenire migliore per la civiltà, è avviamento a raggiungere una sempre più limpida coscienza delle svariate e complesse necessità della convivenza sociale umana. La lotta è legge della vita: ed è soltanto dal cozzo delle contrarie opinioni, sinceramente combattenti in nome della libertà del pensiero, vigorosamente affermanti la forza cosciente dell'idea nel mondo delle cose, che può sprigionarsi la scintilla del nuovo vero scientifico o anche soltanto la determinazione nuova di veri antichi. Così nel campo del diritto penale, dopo una lenta azione e una violenta reazione, sorge oggi la tendenza verso l'equilibrio, e in obbedienza alla legge, che dal contrasto fa scaturire la vita, dall'urto, il progresso, si sente ormai vicino il momento in cui, dal gran duello fra lo spirito e la materia, fra l'idea e la realtà, sorgerà, come risultante di forze opposte e contrarie, il sano progresso della scienza giuridica. Occorre che sul vecchio, ma ancor vivo tronco della classica scienza del diritto penale, sfrondato delle foglie morte della filosofia metempirica del diritto criminale, difeso dalle sempre invadenti e talvolta inquinate correnti dell'antropologia della psicologia e della sociologia criminale, protetto dai variabili e insidiosi venti della politica criminale riformatrice, irrobustito e rinverdito dalla benefica linfa del tecnicismo giuridico, sorretto dal contatto degli altri e più gagliardi rami della scienza giuridica: si vengano innestando i germogli scientifici, non intisichiti, rigogliosamente cresciuti sotto il clima dei tempi nuovi. Hoc opus, hic labor est.

Note

(1) Il presente studio è la mia "prelezione" al corso di diritto e procedura penale letta nella R. Università di Sassari il 15 gennaio 1910. Ho creduto opportuno di conservargli il carattere insieme occasionale e didattico, carattere che non avrei, d'altronde, potuto togliergli, senza rifare totalmente il lavoro. Esso non vuole essere considerato, perciò, come una monografia scientifica sull'argomento, per quanto l'estensione e l'importanza del tema possano ben sembrare richiederla.
Ho aggiunto tuttavia, nel pubblicarlo, parecchie Note intese a precisare alcuni punti oscuri o troppo recisamente informati e ad indicare con diffusi cenni bibliografici, il rapporto in cui stanno i concetti espressi da altri con quelli da me sostenuti. I germi dei quali si trovano già in altri miei precedenti lavori. Cfr. specialmente: Prefazione al libro L'abuso di foglio in bianco, Milano 1933, pag. VII; Responsabilità civile dei magistrati nella Giustizia Penale, anno IX, (1903). Estratto, specialm. pag. 6, nota 2; Sul concetto del diritto subiettivo di punire, Prato, 1904, specialm. pag. 3-7; La riparazione alle vittime degli errori giudiziari, Napoli, 1907, (1ª Ed., 1902) specialm., pag. 171 e segg. Appena poi è necessario avvertire che fu tolto dal discorso tutto ciò che non riguarda il tema.

(2) Notevolissime per sincerità di pensiero e intuito fedele di verità, relativamente all'odierno momento scientifico del diritto penale in Germania, sono lo parole (che potrebbero a un dipresso ripeterai anche per altri paesi, il nostro compreso) con cui il prof. Liepmann apre un suo pregevolissimo e ancor recente lavoro (Einleitung in das Strafrecht. Eine Kritik der Kriminalistischen Grundbegriffe. Berlin, Häring 1900) Einleitung, Die Aufgabe, pag. 103: Non si può disconoscere - così egli dice - che la situazione nella quale si trova attualmente la scienza del diritto penalo è, in particolar modo, critica. Mentre nelle altre discipline di diritto pubblico, e ancor più nel diritto civile, dominano vita attiva e fresco movimento, la dottrina del diritto penale presenta un ristagno fastidioso e deprimente. Con sempre rinnovato vigore si presentano le vecchie antitesi sulle concezioni fondamentali, senza che la discussione apporti, in sostanza, nuovo pensiero. E, come suole avvenire, non appena si mostra su la scena l'acrimonia polemica, svanisce sempre più in speranza di una spiegazione fra le parti contendenti, e più ancora in speranza di un efficace chiarimento dello stato dalle questioni. Dinanzi a questa condizione di cose nella quale quasi ogni moderno criminalista si trova irretito, appare comprensibilissimo che intiepidisca la gioia del lavoro, sopra tutto nella trattazione dei problemi fondamentali, e minacci di subentrare, al suo posto, soltanto una pacifica coltivazione di argomenti speciali e limitati. Nell'interesse del progresso della scienza.

(3) Gli effetti della crisi odierna del diritto penale non si limitano del resto, al puro campo scientifico, ma si estendono, quel che è peggio, anche alla pratica giudiziaria. Così, or non è molto, il Pessina, in un suo elaborato Programma ad un opera di diritto penale da lui diretta (Enciclopedia del diritto penale, Milano, Soc. ed. Lib., 1901) osservava come la lotta impegnatasi fra le vari scuole nel dominio puramente scientifico del diritto penale abbia fatto si che nella vita pratica di esso si sia insinuata una certa confusione di idee che affievolisce l'intelletto del giurista rendendolo perplesso nell'interpretare le leggi. E il prof. Garcon in una sua notevole prefazione ad un libro recente (Paul Saillard, Le rôle de l'avocat en matiêre criminelle, Paris 1905) faceva osservare come il diritto penale non goda in Francia (e si potrebbe dire lo stesso anche in Italia) il favore nè dei magistrati nè degli avvocati. Una delle cause di questo discredito, è, per lui, che la scienza del diritto no esercita ormai più che una funzione evanescente nel processo penale, dove tutto sembra ricondursi a apprezzamenti di prova e di puro fatto. La verità è, egli dice, che non si discute di diritto perchè lo si conosce poco: è una osservazione che fanno naturalmente tutti quelli che frequentano le udienze penali. E una nota che "les ècoles de droit ont une part de responsabilitè dans ce dectin des ètudes criminelles". Quanto poi alla Germania il Binding, gin dal 1881 nel suo articolo Strafgrestzgebung, Strafjustiz und Strafrechtsurissenschaft in normatem Verhültuiss zu einander Bd. I (1881), p. 4 e seg., notava il decadimento (che, in questi ultimi tempi, non sembra essersi arrestato ma, invece, accentuato) della pratica giudiziaria penale in Germania e osservava come i magistrati spinti a un esagerato ossequio della parola della legge, sopraccarichi di lavoro e privi dell'ausilio della dottrina giuridica si siano dato anima e corpo a un triplice culto: culto della lettera della legge che sovrappone la forma allo spirito: culto delle decisioni del Tribunale supremo elevate al disopra della legge: culto dei motivi legislativi nei quali la opinione individuale dell'autore elude la volontà della legge. Che questo triplice culto sia estraneo alla magistratura penale italiana sarebbe, anche oggi (anzi oggi specialmente), illusione affermare.

(4) Per il Carrara (Programma, 4" ed., Lucca 1871, I, Prolegomeni) "esiste una legge eterna, assoluta, costituita dal complesso dai precetti dirottivi della condotta esteriore dell'uomo promulgata da Dio all'umanità mediante la pura ragione" e "il diritto è congenito all'uomo perchè dato da Dio all'umanità fin dal primo momento della sua creazione" (Programma, Prefazione alla 6" ed., p. 10-11); onde "chi nega al diritto una esistenza assoluta precedente alla logge umana, nega all'ordine giuridico la divinità che lo crea" (Programma, I, 5ª ed., p. 41 nota). Ad esso si oppone (Programma, vol. I, 4ª ed., Prolegomeni, p. 26) "una legge umana e variabile come autorità alla quale noi tutti, sudditi o magistrati dobbiamo, fintanto che vige, uniformarci, siano quali si vogliono le nostre opinioni". Ma in questa non consiste propriamente il diritto penale, il quale, invece, "ha la sua genesi e la sua norma in una legge che è assoluta, perchè costitutiva dell'unico ordine possibile alla umanità secondo le previsioni o i voleri del Creatore" (Programma, I, Prolegomeni, p. 25), onde "subordinate cosi ad una norma assoluta le leggi penali sono nei principi cardinali assolute" (Programma, I, p. 25; v. anche p. 32).  Per il Carrara la scienza del diritto penale "non cerca che l'applicazione...di questi princìpi razionali imposti a noi dalla mente suprema: le sue dimostrazioni si desumono dalla parola dell'uomo: ma devono essere deduzioni logiche della eterna ragione della quale Dio riveli agli uomini per mirabile ispirazione quanto occorreva a regolare quaggiù la loro condotta verso i propri simili" (Programma, I, Prolegomeni, p. 25). Ecco la scienza del diritto penale che il Carrara voleva si studiasse: quella che astrae "sempre da ciò che può essere piaciuto dettare nei vari codici umani" e rintraccia "la verità nel codice immutabile della ragione" (Programma, vol. I, Prolegomeni, p. 25).  Anche il Giuliani, Istituzioni di diritto criminale, 2ª ed., vol. 1, Macerata, 1840, cap. I, § I-5 specialm. p. 21 e 67 ammette l'esistenza di un diritto penale naturale (p. 41) con cui, come ordine positivo di ragione, coincide il diritto criminale costituendo, con mai quello costituito (p.67).

(5) Feuerbach, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland gültigen peinlichen Rechts, 14ª ed., von Mittermaier, Giesnen, 1847, § 2, pag. 2: "Das allgmeine peintiche Recht (parte, secondo il Feuerbach, del diritto naturale: v. § 6) als Philosophic der rechtlichen Gründe des Strafrechts und seiner Ausübung, ist die Wissenschaft von den möglichen Rechte den Staats aus Strafgesetzen: das postire peintiche Recht die Wissenschaft von den wirklichen Rechten eines bestimmaten Staats (Deutschlands) aus gegebeneu Strafgesetzen".

(6) Haelschner, Das gemeine deutsche Strafrecht systematisch dargestellt, Bonn. 1881, § 32, pag. 81"Das Vorbrochen ist eine eigenthümliche von anderen sich unterschoidende Form des Unrechts. Es hat also keinem begrifflichen Wesen nach zu seiner Voraussetzung das Recht, das mit der sittlichen Natur des Menschen alseine nothwendige und wesentliche Gestalt, ihrer Eutwickelung und äusserlichen Darstellung gesetzt ist. Insofern aber das Recht die Aufgabe hat das aufder Grundlage der Natur sich bewegende Gemeinlebeu der Menschen sittlich zu gestalten, kann esseine Verwirklichung nicht bloss am individuelle Willen des Menschen finden, sondern existirt nothwendig auch in einer von diesem unabbängigen, endlichen Form in der es die individuelle Willkür seiner Macht, schlechtin unterordnet. Wir bezeichnen das Recht, insofern es in dieser Form zum Dasein gelangt ist, als das positive Recht oder Gesetz in Sinne, das als ein geschichtlich gewordenes und als Ausdruck eines zeitlich und national bestimmten und beschränkten Staudpunktes der sittlichen Entwickelung der Meuschleit, seinem Inhalte nach nicht nothwendig stets gerecht und der sittlichen blee entsprechend erscheinen wird".

(7) Berner, Trattato di diritto penale (trad. Bertolan, 2ª ed., Milano 1892, I 4, p.3). "Noi dovremo specialmente occuparci dei principii che hanno da guidare lo Stato nell'esercizio del suo diritto di punire, ma dovremo anche derivare e stabilire siffatto diritto..." § 5 (diritto ideale e diritto positivo), p. 4. "Nulla toglie al suo carattere scientifico l'essere il diritto che ci deve occupare positivo, perchè ciò è conseguenza dell'idea stessa del diritto... Da ciò non segue tuttavia che qualunque diritto positivo risponda ai desiderati della scienza anzi nessun diritto positivo risponde interamente all'ideale. Come in genere la pura idea appare offuscata nella sua esistenza empirica così anche noi non di rado troviamo che il diritto penale positivo deriva dai postulati della scienza. In tali casi noi dobbiamo guardare il nostro soggetto sotto duplice punto di vista e cioè: e sotto quello del giudice, e sotto quello del legislatore. Il giudice sta sempre al disotto della legge: egli deve applicarla anche quando contrasti coll'Ideale. Il legislatore, invece, muove da questo: a lui spetta emanare la legge positiva ed a questo intento deve contemplare nella sua mente la pura idea della cosa. Pel teorico la ricerca di questa idea è della massima importante. Mancandogli essa verrebbe meno ad un tempo la scienza di lui, ridotta a non altro che ad una mera notizia della legge. Per lui non può mai essere materia di studio semplicemente una determinata legislazione dovendo nel tempo stesso occuparsi della pura scienza. Solo può egli apprestare una legislazione positiva in quanto cerca di elevarsi sopra di essa alla vera natura della cosa".

(8) Ortolan, Elements de droit penal, 3ª ed., Paris 1863, t. I, n. 14, p. 7: "Le droit est une conception de la raison humaine, deduite d'un rapport d'homune à homme, dans lequel l'un a la facultè d'exiger de l'autre une action ou une inaction " n. 15, p.7: "Notre raison dèduit de chaque rapport d'homme à homme avec plus on moins d'exactitude ... la notion de la loi de conduite exterieurment exigible, et par consèquent celle da droit rationnel: le pouvoir social legislatif en determinant les cas dans lequels il reconnaitra et sanctionnera, par le secours de la torce pubblique, la facultè d'exiger une action en une inaction de quelquun, dècrète la loi positive et, par consèquent le droit positif, lequel n'est qu'un fait lorsqu il est contraire au droit nationnel (v. anche n. 10, p. 5; n. 29, p. 8): "Le droit pènal est une conception de la raison humaine, dèduite d'un rapport d'homme à societè , dans tequel la societè a la facultè de faire subir à l'homme un certain mal à raison d'une violation de droit qu'il a commise" n. 23, p. 9: "le droit pènal n'est lui même qu'une abstraction tirèe, comme droit pènal rationnel d'une lui mètafisique, et comme droit pènal positif d'un precepte formulè...".

(9) Bertauld, Cours de code pènal, 2ª ed., Paris 1859, p. 13 "Le droit, c'est la règle des rapports sociaux qùimposent la raison et la justice"; p. 16: "ce que nous nommons simplement le Droit c'est ce que... (d'antres) appellent le Droit naturel"; p. 21: "le droit pènal est la sanction sociale...de la partie de la loi morale socialemont exigible c'est à dire du Droit". Ammettono l'esistenza di un diritto naturale o nazionale o ideale anche l'Haus, Principes de droit pènal belge, Gand-Paris 1869, n. 6, p. 2: "Les principes qui concernent les dèlits et les peines et que la scule raison nons fait connaitre forment le droit pènal naturel philosophique ou rationel..." (v. anche n. 7, p. 3) e tra gli scrittori francesi e belgi più recenti il Laborde, Course de droit criminel, Paris 1893, n. 4 pag. 3; e il Thiry, Course de droit criminel, 3ª ed., Liege 1909, n. 2, pag. 2.

(10) Pessina, Elementi di diritto penale, vol. I, Napoli 1882, §3, p. 6: "Il Diritto nella sua totalità è in somma di certi detteti che sono imposti agli esseri umani ed in cui si chiude tutto quello che essendo possibile all'umano operare serve come condizione indispensabile all'adempimento della destinazione umana (v. anche: Discorsi inaugurali, p. 233, 249, 275); §3, p. 7: "Gli aspetti nei quali il Diritto penale vuole essere considerato sono quei due medesimi aspetti che per tutto il diritto si appresentano, cioè, l'idea ed il fatto. Vi ha un diritto criminale superiore a tutti i tempi e a tutti i luoghi cioè la giustizia punitrice avvisata nella sua assenza ideale, universa ed immutabile, come l'esemplare degli istituti penali. E vi ha pure un appellarsi di questo Diritto agli uomini e per opera degli uomini nei vari tempi e nei vari luoghi che genera e le varie opinioni sul contenuto de1 diritto penale e quegli istituti che essendo posti dagli uomini stessi, pigliano nome di Diritto penale positivo. Il primo è uno universale ed identico e può dirsi il Diritto penale assoluto. L'altro è molteplice diverso e mutevole e può dirsi contingente in quanto varia secondo i tempi ed i luoghi; § 6, pag. 9: "la scienza del diritto penale può definirsi un tutto insieme di veri organicamente e sistematicamente annodati come conseguenze di un solo e medesimo principio intorno alla punizione del malefico" § 7, p. 9: "... come essa abbraccia i due aspetti del Diritto penale cioè l'idea e il fatto, si ha la filosofia del diritto penale e la storia del diritto penale".

(11) Buccellati, Istituzioni del diritto penale secondo la ragione e il diritto romano, Milano 1884, n. 20, p. 23: "come tutte le scienze cosi il diritto penale consta di due elementi: la ragione e il fatto e a misura del maggior contributo dell'uno di questi abbiamo 1a distinzione di diritto penale positivo o diritto penale razionale. Logicamente la ragione precede il fatto. Come il legislatore avanti dare esistenza al fatto della legge deve essere informato all'ideale giuridico, così anche chi applica e interpreta la legge deve saper risalire e quindi mentalmente possedere quell'0ideale a cui attinse il legislatore; n. 24, p. 21: "scientificamente si dà la distinzione fra il diritto positivo e il razionale, non separazione; e lo studioso deve per quanto è possibile far progredire di concreto il fatto con la ragione; n. 28, p. 26: "...troviamo distinti il diritto penale in natura e sociale: questa distinzione, impropriamente usata, risponde ad altra, da noi surriferita, di diritto razionale e positivo" (v. anche n. 312, p. 460).

(12) Canonico, Del reato e della pena, Torino 1872, pag. 14-15: "Il diritto penale, come il diritto in genere, ha la sua base suprema nella verità assoluta, la quale è legge per in libera volontà umana e piglia il nome di diritto in quella parte in cui osservanza, voluta o non voluta dall'uomo, è indispensabile alla libera coesistenza sociale e a cui possono quindi astringersi i renitenti mediante coazione esterna", pag. 35: "...il diritto oggettivamente considerato è la stessa legge morale in quanto segue le norme che debbono indeclinabilmente osservarsi affinchè sia possibile in libera convivenza sociale di ciascun individuo e quindi l'esistenza medesima della società"; pag. 36: "...il diritto penale è quella parte del diritto che segna le norme dietro le quali deve esercitarsi dall'autorità sociale il potere punitivo".

(13) Brusa, Prolegomenos de derecho penal, Madrid 1897, pag. 10-11: "En sentido objetivo el derecho penal es para la Filosofia del Derecho cl conjunto de los principios racionales que jusifican el puler punitivo y determinan los modos y limites dentro de los cuales debe ejercitarse: y para el derecho positivo el conjunto de reglas juridicas vigentes con relacion a los delitos y sus castigos".

(14) Fra gli scrittori italiani più recenti ammette l'esistenza di un diritto penale naturale o razionale o ideale anche: Napodano, Il diritto penale italiano nei suoi principii, Napoli 1895, §1 e 2, pag. 6: vedi, più di recente: L'indirizzo scientifico del diritto penale, estratto dalla Rivista Penale, volume LVII (1905), fasc. V, dove ammette esplicitamente "una idea di giustizia...trasparente alla nostra mente e sentita dalla coscienza" cioè l'idea di una "norma che regola il mondo delle utilità umane" e "serve al fine dell'umana destinazione e sta fuori dell'esigenza della società e fuor di noi" (pag. 5; v. anche pag. 6). Così pure il Mecacci, Trattato di diritto penale, vol. I, Torino, 1901, pag. 117. Sembra accedere al concetto di un diritto razionale anche il Lucchini, quando parla di una scienza giuridica filosofica (in contrapposto alla scienza giuridica positiva) ossia di una "dottrina" (in contrapposto alla legislazione) che avrebbe per compito di determinare i principi e le norme generali di universale e costante applicazione in corrispondenza a condizioni e circostanze di fatto costanti e universali, mentre la scienza giuridica positiva ossia la legislazione (noi parleremmo, in tal caso, non di scienza del diritto positivo, ma di politica legislativa) fissa quelle norme pratiche e concrete che in un dato tempo e per un dato popolo sono più appropriate e meglio si coordinano coi principi e con le norme di ragione filosofica e stanno in corrispondenza a condizioni e circostanze di fatto locali e particolari (Elementi di procedura penale, Firenze, 1905, 3ª ed., n. 17, pag. 17).

(15) Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico nell'Archivio Giuridico, vol. XVII (1889), fasc. 1 e 2, pag. 113. V. anche: Ordine giuridico e ordine politico, prolusione letta nella R. Università di Modena il 4 dicembre 1885; Sulla necessità di una ricostruzione giuridica del diritto costituzionale, prolusione letta alla R. Università di Messina il 12 dicembre 1886; Diritto e politica in Archivio di Diritto Pubblico, vol. III, pag. 73; Programma dell'Archivio di Diritto Pubblico diretto da V. E. Orlando, 1891; Principi di diritto costituzionale, V ed., Firenze 1909, Introduzione e capitolo III; Diritto amministrativo e scienza dell'amministrazione nell'Archivio Giuridico, vol. XXXVIII, fasc. 5 e 6; Principi di diritto amministrativo, II ed., Firenze, 1892, Avvertenza; Introduzione al diritto amministrativo (I presupposti, il sistema, le fonti) nel Primo completo Trattato di diritto amministrativo italiano a cura di V. E. Orlando, Milano, Soc. Ed. Libr., vol. I.

(16) Che la politica criminale come critica e riforma del diritto penale positivo vigente non sia una scienza (scienza della legislazione) ma un'arte (arte legislativa) è stato di recente vigorosamente sostenuta dall'hiller (Kart) Steafcechtskritik und Etil in Monatsschrift fiit Keim und Steaf., anno VI, p. 618. Secondo questo autore, anzi, non si può ammettere nemmeno la possibilità di una scienza normativa (scienza del valore o etica) nei rapporti col diritto in genere e in particolare col diritto penale (filosofia del diritto penale).

(17) Loening, Veber geschichtliche und ungeschichtliche Behandlung des deutschen Steafrechts nella Zeitschrift fiir die gesamte Strafrechtsurissenschaft, Bd. III (1883), pag. 219 e segg. il quale sostiene (pagg. 223 e 224) "essere compito esclusivo della scienza del diritto penale e la conoscenza scientifica del diritto penale positivo" ( v. anche antecedent. Waechter nei Schletter's Sohrbiicher, 1865) e contesta ad essa, come tale competenza ad emettere giudizi critici sul diritto vigente, giungendo persino ad affermare che il giurista, in quanto tale, si trova "più di ogni altro lontano nella sua attività scientifica dal partecipare alla produzione del diritto" (ciò che non è del tutto esatto dal momento che questa attività servendo allo scopo pratico della amministrazione della giustizia, è, meglio di ogni altra, in grado di rilevare gli inconvenienti pratici a cui il diritto vigente va incontro nella sua pratica e quotidiana applicazione giudiziale ai casi particolari, e dal momento che essa deve pur rendersi conto del modo con cui il diritto positivo vigente riesce a raggiungere gli scopi sociali e politici voluti dal legislatore). Naturalmente la scienza del diritto penale viene per lui a distinguersi così nettissimamente dalla Politica criminale.

(18) Sergiewsky, Das Verbrechen und die Strafe als Gegenstand der Rechtswissenschaft nella Zeischrift fiir die gesam te Strafrechtswissenschaft, Bd. I, (1881) pag. 21. Il Sergiewsky, pur riconoscendo che la scienza del diritto penale o la "Sociologia criminale" hanno in comune la materia, cioè il delitto e la pena, trova che esse diversificano per il metodo sopra tutto per lo scopo, il quale, per In. scienza giuridica penale, consiste sopra tutto nel servire "come filo conduttore alla pratica giudiziaria per l'applicazione delle regole stabilite dalle leggi in generale nei casi pratici". (Secondariamente nel "valere come filo conduttore al legislatore per dare nuove leggi più giuste affinchè egli possa abbracciare in una disposizione penale i casi speciali della vita reale"). Aggiunge poi che la chiave per la vera interpretazione del diritto vigente, nel suo tutto come nelle sue parti, può esser data soltanto (?) per mezzo della Storia del diritto positivo. E conclude definendo la scienza del diritto penale come "la sistemazione, l'analisi e la sintesi, del concetto del delitto e della pena" (s'intende del concetto giuridico secondo il diritto positivo vigente).

(19) Merkel, Ueber den Idealismus in del Strafrechtsucissenschaft, Bd, I, (1881) pag. 554 e segg. (riprodotto nelle Gesammette Abbandlungn ans dem Gebiet der allgemeinin Rechtstehre und des Strafrechts, Zweite Hätlte, Strassburg, 1899, pag. 429 - 472). Il Merkel contrappone strenuamente all'"idealismo" nella scienza del diritto penale (rappresentato, fra gli altri, in Germania, dallo Abegg, dal Berner, dal Köstlin, dall'haelschner) lo "storicismo" (rappresentato dal Waechter, dal Loening, dal Binding) e quindi alla filosofia (idealistica) del diritto penale, la "scienza positiva del diritto penale", o meglio, la "scienza del diritto penale positivo". (V. specialmente sub. II e III, pagg. 431, 432, 433, 434, 4%). "La scienza - egli dice - non ha imperativi e non può crearli da sè. Essi appartengono alla volontà di un potere, non teoretico, ma reale. Le manifestazioni di questo potere possono da lei esser* considerate soltanto come dati sul valore dei quali decide non la ragione teoretica, ma soltanto il foro della coscienza"(pag. 435). E continuando afferma che il compito, almeno più prossimo, della dottrina relativamente al diritto è "den inhalt desselben iu geordueter weise zur Anschaunng und in Formen zu bringen, welche eino gleichmässige und sichere Anwendung begünstingen...", pag. 435.

(20) Binding, Strafgesetzgebung, Strafjustiz und Strafrechtswissenschaft in normatem Verchältniss zu emander nella Zeitschrift fiir die gesante Strafrechtswissenschaft. Bd. I, (1881), pag. 429. In quest'articolo il Binding, comincia col rilevare le colpe in cui è caduta per lui fino al 1881 la "dottrina tedesca: di essersi staccata dalla pratica (la Germania ebbe una scuola storica e una scuola filosofica, ma accademiche entrambe): di non aver studiato in larghe monografie in parte speciale dei reati: di aver elaborato trattati filosofici nella parte generale del diritto penale ovvero di essersi fatta compilatrice di commentari i quali per la maggior parte traggono la loro esegesi dai così detti materiali della legge o dalle decisioni del Tribunale Supremo e conclude che la scienza penale come scienza giuridica ha una duplice missione cioè esser guida alla pratica presente e esser giuda alla legislazione futura, ma in entrambi i casi, parli de lege lata o de lege ferenda, essa deve essere e rimanere scienza del diritto positivo. A questa concezione del compito della scienza del diritto penale il Binding si è mantenuto fedele nel suo Handbuch des deutschen Strafrechts, Bd. I, Leipzig, 1885, il quale, per le stesse dichiarazioni dell'Autore (Varrede, p. VII - X) "...ist ein Werk der Wissenschaft des positiven Rechts", "ist ein Werk der Wissenschaft des deutschen Rechts", "ist ein Werk der Dogmatik des bestehenden Rechts" e finalmente "will...ein Werk praktischer Jurisprudenz sein". è, anzi, veramente ammirevole il modo con cui egli incisivamente precisa in questa opera: "il compito e i limiti della scienza del diritto penale positivo" (Handbuch § 2, II, pagine 6-15) escludendo energicamente la possibilità e legittimità scientifica di una filosofia del diritto penale intesa come filosofia trascendentale e aprioristica che avrebbe per oggetto lo studio di un preteso e inesistente diritto penale naturale o ideale, o razionale (§ 2, II, pagg. 6-9) (v. specialmente pag. 9: "Nun giebt es kein ewiges und unwandelbares Recht, das der Mensch wissen könnte, keine haltbare Rechtsphilosophie, die etwns anderes zu bieten vermöchte als die höchsten Grungedanken des Rechtes, das gegolten hat oder noch gilt, keine Rechtsphilosophie, die etwas anderes wäre als Jurisprudenz, Keine Jurisprudenz, die etwas anderes wäre als Wissenschaft des positiren Rechts, Jeder Versuch die Strafrechtwissenschaft der Naturrechtslehre irgend eines philosophischen Systems untertan zu machen ist deshalb ein energisch zurückzuweisender Angriff auf ihre Freiheit, gefasst als strenge Gebundenheit an ihren Stoff und auf die Einheitlichkeit ihres Gegenstandes". Questo all'indirizzo di riforma del diritto penale vigente (o politica criminale), il Binding in una sua opera più recente (Grundriss des deutschen Strafrechts, VII ed., 1902, Leipzig (VIII ed. 1907), Vorbemerkuug, p. V, dichiara di volerlo tenere nettamente separato dallo studio del diritto penale positivo. Ed aggiunge (pag. VII) "In genere il fracasso di questa musica dell'avvenire sta in forte antitesi col suo contenuto".

(21) Liszt, Die Aufgaben und die Methode der Strafrechtwissenschaft, nella Zeitschrift für die gesamte Strafrechtswissenschaft, Bd. XX, (1900), pag. 162-174, v. specialm. p. 172. (In questo lavoro, che è la sua prolusione al corso di diritto penale nell'Università di Berlino, il Liszt assegna alla scienza penale tre compiti: 1° un compito pedagogico (o più esattamente si direbbe giuridico, ogni compito, in quanto si ademoie con l'insegnamento, essendo pedagogico) e cioè lo studio del diritto penale positivo vigente, sia sostanziale che processuale, nel che consiste la "scienza del diritto penale in senso stretto"; 2° un compito - scientifico (meglio si direbbe antropologico, psicologico e sociologico, scientifico essendo anche il compito giuridico e quello politico) cioè la ricerca delle cause delle cause del delitto (criminologia) e della pena (penologia); 3° un compito politico nel senso di avviare la legislazione ad una lotta consapevole contro il delitto, specialmente, ma non esclusivamente, mediante le pene e gli istituti affini (politica criminale): Lehrbuch des dentschen Strafrechts, 18 ed., Berlin 1908. Einleitung §1, p. 1-2; § 14, p. 68-69; §15, p. 73-74. Il Liszt (i cui noti contributi agli studi di psicologia, di sociologia e di politica criminale lo fanno certamente non sospetto di ignoranza o trascuranza di queste scienze) è tuttavia tra gli scrittori recenti, uno dei più caldi fautori del tecnicismo giuridico nel campo del diritto penale e uno dei più strenui difensori della separazione della scienza del diritto penale (intesa come scienza pratica del diritto penale positiva vigente, dalla politica criminale, e quindi, dalla sociologia, dalla antropologia e dalla psicologia criminale. "Diritto penale - così egli si esprime - (Lehrbuch, Einleitung, § 1, p. 1) è il contenuto di quelle regole giuridiche statuali mediante le quali al reato, come fatto vien ricollegata la pena come conseguenza giuridica. Come fatto giuridico particolare al diritto penale, il reato forme una speciale suddivisione del torto (delitto), vale a dire della azione colpevole e giuridicamente lecita. E come conseguenza giuridica propria del diritto penale la pena si distingue dalle altre conseguenze giuridiche del torto, per ciò, che essa si presenta come una particolare restrizione di beni giuridici che lo Stato infligge al colpevole. Delitto o pena sono, pertanto, i due concetti giuridici fondamentali del diritto penale. Da ciò risulta, dice il Liszt, il più prossimo compito della scienza del diritto penale: che sta nella pura trattazione tecnico - giuridica fondata sulla legislazione penale, nella considerazione del reato e della pena come generalizzazioni concettuali (s'intende: giuridiche); nello svolgere a completo sistema le singole prescrizioni della legge risalendo fino agli ultimi concetti fondamentali e agli ultimi principi; nel presentare, nella parte speciale del sistema, i singoli reati e le pene per essi comminate e, nella parte generale, il concetto del reato e della pena in genere. Come scienza eminentemente pratica, sempre operante per i bisogni dell'amministrazione dalla giustizia, e sempre da essa traente nuove fecondazioni, deve la scienza del diritto essere e rimanere scienza caratteristicamente sistematica; poichè soltanto l'ordine delle cognizioni nel sistema, garantisce quella scienza e sicura e e sempre pronta padronanza dei casi particolari, senza la quale l'applicazione del diritto rimane un semplice dilettantismo, abbandonato al caso o all'arbitrio". Cosi esattamente concepita, la scienza del diritto penale si distingue per il Liszt, dalla politica criminale (inesattamente identificata dal Liszt con la filosofia del diritto criminale) la quale per lui comprende (su di che facciamo le nostre riserve) la criminologia (antropologia, psicologia, o sociologia criminale) e in penalogia (Lehrbuch § 1 sub 2, p. 2 e § 14, p. 69). Nulla impedisce però di riunire la scienza del diritto penale e la politica criminale sotto il comune denominatore di "universa scienza del diritto penale" (Gesamte Strafrechtswissenschaft) (Liszt, Zeitschrift, IX, 455 e il titolo stesso della sua Zeitschrift).

(22) Secondo il Meyer (Hugo), Lehrbuch des deutschen Strafrechts, 6ª ed., von Allfeld, Leipzig 1907, § 6, p. 43, la scienza del diritto penale ha "come compito principale" la "conoscenza del diritto vigente cioè l'attività dogmatica sia che il diritto penale venga trattato nella forma del Commentario alla legge (questa non chiameremmo indagine dogmatica, ma invece esegetica) o nella forma sistematica della trattazione". Viene poi: la ricerca storica e non soltanto come mezzo ausiliario per la cognizione del diritto vigente, ma anche con importanza autonoma (nel qual ultimo caso pare a noi che essa rivesta il carattere appunto di disciplina autonoma); la trattazione di diritto comparato (anche questo, pare a noi, come mezzo per lo studio del diritto vigente);la discussione filosofica del diritto penale o la ricerca dei suoi più alti fondamenti o principi (non, dunque, anche pel Finger, come scienza del diritto penale naturale o razionale o ideale) e prima ancora: il giudizio o la critica del diritto vigente o l'indirizzo politico criminale. Ed ecco quel che il Mayer dice a proposito di questo indirizzo: "...l'attività politica criminale rinasce ora nuovamente con speciale ardore: è un movimento simile a quello della fine del secolo XVIII ma che, come allora, nei suoi particolari, va al di là del suo compito e deve essere invece contenuto nei giusti limiti, senza di che in luogo di completamento del diritto penale si raggiunge invece la sua totale distruzione" (§ 6, pag. 41). Naturalmente il Mayer distingue poi la scienza del diritto penale dalla antropologia o biologia criminale (la quale comprende anche la psicologia criminale), dalla sociologia criminale e dalla statistica criminale la quale ultima a noi sembra doversi incorporare nella sociologia criminale, come suo particolare e indispensabile metodo); scienze tutte le quali costituiscono le scienze ausiliarie del diritto penale (Lehrbuch, § 6, p. 41-42). "Il diritto penale poi, ben può, per lui, (come pel Liszt) essere riunito, insieme alle scienze ausiliarie, sotto il nome di "gesamte Strafrechtswissenschaft" (Meyer, Lehrbuch, § 6, p. 42, nota 17).

(23) Per il Beling, Grundzüge des Strafrechts, Tübingen, 1905, § 9, p. 12, la scienza del diritto penale, come quella che studia il diritto penale positivo ("contenuto di quelle norme giuridiche le quali si riferiscono alla questione per quale condotta debba aver luogo una pena e quale pena debba aver luogo": op. cit. § 2, p. 2) si distingue nettamente, non solo dalla antropologia criminale (ivi compresa la psicologia criminale), ma anche dalla sociologia criminale e dalla politica criminale.

(24) Secondo il Finger, Lehrbuch des deutsch. Strafrechts. Bd. I, Berlin, 1904. § 2, pag. 2 e 3 "il diritto penale nel senso obiettivo della parola dichiara punibili certi determinati fatti: esso ricollega a presupposti precisamente indicati il diritto dello Stato di punire. La pena appare così come la conseguenza giuridica, il reato come il fatto giuridico a cui questa conseguenza è ricollegata. Accanto a questa trattazione giuridica astratta, nella quale il reato è considerato soltanto in rapporto alle prescrizioni del diritto positivo (e questa è evidentemente pel Finger, la scienza del diritto penale in senso proprio) può il reato stesso essere ancora considerato come reale fenomeno della vita sociale". La scienza del diritto penale, come scienza del diritto positivo penale, si distingue in tal modo nettamente, pel Finger, dalla politica criminale (che, per lui, comprende, ciò che non ci sembra esatto, la antropologia criminale o la sociologia criminale) (Finger, op. cit., § 2, p. 4).

(25) Il Wargha, Die Abschaffang der Strafknechtschaft, Graz 1896, vol. I, cap. II, concepisce la scienza del diritto criminale come quella che studia i mozzi di difesa, preventivi e repressivi, contro la criminalità adottati dallo Stato (si intende nell'ordinamento giuridico positivo). Il diritto criminale si distingue così, per lui, in diritto criminale preventivo e diritto criminale repressivo o diritto penale in senso stretto. (Al qual proposito notiamo, di volo, che neppure noi abbiamo alcuna difficoltà nè teorica nè pratica a riunire sotto il comune denominatore di diritto criminale - per farne unitario oggetto di studio della scienza del diritto criminale (non più esattamente penale) - il diritto penale propriamente detto, e quella sempre progrediente parte del diritto amministrativo, che riguarda la prevenzione, diretta o indiretta, della delinquenza e che il Wargha esattamente chiama diritto criminale preventivo). Così concepita la scienza del diritto criminale, si comprende come essa, anche pel Wargha, si distingua recisamente dalla politica criminale, nonchè dalla antropologia criminale (che pel Wargha (e a parer nostro non esattamente) si suddivide a sua volta in biologia criminale e sociologia criminale).

(26) Il Garraud, Traitè thèorique et pratique du droit pènal français, 2ª ed., Tome I, Paris 1898, Introduction, §1. Le droit criminel, dopo aver osservato (n. 1, p. 1, nota 3) "c'est le droit tel qùil est, et non tel qui devrait ètre, qui fait l'objet de ce Traitè" e dopo avere esattamente definito "il diritto penale o diritto criminale positivo come l'insieme delle leggi stabilite e promulgate secondo le forme costituzionali di ciascuno Stato che regolano l'esercizio del potere di punire" (pag. 4), osserva (n. 2, p. 5 e 6): "L'infraction et la peine ce sont là les deux objets correlatifs de la science criminelle. Mais suivant la manière dont elle les ètudie, cette science se divise eu deux branches: le droit criminel et la sociologie criminelle. Dans le droit criminel le crime et la peine sont considerès comme des phènomènes juridiques c'est a dire au point de rue des rapports des hommes entre eu et pout regler (?) les droits et les obligations qui naissent de ces rapports... (meglio si direbbe che nascono dalle norme che regolano questi rapporti). Dans la sociologie criminelle, l'objectif change: le crime est etudiè à la fois comme phènomène biologique (ciò che veramente a noi sembra appartenere, invece, alla antropologia criminale) et comme phènomène social...".

(27) Secondo il Civoli, Lezioni di diritto penale, Parte I, Torino 1895, p.14, "considerando il delitto sotto un punto di vista naturalista esso apparisce come la risultanza di un complesso di cause che si riscontrano o nell'individuo, che ha commesso il delitto, o nell'ambiente, nel quale egli vive" e "si vengono quindi ad avere discipline della biologia e della sociologia criminale". "Considerando il delitto come un pericolo per la società si ravvisa in esso un male da combattere e si è portati, quindi, a ricercare i rimedi che più efficacemente possono adoperarsi contro di esso. Si viene così ad avere la politica criminale, la quale suggerisce al legislatore i mezzi penali pii, acconci a allontanare dal reato coloro che ancora non hanno trasgredito la legge e a distogliere da ulteriori delitti quelli che già ne abbiano commessi". "Considerando il delitto un fatto contrario alle regole giuridiche, dal quale nasce a favore dello Stato il diritto di assoggettarne a pena l'autore si viene finalmente ad avere in scienza del diritto penale nel senso ristretto e preciso della parola". (Sul compito della quale vedasi, dello stesso autore, lo scritto: Indirizzo a darsi all'insegnamento del diritto penale nella Rivista penale, vol. XLIV (anno 1899), pag. 96 e seg.). Nel suo recente Manuale di diritto penale, Milano, Soc. Ed. Libraria, 1907, il Civoli, fedele a questa concezione del compito della scienza penale, come scienza giuridica, dichiara (p. 1165) di "essersi costantemente studiato di risalire dalle disposizioni specifiche della legge al sistema giuridico del quale ognuna fa parte e che è costituito dalla loro armonica concatenazione".

(28) Secondo il Manzini, Trattato di diritto penale, vol. 1, Torino 1908, pag. 2. "La concezione positiva del diritto penale...considera questo come un sistema di norme che si forma e opera esclusivamente nell'ambiente dello Stato..." e "la dottrina dei delitti e delle pene, come scienza giuridica, non può varcare i limiti entro cui si formano e si attuano quelle norme di diritto di cui essa determina il contenuto deduce le conseguenze ed addita le riforme". (V. anche cap. III, p. 45 e seg. n. 41 e seg.). Il diritto penale, così concepito, è naturale che la scienza che lo studia, cioè la scienza del diritto penale si distingua, per lui, dalla filosofia del diritto (e quindi anche dalla filosofia del diritto penale) che egli, come filosofia trascendentale e aprioristica avente per oggetto un diritto naturale o razionale o ideale, non ammette e in ogni modo vuole sempre separata dalla scienza del diritto penale (§ 2, p. 3-6 e p. 48 nota I). Si distingue anche dalla antropologia e psicologia criminale (§ 3, p. 6-9), dalla sociologia criminale (§ 4, p. D-12) e (ciò non si comprendo bene dato il compito della riforma assegnato alla scienza del diritto penale) dalla politica criminale (§ 7, p. 22-26).

(29) Pessina, Programma della Enciclopedia di diritto penale, da lui diretta, Milano, 1901: "Opera utilissima, anzi indispensabile a mantenere in vigore la scienza positiva del diritto che serve all'attuazione pratica di esso, è il tener fermo lo sguardo all'istituto della punizione del delitto, considerato come un organismo puramente giuridico, mettendo da parte le investigazioni meramente dottrinali (cioè si vuol dire qui filosofiche) così di coloro che hanno ancor viva la fede nelle speculazioni metafisiche sull'ordine morale del mondo come di quelli che alla vecchia metafisica contrappongono un cumulo di ricerche biologiche e sociologiche le quali in sostanza sono fondate sulla metafisica del materialismo e sulla concezione meccanica dell'universo". Il Pessina, del resto, nei suoi Elementi di diritto penale, vol. I, Napoli 1882, pur ammettendo a torto la esistenza di un diritto penale ideale, come oggetto della filosofia del diritto penale (§ 3, pag. 7 e § 7 pag. 9), distingueva nettamente da essa, come anche dalla politica criminale (§ 8, p. 10), la scienza del diritto penale positivo: "L'applicazione della scienza (intendi: filosofia) del diritto penale all'arte del jus conditum dicere ingenera - egli diceva - quella disciplina che piglia il nome di Scienza del diritto penale positivo" la quale - secondo la esatta concezione dell'A. - "solleva l'esegesi del diritto positivo dall'umile condizione di una glossa e di una empirica interpretazione al grado di una cognizione scientifica, si costruendo in un sistema di pronunciati logicamente annodati le istruzioni di un dato popolo e si rischiarandolo col duplice lume dei risultamenti delle indagini filosofiche e di quelli delle indagini storiche".
Per quanto riguarda il programma metodologico, enunciato nel testo, dirò che esso è stato da me seguito costantemente e fedelmente nei miei precedenti lavori (cfr. retro nota I). Fin dal 1903, infatti, nella prefazione a una monografia (L'abuso di foglio in bianco, Milano, Soc. Ed. Libr., 1903, p. VII) ebbi occasione di osservare come "il compito della costruzione scientifica, dogmatica e sistematica (che è compito ben diverso da quello della esegesi e della critica) dei principii del diritto positivo penale con i mezzi che offre la tecnica del diritto fosse in Italia ben lungi dall'essere fornito e forse neppure potesse dirsi completamente iniziato" e "afferma la necessità di una moderna ricostruzione e sistemazione giuridica del diritto penale". E, un anno dopo, nello scritto "Sul concetto del diritto subiettivo di punire (negli Studi in onore di V. Scialoja, vol. I, 1904. Estratto pag. 3-4 e in Giustizia Penale, XI, 1905, col 760) distinguevo d'altra parte i vari aspetti e i vari punti di vista sotto cui può essere studiato l'istituto della pena, cioè l'aspetto e il punto di vista meramente sociale, quello meramente politico, quello puramente filosofico e quello semplicemente giuridico. La prima affermazione parve a qualche autorevole scrittore soverchia (Lucchini, nella Rivista Penale, vol. LVIII, p. 375) nè incontrò dapprima miglior fortuna la proclamata necessità di distinguere la scienza del diritto positivo penale dalla filosofia del diritto penale (Lucchini in Rivista Penale, vol. LXI, p. 483: Carnevale, Ragione del diritto di punire, Estratto dalla Rivista penale, vol. LXI, fasc. II, n. 3, pag. 6; Alimena, Note polemiche su la teoria dell'imputabilità, negli studi per Fadda, Napoli 1906). Ma all'uno e all'altro concetto diedero ben presto la loro adesione il Manzini (vedi retro, la citazione a nota 27) e il Longhi (La critica della giurisprudenza nell'insegnamento del diritto penale, Estratto dalla Scuola Positiva, anno XIV (1905) n. 2 e 3, p. 3-27; La legittimità della resistenza agli atti della autorità nel diritto penale, Milano, Vallardi, 1907, n. 18, p. 49, 41 nota I: 42 nota I, 43) il quale anzi, in quest'ultimo lavoro, scagionava dall'accusa di eccessività il nostro giudizio sulla necessità di una ricostruzione dogmatica e sistematica del diritto penale (p. 42 nota 1) e faceva voto, anch'egli, con noi, perchè "procedendo con maggior rigore di metodo e di tecnica si tenga un più vivo contatto col movimento rapidamente percorso da scienze giuridiche affini, così pubbliche che private (p. 42). Indicava, in pari tempo, il nostro lavoro sul diritto di punire come "un largo programma di studi da attuarsi nel diritto penale con indirizzo metodologico e sistematico parallelo a quello di altre discipline giuridiche" (p. 42 nota 1) insieme il Longhi constatava anch'egli che ormai "alle antagonistiche distinzioni di scuole, si va sostituendo un distinzione di scienze" onde "ciascun studioso...per non addossarsi tanta mole di lavoro ed evitare che l'estensione sia a scapito della profondità, fattosi esclusivamente filosofo o sociologo o giurista taglia a sua posta il terreno che più risponde alle sue tendenze e dove più sente di poter dominare rimettendosi per ogni altra parte ai risultati conseguiti da altri (La legittimità della resistenza, p. 41 nota 1; La critica della giurisprudenza, p. 20 dell'Estratto). In particolare affermava che la sociologia criminale non esclude il diritto penale" e che "la coordinazione del diritto ai dati sociologici, non elimina, ma accentua la necessità della sistemazione dei rapporti (s'intende: dei rapporti giuridici) fra Stato e reo" (opera prima citata p. 41 nota 1 e p. 42). L'indirizzo, da noi applicato nei nostri lavori, e che qui si sostiene e difende, avvertiva anche, con molta chiarezza, il Grispigni allorchè osservava che "i più giovani cultori del diritto penale, abbandonando il terreno filosofico, si sono dati ad una elaborazione dommatica del diritto penale, cercando di offrirne una sistemazione pari a quella raggiunta da altri rami del diritto pubblico e cercando di applicare ad esso quelle più recenti dottrine che hanno dato a quest'ultimo un grande sviluppo (Indirizzo dommatico e sistematico dell'odierna scienza criminale in Italia)" pur preannunziando una "fase giuridica della scuola positiva" (?) in cui "i seguaci di essa dopo essersi (a sua stessa confessione) di preferenza, nel primo tempo, occupati di studi antropologici, e quindi di studi sociologici, si apprestano...ad offrire una organizzazione giuridica (?) della loro concezione del diritto repressivo (non certo del diritto penale vigente, dunque del diritto repressivo avvenire, nel qual caso , come di vede, non si tratta più di genere di uno studio giuridico, ma filosofico e politico) e a inquadrare questo nel sistema di tutto il diritto..." (L'odierna scienza criminale in Italia, estratto dalla Scuola positiva, Milano 1909, p. 6 in nota). Chè, anzi, più tardi, lo stesso Grispigni, dopo aver notato l'affinità scientifica fra l'indirizzo da noi seguito nei nostri lavori e quello seguito nelle loro ultime pubblicazioni dal Manzini e dal Longhi (Recensioni al Trattato del Manzini e alla monografia sulla Resistenza del Longhi nella Scuola positiva, anno 1908) mostrava non solo di percepire nettamente la distinzione da noi fatta della scienza del diritto positivo penale dalla filosofia del diritto penale e dalla sociologia criminale (avrebbe potuto giungere anche dalla politica criminale), ma ben più, di aderire a questa "divisione di lavoro scientifico" che "non implica ignoranza, ma conoscenza di tutta la materia" (Recensione al Longhi, novembre 1908, pag. 4-7 dell'Estratto). Contro di noi torna ora però alla carica il prof. Alimena (Le esigenze del diritto penale e le tendenze dei penalisti, in questa Rivista, anno I (1910), p. 129; Principi di diritto penale, Prefazione) con ragioni meditate, ma che non sempre ci convincono, perchè partono dal falso supposto che sia nostro pensiero lo escludere (e non già soltanto il distinguere) le indagini filosofiche e sociologiche. è notevole che in questi lavori l'Alimena autorevolmente ammette anch'egli la necessità di una elaborazione dogmatica del diritto penale positivo e la necessità che il diritto penale "si assoggetti - forse ultimo fra i diritti - alle leggi ferree delle discipline formali" riconoscendo, in pari tempo, che lo "studio della natura ha fatto dimenticare quello del diritto".

(30) Oltre gli autori sin qui rammentati, altri ve ne sono in Italia, fra i più moderni e autorevoli, che in parte si accordano, e in maggior parte discordano, dalla concezione, enunciata nel testo, intorno al compito della scienza del diritto penale, come scienza giuridica. Così il Lucchini, Le droit pènal et les nouvelles thèories, Paris 1892, pag. 69 mentre osserva esattamente e fra i primi in Italia essere "erronea l'asserzione che il diritto in generale, e tanto più il diritto penale, faccia parte della sociologia" giacchè, secondo egli giustamente dice "il diritto rappresenta un prodotto della società, ma ha un posto e una forma di evoluzione ulteriore e speciale che lo mette fuori dello studio del semplice organismo sociale" (v. anche p. 390 -393), sembra, dall'altra parte, contrariamente a quel che noi facciamo, assegnare alla scienza del diritto penale una funzione, almeno principalmente, filosofica e speculativa, o, più precisamente, normativa e deontologica non già sistematicamente espositiva e descrittiva (v. p. 68: "...son domaine (de la sociologic comprend simplement la description et l'exposition, et non pas la speculation": pag. 59: "Les ètudes...qui touchent aux regles du magistère penal, si l'on se place au point de vue philosophique et speculatif, visent a quelque chose d'essentellement different (che non sia "de decrive et d'esposer" ce qui est dans la nature: elles s'efforcent d'induire ou de deduire et d'expliquer ce qui doit ètre". Così l'Impallomeni, Istituzioni di diritto penale, Torino 1903, accanto a una scienza del diritto penale, che egli chiama ??? [illeggibile nell'originale] e che è "l'esposizione sistematica dei principi che regolano il diritto penale di uno stato determinato" (p. 2) (cioè a dire per quanto ci riguarda la scienza del diritto penale positivo italiano vigente) ammette l'esistenza di una "scienza astratta del diritto penale" cioè la storia del diritto penale e il diritto penale comparato a cui noi riconosciamo importanza di trattazioni autonome non solo ma anche quella di mezzi ausiliari così della conoscenza scientifica del diritto positivo penale italiano vigente che della filosofia del diritto penale e della politica criminale). Riconosce poi "oltre una dottrina puramente descrittiva" l'esistenza di una "dottrina etica e speculativa del diritto penale, la quale intende alla critica e alla riforma della legislazione penale" (p. 4) e che non è altro che quella che noi chiamiamo filosofia del diritto penale, concepita da noi, come dall'Impallomeni, non come scienza di un problematico diritto naturale o razionale o ideale, cioè come filosofia aprioritica e trascendentale § 1 p. 3-5), ma, invece, come una filosofia positiva o realistica del diritto penale (vedi anche: Fondamento scientifico del diritto penale negli Studi per Carrara, Lucca 1899, p. 176 e 177 nota 1). Sotto qualunque di questi tre aspetti scienza del diritto penale positivo nazionale, scienza del diritto penale storico e comparato, filosofia del diritto penale) quella che lo Impallomeni, troppo comprensivamente, chiama scienza (astratta, concreta, etica e speculativa del diritto penale si distingue poi per lui dalla politica criminale scienza da lui concepita in un modo tutto diverso dal nostro (v. oltre nota 48) e che non sembra approvabile (§ 4, p. 7-12). E si distinguono pure dalle scienze ausiliarie. Tra le quali egli pone una così detta e inammissibile psico-fisio-patologia e l'antropologia criminale) nonchè la filosofia generale del diritto (che non si comprende come si distingua dalla dottrina etica e speculativa del diritto penale) e la sociologia generale. Non però la sociologia criminale, che, come tale, cioè come particolare scienza sociale, egli sembra non distinguere dalla scienza del diritto penale (p. 29 nota 4) e neppure dalla sociologia generale (§ 5, p. 13-29): ciò che, non occorre dirlo, non ci sembra esatto. Non diverso da quello che l'Impallomeni sembra essere il pensiero antecedentemente manifestato dal Carnevale il quale pur, come noi, negando (e forse anzi perchè nega) l'esistenza di un altro diritto penale, che non sia il diritto positivo, non distingue tuttavia dalla scienza del diritto criminale positivo, la filosofia del diritto criminale: e nemmeno distinguere da esse la sociologia criminale (e tanto meno la politica criminale). Queste scienze non sembrano essere dunque per il chiaro Autore se non tre particolari direzioni (giuridica, filosofica e sociologica) della scienza del diritto criminale (ciò che a noi non pare a dir vero esatto). La quale scienza giuridica penale tuttavia come particolare scienza sociale (io direi anche giuridica) è per lui distinta dalla sociologia generale. Sociologia che poi a sua volta è, per l'Autore, rigorosamente distinta dalla biologia. (Carnevale, Il naturalismo nel diritto criminale nella Giustizia Penale, volume II (1896), fascicoli 521; La filosofia penale negli Studi per Carrara, Lucca 1899, p. 59-75; v. anche: Ragione del diritto di punire nella Rivista Penale, volume LXV, fascicolo 2, num. 3). Da questa via non si allontana molto un altro valente scrittore, l'Alimena, il quale pur distinguendo la scienza del diritto penale, cui appartiene lo studio giuridico del delitto, dalla sociologia criminale, cui appartiene lo studio sociale e naturale (anche naturale?) di esso (e che quindi per lui comprende in sè non esattamente l'antropologia criminale) fa poi rientrare nella scienza del diritto penale tre ricerche: la ricerca della nozione teorica del delitto e della pena, indipendentemente (?) da ogni legislazione positiva (la quale non può essere se non una indagine di filosofia del diritto penale); la ricerca della loro nozione storica e comparativa (che per noi è data dalla storia del diritto penale e della scienza del diritto penale comparato come trattazioni autonome e anche come mezzi di studio del diritto penale positivo); la ricerca della loro nozione nella legislazione positiva italiana (che per noi è compito della scienza del diritto positivo penale, ma non si arresta, tuttavia, alla mera esegesi del testo legislativo). (Alimena, Lo studio del diritto penale mette condizioni presenti del sapere nella Rivista di diritto penale e di sociologia criminale, anno I (1900), p. 181-216: e di nuovo discutendo i nostri concetti (ma non senza qualche modificazione di idee relativamente alla prima disconosciuta ed ora ammessa) indagine dogmatica nel campo del diritto penale, nei Principii di diritto penale, vol. I, Napoli 1910, Prefazione, p. XV-XIX e Introduzione, cap. 1°, p. 13-18 e nell'articolo: Le esigenze del diritto penale e le tendenze dei penalisti in questa Rivista, anno I (1910), fasc. 3, p. 129-142). Quanto alla "politica criminale" l'Alimena sembra distinguerla dal diritto penale, ma la concepisce, in contraddizione col suo stesso nome, come "una disciplina giuridica" (Principii di diritto penale, p. 16). Il Tuozzi, invece (Enrico Ferri e la sociologia criminale, Estratto dal Foro Penale, Roma 1892) ritiene esattamente che "esistano con indipendenza le scienze del diritto criminale, della sociologia criminale e della antropologia criminale aventi tra loro rapporti di correlazione e di affinità per l'identità dell'obietto preso a studiare" (p. 4) e precisamente afferma che "l'antropologia criminale è una scienza naturale, la sociologia criminale una scienza sociale, il diritto criminale una scienza giuridica, pur convergendo il loro esame da questi tre punti diversi su un univo argomento, il crimine, il quale si presenta effettivamente come un fenomeno naturale, sociale e giuridico" (p. 5). Ugualmente egli distingue la scienza del diritto penale dalla politica criminale (Lo stato presente della scienza penale, nel volume per Carrara, Lucca 1899, a pag. 365), ma non riesce a limitarla dalla filosofia del diritto penale. Chè anzi per quanto riguarda quest'ultima il Tuozzi sembra ammettere, anche egli, l'esistenza di un "diritto astratto" di "principii di ragione", diversi dai principi di diritto positivo e come fonte a cui deve attingere la scienza stessa del diritto penale positivo (Corso di diritto penale, Napoli 1899 (2ª ed. e 3ª ed. 1907), § 11, p. 3).
Più lontano dal nostro è il pensiero del Napodano, L'indirizzo scientifico del diritto penale, Estratto dalla Rivista penale, volume LVII, pag. 529, il quale pur distinguendo la scienza del diritto penale, dalla sociologia criminale e dalla antropologia criminale (concepite in modo da noi non del tutto accettabile) identifica la scienza del diritto penale con la filosofia del diritto penale e con la politica criminale, e, più in generale, la scienza del diritto con la filosofia del diritto e con la politica. E come ritiene che "la scienza giuridica ha un contenuto a sè che viene indicato dall'utile e dal giusto" e "studia...i bisogni umani che meritano soddisfazione cioè il modo degli interessi e delle utilità regolati da una norma superiore di ordine" che è, per lui, la giustizia, (p. 5, 6, 7), così afferma che la scienza giuridica penale "investiga gli interessi umani in ordine al fatto del delitto in relazione a una norma (cioè la giustizia) che li legittima (p. 11 e 12: v. anche p. 13). Con che si cade nel triplice errore di ammettere come oggetto di studio della filosofia nel diritto penale l'idea di una norma (giuridica) trascendente la realtà del diritto positivo, e delle stesse necessità e utilità sociali: di disconoscere l'oggetto proprio della scienza del diritto penale, cioè il diritto penale positivo, e i limiti che la separano dalla filosofia del diritto penale (avente per oggetto di studio la giustizia, come complesso delle condizioni fondamentali e indispensabili della convivenza sociale in rapporto al diritto penale) e dalla politica criminale (avente per oggetto di studio l'utilità politica, sempre nei rapporti del diritto penale). Per altri confronti (che sarebbe troppo lungo e inopportuno istituire e che il lettore potrà fare da sè) fra le idee espresse nel testo, e quelle professate da altri scrittori, si consulti Lanza (Vincenzo), Saggio di una veduta metodologica (sui criteri per commisurare le pene), estratto dalla Rivista penale, vol. LV, fasc. 5ª e 6ª, Torino, 1902, § 1 (Diritto penale come scienza: linee critiche di un sistema) n. 1-7, p. 3-24, L'umanesimo del diritto penale, Palermo, 1906, cap. IV: Diritto penale italiano - Principi generali, Torino, 1908, cap. I, p. 1-22 (lavori di notevole valore, nei quali si rivendica energicamente alla scienza giuridica penale perfino il compito di critica e di riforma della legislazione, generalmente assegnato alla filosofia del diritto e alla politica criminale, ma nei quali la confusione dell'indagine tecnico-giuridica con quella etica e politica e anche sociologica e psicologica annebbia solitamente il criterio giuridico dell'Autore e costituisce, così, la miglior riprova dell'asserita necessità di distinguere quelle indagini): e inoltre: Puglia. Il diritto di repressione, Messina, 1882, specialm. a p. 25; Autonomia della scienza del diritto penale, Messina, 1893; Risorgimento ed avvenire della scienza del diritto criminale, Palermo, 1886, specialm. p. 52; La sociologia criminale nella Rivista di diritto pen. e soc. crim., anno I (1990), p. 285-293 l'A. distingue nettamente la scienza del diritto penale come scienza giuridica dalla antropologia criminale e dalla sociologia criminale, ma assegnando ad essa una funzione meramente normativa e deontologica, nei rapporti del diritto penale costituendo, e non già descrittiva e espositiva del diritto penale vigente non riesce naturalmente a distinguerla dalla politica criminale e neanche dalla filosofia del diritto penale (vedi però più di recente: Necessità di un rinnovamento degli studi filosofici del diritto penale negli scritti in onore di Pessina, Napoli, 1899). Invece egli distingue la scienza giuridica penale da una così detta penalogia (la quale per noi è parte della sociologia criminale che, come tale, non può non essere anche penale) e dalla scienza del diritto di prevenzione (che per noi è parte della scienza del diritto amministrativo, ma che non avremmo difficoltà alcuna a riunire alla scienza del diritto penale sotto il nome comune di scienza del diritto criminale) e infine dalla statistica criminale (che non è per noi se non il metodo proprio della sociologia criminale; e non già una scienza di per sè stessa); Florian, La fase odierna del problema penale nella Rivista di diritto penale e sociologia criminale, vol. I (1900), p. 4-21; Dei reati e delle pene in generale, Milano, Vallardi, 1901, p. 31-35, 36-38; Sull'insegnamento del diritto penale secondo gli attuali regolamenti universitari, nella Giustizia Penale, anno IX (1903), fasc. 2°, col. 321-333, il quale (in questo lavoro, forse più esattamente che nei precedenti) distingue la scienza del diritto penale, come scienza giuridica, dalla antropologia criminale e dalla sociologia criminale e assegna giustamente alla prima lo studio tecnico e dogmatico del diritto penale positivo vigente, nei suoi principi, ma sembra voler mantenere ad essa una funzione normativa, nei rapporti del diritto costituendo, che spetta meglio alla politica criminale e alla filosofia del diritto penale: ciò che lo induce a confondere, con queste scienze, la scienza del diritto penale in senso stretto. Senza contare che la politica criminale sembra comprendere in sè, secondo l'intenzione dell'Autore, non solo per i fini didattici (ciò su cui non avremmo da dissentire) ma anche per i fini scientifici (il che non possiamo ammettere) l'antropologia e la sociologia criminale. Vedasi anche tra gli altri scrittori: Vaccaro, Sul rinnovamento scientifico del diritto penale, Roma, 1899 (che concepisce la scienza del diritto penale come una scienza sociale (e non anche giuridica!) particolare, cioè, in fondo come una sociologia criminale (!) distinta dalla sociologia generale soltanto come la specie dal genere): e inoltre: Barsanti, Il Carrara e il suo indirizzo scientifico nel momento presente, Macerata, 1902, p. 3-40 (nel quale lavoro la scienza del diritto penale positivo si è confusa con la filosofia (idealistica) del diritto penale e con la politica criminale, benchè distinta dalla antropologia e dalla sociologia criminale). (Per altri autori italiani e stranieri meno recenti, vedi le citazioni che si trovano in Ferri, Sociologia criminale, Torino, 1900, p. 921 e 922 in nota).

(31) Così: Ferri, Sociologia criminale, 4ª ed., Torino, 1900, p. 921-929 (vedi però le restrizioni a p. 925 in fine, dove la sociologia criminale è distinta, almeno, dalla antropologia criminale, non però ad ogni modo dalla scienza del diritto penale nè dalla filosofia del diritto penale e nemmeno dalla politica criminale (p. 926 e 928).

(32) Secondo il nostro concetto, la antropologia (o biologia) criminale è una particolare scienza antropologica distinta, come tale, dalla antropologia generale, e si divide in somatologia (anatomia o fisiologia) criminale o psicologia criminale. Da essa si distingue la sociologia criminale che è una particolare scienza sociale, come tale, distinta anche dalla sociologia generale. Mentre l'antropologia criminale studia il delitto come fenomeno puramente naturale, studia, cioè, per dir meglio, il delinquente sotto l'aspetto organico (anatomico e fisiologico) e psichico, la sociologia criminale studia il delitto o la pena come fenomeni puramente sociali e comprende pertanto in sè tanto la teoria sociale del delitto (criminologia), che la teoria sociale della pena (c. d. penalogia). Sui vari concetti della sociologia criminale, di veda, di recente: Puglia, La sociologia criminale nella Rivista di diritto penale e sociologia criminale, vol. I, (1900), p. 285-293 (dove la sociologia criminale è esattamente definita (n. 12, p. 292) "la scienza che studia la delinquenza come semplice fenomeno sociale").

(33) La necessità, da noi anche altrove proclamata, di tener distinta anche nel campo del diritto penale l'indagine filosofica da quella strettamente tecnico - giuridica (Sul concetto del diritto subiettivo di punire, Prato, 1904, p. 3), da principio oppugnata (vedi retro, nota 28), fu riconosciuta di recente altresì dal Manzini, Trattato di diritto penale, vol. I, Torino, 1908 (§ 2, p. 3-6 e 48, nota 1). Anteriormente, del resto, già aveva osservato, non senza però qualche imprecisione, il Puglia, Necessità di un rinnovamento degli studi filosofici del diritto penale, estratto dagli Studi in onore del Pessina, Napoli, 1899, p. 10: "...nel passato la filosofia del diritto penale non costituì obietto principale di studio dei filosofi del diritto i quali sempre dedicarono la loro attività a dare ampio svolgimento alle dottrine relative al diritto privato o al diritto in generale e per questo motivo fu più opera dei criminalisti che dei filosofi del diritto la esposizione dei principii fondamentali della scienza del diritto di reprimere, la critica delle dottrine filosofiche inesatte, la determinazione dei limiti entro i quali la società deve esercitare quel diritto, dei caratteri che la punizione deve avere, ecc.". "Ma appunto per questa non razionale divisione di lavoro fra criminalisti e filosofi del diritto è avvenuto che nel sistema filosofico del diritto non tutte le parti costituenti hanno avuto un proporzionato sviluppo; nè una vera coordinazione ed, integrazione scientifica fra i principi fondamentali delle diverse manifestazioni della vita giuridica è stata possibile". Recentemente poi (ciò che è ben sintomatico) faceva adesione a questo punto di vista un giovane e valente filosofo del diritto, il Rava, I compiti della filosofia rispetto al diritto, Roma, 1907: "Noi giudichiamo - egli osservava - lo stesso diritto e diciamo questa legge è ingiusta: questa consuetudine è ingiusta...Tali dubbi non agitano il cultore di singole discipline giuridiche, come tale. Il civilista non si domanda perchè chi ha promesso deve pagare nè il penalista si chiede perchè si punisce" (p. 8). E in nota (nota 3, p. 28): "Si noti bene che qui si parla del cultore di singole discipline giuridiche come tale. Vale a dire nulla impedisce che un civilista discuta sul fondamento dell'obbligazione o un penalista sul fondamento della pena: solo che quando essi fan ciò, non fanno della scienza, ma della filosofia del diritto. Queste incursioni di scienziati del diritto nella filosofia giuridica sono tanto più frequenti, quanto meno la disciplina giuridica da essi professata è costituita in saldo organismo scientifico (si pensi quanto più frequenti esse sono per il diritto pubblico che non per il diritto privato); e ciò si spiega, sia perchè per talune scienze giuridiche se ci si limitasse a dire ciò che in esse vi è di veramente scientifico ci sarebbe da dire ben poco (per esempio, per il diritto costituzionale) sia perchè è una delle missioni storiche della filosofia, da noi altrove studiata, quella di tener come in amministrazione provvisoria (secondo, aggiungiamo noi, ebbe autorevolmente a rilevare anche il Wenot) certi campi del sapere ancora poco solidamente organizzati a sistema. Naturalmente si manifestano, in tutti questi casi, tutti gli inconvenienti delle amministrazioni provvisorie". (Vedi anche il lavoro dello steso autore: La classificazione delle scienze e le discipline sociali, Roma, 1904, cap. VII). Sulla distinzione, come sui rapporti, fra le singole scienze giuridiche speciali, come tali, (diritto civile, penale, amministrativo, etc.) e la filosofia del diritto, vedi del resto, da un punto di vista generale: Filomusi - Guelfi, Enciclopedia giuridica, Napoli, 1904, § 37, p. 122-123; Vanni, Filosofia del diritto, Bologna, 1904, p. 22 e seg.; Bierling, Juristische Principmenlehre, vol. I, 1898, p. 12 e segg.

(34) Che lo studio del diritto penale positivo vigente porti con sè naturalmente anche la considerazione delle necessità sociali e delle esigenze politiche di cui esso è l'attuazione e che in esse sono contenute, e che, da questo punto di vista, la scienza del diritto penale positivo abbia bisogno dei sussidi della filosofia del diritto penale e della politica criminale non può, per noi, revocarsi in dubbio. Ma con ciò resta sempre vero ciò che diceva il Liszt, cioè che "il diritto penale è la barriera oltre la quale non può passare la politica criminale", s'intende, però, come scienza o arte della legislazione avvenire.

(35) Vanni, Il diritto nella totalità dei suoi rapporti e la ricerca oggettiva, Prolusione al corso di filosofia sul diritto, letta nella R. Università di Roma, l'11 gennaio 1900 (nella Rivista Italiana di sociologia, anno IV, fasc. 1° gennaio-febbraio 1900). Roma, 1900, p. 30.

(36) S'intende che qui si parla dei limiti della scienza del diritto penale, come tale, nel sistema delle scienze criminologiche. Nè con questi son da confondere i confini della cultura necessaria al penalista.

(37) Lo Jhering, Geist des rümiscen Rochts (trad. franc. Di O. Meulenaere, Parigi, 1877-78, vol. III, pag. 5 e segg., commentando la sentenza di Seneca: "Semina nobis scientiaie natura dedit, scientiam non dedit", diceva: "L'arte la più umile ha la sua tecnica la quale non è che il deposito accumulato e divenuto obiettivo della sana ragione umana, ma che nondimeno non può essere applicata e giudicata se non da coltri che si dà la pena di studiarla").

(38) Questa identità fra i vari rami del diritto e i vari rapporti giuridici, in quanto tali, è appunto quella che permette la formazione di una teoria generale del diritto. La salda e ormai sicuramente costituita organizzazione della quale, in Germania non solo, ma anche in Italia, smentisce col fatto e toglie valore alle obiezioni che contro la sua possibile e sicura esistenza sono state anche di recente formulate dall'Alimena (in questa Rivista, I, p. 130). Il che non toglie che io possa convenire nelle necessità di evitare generalizzazioni affrettate dei concetti giuridici e affrettate analogie da un ramo all'altro del diritto senza tener conto delle debite differenze che naturalmente intercedono fra i vari diritti e i vari istituti e rapporti giuridici da essi creati.

(39) Sull'esegesi e sul sistema, come forme diverse dell'attività scientifica sul diritto vigente (scienza del diritto positivo) si veda: Merkel, Juristische encyclopaedie, Berlin, 1904, 3ª ed., §§ 357 e segg.; Filomusi-Guelgi, Enciclopedia giuridica, Napoli. 1904, §§ 34 e 35 (v. anche § 38) quali sembrano più intransigentemente escludere dalle indagini proprie della scienza del diritto positivo la critica, in qualunque forma, del diritto vigente: Rocco (Alfredo), L'interpretazione delle leggi processuali, nell'Archivio giuridico, vol. LXXVII, Roma, 1906, estratto capi 3° e 4°.

(40) Su la differenza fra interpretazione estensiva e analogica si veda, tra gli altri, Filomusi-Guelgi, Enciclopedia giuridica, Napoli, 1904, § 38, p. 141.

(41) Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico, nell'Archivio Giuridico, vol. XLII (1889), p. 191.

(42) Scialoja, Del diritto positivo e della equità, Discorso inaugurale, Camerino, Savini, 1880, p. 24. Sull'indagine dei principii (o concetti) fondamentali del diritto positivo ecco quel che magistralmente dice il Windscheid, Trattato delle Pandette, trad. Fadda e Bensa, Torino, 1902, vol. I, § 24, p. 74 e 75: " ... Il pensiero proprio della norma giuridica ci rappresenta un concetto, ossia un aggregato di elementi del pensiero: si tratta di risolvere i concetti nelle loro parti costitutive, di indicare gli elementi del pensiero in essi contenuti, in questa operazione si può andare più o meno avanti, poichè gli elementi trovati possono alla lor volta presentarsi come riunioni di altri elementi più semplici e così via... Il ricondurre un rapporto di diritto ai concetti sui quali si fonda si dice costruzione dello stesso". Questa indagine dei concetti fondamentali del diritto, è quella stessa che lo Jhering, il campione della giurisprudenza costruttrice, chiamò (Geist d. röm. Rechts, trad. franc. vol. III, pag. 26). "ricerca degli elementi semplici del diritto" e la cui tecnica corrispondente disse "chimica del diritto". Su di essa vedasi, tra noi, anche: Simoncelli, Le presenti difficoltà della scienza del diritto civile, Camerino, 1890, p. 13-23, dove proclama la necessità di una "determinazione dei concetti in base...alla loro posizione logica di fronte a tutto il sistema" (p. 17), e afferma che questo accertamento dei principi fondamentali della legge non può esser compito della filosofia del diritto. Sibbene della scienza giuridica (p. 21): e su di esso, sostanzialmente non discorde: Polacco, Sulla interpretazione della legge, estratto dal Monitore dei Tribunali del 1890, p. 3-S. Valga a dar l'idea della ricerca dommatica dei concetti giuridici fondamentali nel campo del diritto penale il seguente esempio: il furto è un reato mediante il quale taluno si impossessa della cosa mobile altrui per trarne profitto senza il consenso di colui a cui appartiene (art. 402 c.p.). Reato il torto giuridico che produce la conseguenza giuridica di una pena. Torto giuridico (o fatto illecito) è una azione umana imputabile (per dolo o colpa) giuridicamente illecita e dannosa. Che è "azione"? Che è "imputabilità"? Che è "dolo e colpa"? Che è "illiceità giuridica"? Che è "danno"? E inoltre: che è "pena"? Che è "conseguenza giuridica"? E infine: che è "cosa"? Che è "cosa mobile"? Che è "cosa altrui"? Che è "impossessamento"? E che è "possesso"? Che è "profitto"? Che è "consenso"? In che consiste l'"appartenenza della cosa"? E via dicendo.

(43) Anche il Civoli, Manuale di diritto penale, 2ª ed., Milano, 1907, n. 4, p. 3-7, pur negando, a differenza di noi, la incondizionata ammissibilità della interpretazione estensiva e correttiva in materia penale (che vuol riservate soltanto ai casi di disposizioni favorevoli all'imputato) non si perita tuttavia di ammettere entro certi limiti e cioè in quanto si tratti appunto di un favor libertatis, l'uso dell'analogia e dei principi generali del diritto (positivo) nell'interpretazione delle leggi penali. E trova anzi il "bisogno di insistere perchè le questioni penali che non si possono decidere in base alla legge nè ricorrendo all'analogia, si risolvano con regole desunte dalla conoscenza della legislazione positiva e dalla coordinazione metodica e scientifica delle varie disposizioni che la costituiscono..." (Manuale, 1ª ed., Milano, 1900 (non più nella 2ª ed.), n. 4, p. 14). Se e fino a che punto sia possibile, mediante l'uso della analogia e dei principii generali di diritto attuare in materia penale la così detta interpretazione progressiva, cioè quella interpretazione che cerca di adattare la legge alle sempre mutevoli esigenze sociali, è questione di cui non intendo qui occuparmi: vedi per essa, in senso giustamente affermativo: Binding, Handbuch des deutschen Strafrechts, Leipzig, 1835, Bd. I, p. 454 e segg.

(44) Osserva, a questo proposito, con grande precisione il Windscheid, Trattato delle Pandette, § 24, p. 74: "Dalla intelligenza completa del contenuto dei concetti compresi nelle norme giuridiche, dipende, non solo la piena intelligenza del diritto, ma anche la scienza della sua applicazione. Sotto questo ultimo rapporto si noti quanto segue: la specie di un caso da decidere corrisponde assai raramente alla specie di una sola norma giuridica. Di regola le diverse parti della specie si schierano sotto norme giuridiche diverse. Gli effetti giuridici che queste norme stabiliscono si determinano e si incrociano; la decisione finale è il risultato di un computo, i fattori del quale sono i concetti giuridici: il compito, naturalmente, darà un risultato tanto più sicuro quanto più il valore dei fattori è certo. è palmare ad un tempo che il vero sistema dei diritto, l'ultima omogeneità delle sue norme può solo emergere da una piena comprensione dei concetti giuridici". E non diversamente il Bekker, System des heutigen Pandektenrechts, Weimar, 1889, vol. II, Prefazione, osserva che la determinazione dei concetti è il primo bisogno così dell'applicazione che della scienza del diritto; e afferma che si può stimare il valore di un diritto secondo la fissità dei concetti con cui funziona".

(45) Ecco il bellissimo passo di Jhering, Geist des rümischen Rechts, trad. franc., vol. III, p. 74 e 75: "La pratica ci fornisce ogni giorno delle questioni ed aumenta così indirettamente le nostre conoscenze; ma le questioni della pratica non sono sempre le più istruttive. Una questione spoglia di ogni interesse pratico, ma che afferra per così dire corpo a corpo l'istituto nella sua radice, può essere, per la conoscenza esatta di questo istituto infinitamente più importante delle questioni può dare la chiave di tutta una serie di questioni pratiche che si cerca vanamente di chiarire in modo indiretto. Le scienze naturali ottengono le scoperte più feconde per la vita occupandosi di questioni e di ricerche che non promettevano punto una ricca messe per la pratica. Più esse si isolano dalla vita e meglio la servono. Spesso è ben lo stesso per la giurisprudenza. Essa fa alle volte le sue più belle scoperte nelle regioni completamente estranee alla pratica. Se i giuristi romani non ci avessero appreso che questo, che la giurisprudenza, per essere pratica, non deve limitarsi solo alle questioni pratiche, la proclamazione di questa sola dottrina dovrebbe assicurare ancor loro, la nostra eterna riconoscenza".

(46) Vedasi su questo punto il mio lavoro: Sul così detto carattere sanzionatorio del diritto penale, Estratto dalla Giurisprudenza Italiana, vol. LXII, Torino, 1910 (p. 75)

(47) Sulla nozione del bene e dell'interesse nel campo del diritto penale, vedi il mio scritto: I concetti di bene e di interesse nel diritto penale e nella teoria generale del diritto, nella Rivista Italiana per le scienze giuridiche, volume XLVII, a. 1910, fasc. I-II, Estratto, Torino, 1910 (p. 8-32). E sul concetto del reato come torto giuridico (azione umana, imputabile, illecita e dannosa) produttivo della particolare conseguenza giuridica della pena a causa appunto della sua pericolosità sociale, vedasi il mio lavoro: Il danno e il pericolo sociale risultante dal reato nell'Archivio giuridico, anno 1909, vol. LXXXIII, 1, Estratto, Pisa, 1909, specialm. n. 16, p. 53).

(48) Anche l'Ortolan, èlements de droit penal, Paris, 1863, pur ritenendo a torto che il diritto penale abbia un carattere meramente secondario o sanzionatorio di fronte alle altre norme giuridiche (n. 21, p. 9) giustamente osserva: "...le droit penal se lie 8 toutes les divisions du droit et ... le jurisconsulte veritablemont versè dans la connaissance du droit penal doit l'être aussi dans celle de toutes les branches du droit" (n. 22, p. 9). E così pure il Binding, per quanto (e anche perchè) influenzato dalla sua preconcetta "teoria delle Norme" osserva in gran parte esattamente (Handbuch d. deutschen Straftrechts, Leipzig, 1885, Bd. 1, § 2, p. 9): "Die Rechtsgüter und Rechte zu deren Sohutz Normen und Strafgesetze bestimmt sind liegen auf allen Rechtsgebieten zerstreut. So steuern diese alle ihren Beitrag zur Bildung der Delikts-und Verbrechensbegriffe und alle Merkmale der Verbrechens-Tatbestände die dem Privatrecht oder dem Staatsrecht, dem Völkerrecht oder dem Prozesse-angehören, bilden ebenso viele Briichen zwichen dem Strafrecht und diesen Rechtsteilen. Das Strafrecht darf nioht isolirt betrachtet, muss vielmehr in sienem lebendigen Zusammenhang mit allem übrigen Recht, es muss als Glied des ganzen positiven Rechtssystem gesohaut werden".

(49) Per il tentativo di una teoria dei diritti subiettivi in materia penale e dei rapporti di diritto penale sostanziale e processuale. Si veda già la mia Riparazione alle vittime degli errori giudiziari (1ª ed., Torino 1902), 2ª ed., Napoli 1905, n. 43 e 44, p. 96-104 e inoltre (ma con riguardo al solo rapporto giuridico penale e non al rapporto processuale penale), il mio scritto: Sul concetto del diritto subiettivo di punire, Prato 1904 (negli studi per Scialoja). Questo tentativo a cui in generalmente riconosciuto in Italia il merito della priorità (Lucchini, nella Rivista penale, vol. LXVII, p. 558 ; Grispigni, Recensione al Trattato del Manzini nella Scuola Positiva, anno 1908, n. 3-4; Alimena in questa Rivista, I, p. 131), non ostante le critiche di cui è stato oggetto (cfr. di recente: Manzini, Trattato di diritto penale italiano, vol. I, Torino 1908, cap. III, n. 45-50 ; Lanza (V.), Diritto penale italiano, vol. I, Torino 1908, nn. 7, 32, 34, 37-39), va raccogliendo sempre più il favore degli scrittori (cfr. lo stesso Manzini, Dei limiti della difesa nell'istruttoria penale secondo la dottrina dei diritti pubblici soggettivi, Relazione per il Congresso giuridico di Milano, Milano 1906 e negli Atti del Congresso p. 192, Milano 1907; Relazione sul progetto del codice di procedura penale dell'on. Finocchiaro-Aprile presentato alla Camera dei Deputati nel gennaio 1906, passim; Massari, Il processo penale nel Filangieri, 1906, p. 242; Gismondi, La volontà dello Stato e dei privati nel diritto di punire, Introduzione, in Giustizia penale (1906), col. 1257; LONGHI, La legittimità della resistenza agli atti della autorità nel diritto penale, Milano 1907, n. 18, p. 42; De Mauro (G. B.) Il diritto subiettivo di punire con prefazione di Alimena, Napoli 1908; Grispigni, nelle Recensioni al Lanza, (V.) e al De Mauro (G. B.) nella Scuola Positiva, anno XVII (1908), p. 666, anno XIX (1909), p. 442 e da ultimo: Alimena, Principii di diritto penale, Napoli 1910, p. 108-113; Le esigenze del diritto penale e le tendenze dei penalisti in questa Rivista, a. I (1910), p. 131-133) e penetra altresì nella giurisprudenza. Il valore pratico e non soltanto sistematico (come ritiene l'Alimena) di questa dottrina è provato dall'aiuto che essa fornisce nella risoluzione di una quantità di questioni pratiche che si presentano nella interpretazione delle nostre leggi (vedine, ad es., di recente l'applicazione a una questione esegetica nel mio lavoro:Riabilitazione e condanna condizionale nella Giustizia Penale, anno XIII (1907), fasc. 45, Prato 1907, Estratto di p. 23).

(50) "Eine gesunde dogmatische Behandlung des geltende Strafrechts - dice benissimo il Binding, (Handbuch des deutschen Strafrechts, Leipzig 1835, Bd. I, Vorrede p. VIII) - blieb aber un nöglich, wurden nicht Verbrechen und Strafe der Solbstherrlichkeit outkleidet, womit bisher beide in den theoretischen Werken einhergeschritten waren. Des Verbrechen musste als Tatbestand, der das Strafrecht erzeugt, die Strafe als Objekt dieses Strafrechts gefasst werden - mit anderen Worten; es galt dem subjektiven Recht auch in der Strafrechtwissenschalt den Platz wieder einzuräumeu, der ihm gebührt. Und da zwar nicht alle menschlichen Rechts ans dem einen göttlichen fliessen wie Heraklit sagt, wohl aber alle subjektiven Rechte aus den Rechtssätzen, so galt es nuch fär uns des Recht und die Rechte in der engen Beziehung zu sehen, in der beide steheu müssen". Che la teoria del diritto subiettivo penale e del rapporto giuridico penale (a cui, si noti, è strettamente legata come conseguenza, quella della personalità o capacità di subiettività giuridica penale) non sia dopo il Binding rimasta "sterile" come ritengono il Manzini e l'Alimena, è dimostrato dal fatto che essa va raccogliendo oggidì in Germania sempre nuovi fautori i quali ne formano il fulcro delle loro trattazioni sistematiche del diritto penale (Finger, Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Berlin 1904, Bd. I, specialm. §§ 1, 17, 34; Beling, Grundzüge des Strafrechts, Tübingen, 1905 specialm. § 2 e § 15). E poichè essa è la pietra angolare per la costruzione scientifica di tutto l'edificio della così detta parte generale del diritto penale è ben naturale che il suo completo sviluppo possa - come io già dissi con ingiustificata meraviglia altrui - convenientemente essere dato soltanto mediante una larga e voluminosa trattazione cioè, appunto, mediante l'esposizione di tutte le teorie generali del diritto penale, che ad essa si riconnettono, come parti di una organica e unitaria costruzione dogmatica.

(51) α) Che la politica criminale - come parte della politica in generale - sia al pari di questa (cfr. Holtzendorff, Ucber das Verbachmiss des Rechts zur Politih, 2ª Aufl. 1876, p. 89 e seg. 1876, p. 89 e seg.) la scienza o l'arte (su ciò non si vuol qui discutere) della legislazione epperò riguardi il giudizio, la critica e la riforma del diritto vigente è tradizionale e concorde insegnamento della scienza, non soltanto straniera, ma anche italiana (cfr. tra i tedeschi: Feuerbach, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland gultigen peinlchen Rechts, Giessen 1847, § 6, pag. 23 e nota 4 e 5 del Mittermayer (nello stesso senso): Henke, Handbuch des Kriminalrechts und der Kriminalpolitik, Berlin 1823, Bd. I. § 29 e 31 e gli autori ivi citati; Heffter, Lehrbuch des gemeinen deutschen Strafrechts, 4ª Aufl. Braunnschweig, 1857, § 1, p. 1-2 ; Geyer, Grundriss iber gemeines deutsches Strafrecht, München 1884, p. 65; Meyer (H), Lehrbuch des deutschen Strafrechts, 6ª Ed. von Allfeld, Leipzig 1907, § 6, p. 40 sub e): Beling, Grundzuge des Strafrechts, Tübingen, 1905, § 9, p. 13 sub. 3; Liszt, Lehrbuch des deutschen Berlin 1908, § 1, pag. 2 sub. II; Wargha, Die Abschaffung der Strafknechtschaft, Graz 1906, I, cap. II; Thomsen, Das deutsche Strafrecht, Berlin 1906, vol. I, § 3, p. 35; tra noi: Pessina, Elementi di diritto penale, vol. I, Napoli 1882, § 8, p. 10; Civoli, Lezioni di diritto penale, vol. I, Torino 1895, p. 4 (alquanto diversamente alla nota 1); Napodano, Il diritto penale italiano, Napoli 1895, § 3, p. 7; Manzini, Trattato di diritto penale, vol. I, Torino 1908, n. 25, p. 26; Brusa, Prolegomenos de derecho penal, Madrid 1897, n. 2, p. 12 (vedi però in altro senso: n. 5, 9, 10). Questo compito di critica e di riforma la politica criminale come tale esercita non soltanto di fronte al diritto penale (o diritto criminale repressivo), ma altresì di fronte a quello che potrebbe dirsi diritto criminale preventivo (cioè a quella parte del diritto amministrativo che riguarda la prevenzione diretta della delinquenza) e al diritto penitenziario (cioè a quella parte del diritto amministrativo che regola l'amministrazione carceraria o penitenziaria (diritto amministrativo carcerario) e in genere di fronte a tutte quelle parti del diritto che riguardano la repressione o la prevenzione, diretta o indiretta, della delinquenza. La politica criminale si può dunque distinguere in politica penale o punitiva: politica amministrativa carceraria: politica criminale preventiva (diretta o indiretta).
β) Ma la politica criminale non ci dà soltanto il criterio per la valutazione critica del diritto penale vigente nè soltanto ci rivela quale sarà il diritto criminale che dovrà valere nell'avvenire, ma essa ci insegna altresì ad applicare il diritto penale vigente ai singoli casi fortemente agli scopi politici che esso si propone di raggiungere: ci insegna a temperare e moderare nella applicazione giudiziale ai singoli casi, lo stretto diritto penale con le esigenze di convenienza e di opportunità, di utilità e di prudenza politica a cui il diritto penale stesso deve rispondere (arte dell'applicazione della legge).
γ) Infine la politica criminale oltre ad essere scienza (o arte) della legislazione oltre a essere arte dell'applicazione della legge è altresì scienza (o arte) della amministrazione in quanto vigile affinchè l'attuazione delle pene o di altri provvedimenti congeneri avvenga nel modo più tecnicamente conforme alle esigenze di convenienza o di opportunità politica penale. La politica criminale può pertanto definirsi come la scienza o l'arte dei mezzi preventivi e repressivi di cui lo Stato, nella sua triplice veste di potere legislativo, amministrativo e giudiziario, dispone per raggiungere lo scopo della lotta contro la criminalità. Così concepita la politica criminale si distingue:

1°. Dalla filosofia del diritto penale (a cui pur spetta un compito speculativo o normativo o dogmatico o etico che si voglia dire): perchè: l'oggetto proprio di studio della filosofia del diritto penale (anche come filosofia positiva) è dato dalle esigenze della "giustizia" nei rapporti del diritto penale (dedotte tali esigenze, dalle condizioni fondamentali e indispensabili della convivenza sociale): l'oggetto proprio di studio della politica criminale è dato, invece, dalle esigenze "della politica" in rapporto al diritto penale medesimo (regole di utilità e di convenienza, di opportunità e di prudenza politica): esigenze queste ultime che la politica criminale combina con le esigenze della giustizia ed insieme applica all'arte dello jus condere. è perciò errata la concezione di coloro che confondono la giustizia (sociale) con l'utilità (politica), la filosofia del diritto penale con la politica criminale (così: von Liszt, Lerbuch des deutschen Strafrechts, Berlin 1908, § 1,sub. II o § 13).

2°. Dalla scienza del diritto positivo - o così del diritto penale che del diritto penitenziario e del diritto criminale preventivo, - perchè: la scienza del diritto penale positivo, ha per oggetto di studio le norme del diritto penale (norme giuridiche), la politica criminale (scienza o arte) ha per oggetto di studio le norme politiche criminali (penali e preventive); e ciò non solo quando provvede al compito specifico della formazione della legislazione avvenire, ma altresì quando soccorre il giudice e l'amministratore nel compito della applicazione, giudiziale ed amministrativa, delle leggi vigenti. Da ciò appare erronea la opinione di coloro che confondono la politica criminale o più particolarmente penale o punitiva con la scienza del diritto penale e in genere la scienza politica con la scienza del diritto (così: Impallomeni, Istituzioni di diritto penale, Torino 1908, § 4, p. 7-12; Lanza, Saggio di una veduta metodologica nella Rivista Penale, vol. IV, fasc. 5-6, Torino 1902, § 1, n. 1-7 ; Alimena, Principi di diritto penale, Napoli 1910, p. 16).

3°. Dalla antropologia (antropologia in senso stretto e psicologia) criminale e della sociologia criminale, perchè: la politica criminale ha un compito di valutazione critica e di riforma delle leggi vigenti e quindi di formazione delle leggi avvenire (funzione speculativa, normativa o deontologica), mentre la antropologia e la sociologia criminale hanno un compito puramente descrittiva una del delinquente, sotto l'aspetto anatomico, fisiologico e psichico, l'altra del delitto e della pena nel loro aspetto di fenomeni sociali. Pur ammettendo perciò, che la politica criminale debba attingere da queste scienze i dati (antropologici, psicologici e sociologici) necessari alla critica e alla riforma del diritto costituito e alla costituzione del diritto futuro, appare erronea la opinione di coloro che concepiscono la antropologia (somatologia e psicologia) criminale e la sociologia criminale come parti della politica criminale (così: Liszt, Kriminalpolitische Aufgabe nella Zeitschrift f. d. ges. Strafr. Bd. IX (1889), p. 443-454 (specialm. P. 453) ; Dic deterministichen Gegner der Zucckstrafe nella Zeilschrift f. d. ges. Bd. XIII (1893), p. 373 ; Dic psicologischen Grundlagen der Kriminalpolitik, ibidem Bd. XVI (1896) , p. 477 e più recentemente; Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Berlin 1908, § 1, p. 2, sub. II; Finger, Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Bd. I, Berlin 1904, § 2, p. 4 ; Thomsen, Das deutsche Strafrecht, Allgm. Teil, Berlin 1906, § 3a, p. 34).

(52) Non è in fondo molto diverso il pensiero dello Srooss quando ammonisce (Archiv für Kriminalanthropologic, Bd. XIV, p. 204) "Die Kriminalpolitische Betrachtung darf jedech nicht mit den Kriminalpolitischen Reformen begiuuen, sordern sie muss sich zunächst beharrlich dem geltenden Rechte zuwondon, bevor sie nouos schaffen will". Nello stesso senso: Thomsen, Das deutsce Strafrecht, Berlin 1906, § 3a, p. 35 "...grande an der lex lata müsste man erst die Verbrechenbekämpfung studiereu, um de lege ferenda Vorschläge machen zu konnen". Meritano di essere ricordate a questo proposito le scultorie parole del Fadda, che per se stesse valgono a far comprendere come sia assurda la pretesa di coloro che, nella riforma delle leggi penali vigenti, annunziano addirittura dei rivolgimenti catastrofici. "Ogni nuovo rapporto di fatto che la vita nelle sue proteiformi vicende crea non è elemento eterogeneo intruso nell'organismo sociale, ma svolgimento di questo. Epperò nemmeno il corrispondente suo regolamento giuridico si distacca dal sistema esistente, anzi non è che l'estensione di questo (Nota 1 al Diritto delle Pandette di Windscheid, p. 130)".

(53) Per una esatta actio finium regundorum nel campo della teoria della imputabilità e della responsabilità penale, si cfr. Pfenninger, Grenzbestimmungen zur Crimindistischen, Zurich, 1892, il quale pur non combattendo l'appoggio e il soccorso delle scienze ausiliarie, respinge l'invasione della filosofia, della psicologia, della frenologia, della medicina e della sociologia nell'ambito del diritto e afferma la necessità di porre confini rispetto ad essi.

(54) è la nota, e dagli antropologi generalmente accettata, classificazione dei delinquenti del Ferri. Il Liszt distingue, invece, più semplicemente; i delinquenti in: 1°) Delinquenti di occasione o del momento (delinquenza acuta); 2°) Delinquenti di disposizione o di carattere o di tendenza (delinquenza cronica); e suddivide quest'ultimi in: A) delinquenti che cominciano a divenire abituali ma che non ancora capaci di miglioramento (correggibili) e B) delinquenti abituali (incorreggibili) (v. specialm. Lehrbuch des deutsch. Strafrechts, Berlin, 1908, § 14, p. 71. L'Aschaffenrcrg, al contrario, (Das Verbrechen und seine Becämpfung, Heidelberg, 1903, 2ª ed., 1906), moltiplica le distinzioni e parla di: rei casuali, affettivi, di occasione, di premeditazione, recidivi, di abitudine, di professione. Per la critica di queste varie classificazioni e sotto-classificazioni (alla quale facciamo pure le nostre riserve) si veda di recente: Hoegel, Die Eintheilung der Verbrecher in Klassea, Leipzig, 1909.

(55) Così anche: Mortara (L), Commentario del codice e delle leggi di procedura civile, vol. I, 3ª ed. in corso di stampa, Milano Vallardi, n. 22.

(56) Savigny, Ueber deu Beruf unserer Zeit für Gesetzgebung und Rechtwissenschaft, 3ª ed., p. 39: "Le idee e i teoremi del diritto non appaiono ai giureconsulti romani come creazioni dell'arbitrio, sebbene come esseri reali la cui esistenza e genealogia si è loro manifestata per una lunga famigliare abitudine. Indi nasce altresì una sicurezza in ogni loro procedimento la quale d'ordinario non si rinviene fuori delle matematiche e si può dire senza tema di esagerazione che essi calcolano con le loro idee". Jhering, Geist des rümischen Rechts, trad., Parigi, 1877-78, vol. III, § 46, p. 51.

(57) Cfr. Prins, Science pènale et droit positif, Bruxelles - Parigi, 1899, Prefaz. XXXIX. Pur ritenendo la necessità di riforme forse troppo radicali delle nostre legislazioni penali.

(58) Pessina, Il naturalismo e le scienze giuridiche, nella raccolta dei suoi scritti, Napoli, 1899, vol. I, p. 228.

(59) Le scienze naturali ci forniscono continui esempi di questa affermazione: "Così - osserva ad altro proposito l'Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del diritto pubblico nell'Archivio Giuridico, vol. XLII, 1889, p. 115 - quando il botanico cerca di stabilire il modo onde son composti i più semplici prodotti del regno vegetale e trova che essi sono una combinazione di acqua, acido carbonico ed ammoniaca egli non va oltre: per lui sono elementi semplici quei corpi nei quali il chimico vede, invece, la composizione di altri elementi ancora più semplici".

(60) Che la "natura delle cose" sia "fonte di diritto" ha ritenuto a torto l'Adickes, Zur Lehre von der Rechtsquellen, 1872, p. 22 e segg. seguito in Germania dal Behrend, Lehrbuch des Handelsrechts, Berlin, 1880, p. 85 e in Italia dal Vivante, Trattato di diritto commerciale, I, 2ª ed., Torino, 1903, p. 73. Ritengono invece si tratti soltanto di una fonte di conoscenza (interpretazione) del diritto: Regelsberger, Pandekten, Leipzig, 1893, p. 68; Anzilotti, La responsabilità dello Stato nel diritto internazionale, Firenze, 1902, p. 30; Franchi, Commentario al Codice di Commercio, Milano, Vallardi, p. 6, nota 7; Rocco (Alfredo), L'interpretazione delle leggi processuali in Archivio Giuridico, vol. LXXVII, estratto, Roma, 1906, n. 6, p. 18.

(61) Che la sociologia sia soltanto un dato o presupposto della scienza del diritto, fu, in altri campi, già esplicitamente affermato (per quanto riguarda il diritto pubblico, si veda tra i più recenti: Forti, Il realismo nel diritto pubblico, Camerino, 1903, p. 56 e s. special. p. 84). E che la storia, come il diritto comparato, non siano per i cultori delle singole scienze giuridiche, nella più che "mezzi" per la conoscenza scientifica del diritto positivo vigente fu nel campo del diritto civile (a proposito delle discussioni sull'uso del diritto romano e francese nell'interpretazione del nostro codice civile) chiaramente e ripetutamente affermato (cfr. Filomusi-Guelfi. La codificazione civile e le idee moderne che ad essa si riferiscono, discorso, Roma, 1889, nota 5; Simoncelli, Le presenti difficoltà della scienza nel diritto civile, Camerino, 1890, p. 12).