:: ORDINE
Arturo Rocco: Il problema e il metodo della scienza del diritto penale. (1)
Quanto mai singolare e caratteristico è il momento scientifico odierno del diritto penale. E', in vero, nella coscienza di tutti, e fin dei profani agli studi nostri, e non ha mancato di essere da altri, e pur recentemente, avvertito, che la scienza del diritto penale attraversa oggi non soltanto in Italia, ma anche in Francia e perfino in Germania, un periodo di crisi, dal quale, prima o poi, deve, necessariamente, uscir fuori (2). Questa crisi non dipende, tuttavia soltanto, come potrebbe credersi, da inconsulti desideri di novità o da tendenze manifestamente ipercritiche, o da invalse abitudini di dilettantismo scientifico e di enciclopedismo forense, ma trova ben più la sua fonte in tutte le generali correnti che animano il pensiero scientifico contemporaneo. Nè essa è, a dir vero, un fenomeno isolato e sporadico che affligga, del suo male, il solo organismo scientifico del diritto penale, ma si riannoda ad una crisi più vasta più grave che agita tutto il dominio delle scienze etiche e così non solo delle scienze giuridiche ma altresì delle scienze delle scienze politiche, morali e sociali. Tuttavia io non credo di andare errato se affermo che, almeno nel più ristretto campo delle scienze giuridiche, poche altre presentano oggidì uno stato di disorganizzazione pari a quello che si riscontra, nell'attuale momento, nella scienza del diritto penale. Questa scienza, il cui organismo, trentacinque anni or sono, pareva ormai definitivamente consolidato e fortificato, tanto essa era rigorosamente definita nella sua invalidità e irrevocabilmente costituita e sistemata nel suo oggetto, nei limiti suoi, nei suoi principi fondamentali e direttivi: questa scienza, trentacinque anni fa, così concordemente esposta nel corpo delle sue dottrine, unanimemente insegnata nella scuola, ossequiata nella pratica, seguita nella pubblica opinione, si è ora ridotta a tale, che, di fronte alle contestazioni, alle incertezze, ai dubbi, di cui è minacciata, di fronte all'ambiente di scetticismo e di diffidenza formatosi a lei d'attorno, vi è luogo veramente a chiedersi daccapo quale sia, nel pensiero e nella vita sociale odierna, il problema della sua esistenza, quale cioè la sua ragion d'essere, la sua missione teorica e la sua pratica funzione e quale il metodo che essa deve seguire nel raggiungimento di tale sua destinazione scientifica e pratica. E invero, se ben esiguo, e, anzi, quasi nullo, è ormai il numero di coloro che, infatuati di una falsa o esagerata ipotesi antropologica, considerano la scienza nostra come destituita da ogni ragion d'essere come scienza, ad un tempo sociale e giuridica, permangono, tuttavia, sia pure isolate, opinioni e tendenze per le quali essa dovrebbe trasformarsi completamente nel suo oggetto, nel suo contenuto, nei suoi limiti, e perfino nel suo nome, in guisa tale da perdere la propria autonomia e individualità di scienza giuridica e da venir sostituita da una nuova, e più ampia, disciplina sociologica, nella quale essa rimarrebbe assorbita e confusa. Perfino in taluni di coloro - e son ormai la maggioranza - che pur mantengono ferma di fronte alla prepotenza sociologica, l'autonomia della scienza del diritto penale, l'influenza delle idee nuove, da un lato, e delle vecchie, dall'altro, fa dilagare la scienza del diritto penale al di fuori dei confini giuridici che le sono naturalmente assegnati.
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La produzione scientifica contemporanea del diritto penale si caratterizza, appunto, per questo stato generale di incertezza della scienza nostra. Essa va vagolante, dubbia di sè e dei suoi fini, par quasi, ancora, cercare sè stessa. E così corrono oggi per le mani di tutti i trattati e monografie e articoli, così detti, di diritto penale in vista di taluno dei quali c'è da domandarsi, tra l'altro, se una scienza che si chiama diritto penale, sia, o non sia, una scienza giuridica. C'è dell'antropologia, della psicologia, della statistica, della sociologia, della filosofia, della politica: tutto, insomma, qualche volta, tranne che del diritto. Ora si naviga ancora in pieno diritto naturale o razionale o ideale, compiacendosi di esercitazioni accademiche intinte tuttavia di metafisica e di scolastica; ora invece, ci si adagia in mezzo ad una congerie di fluttuanti concetti politici che, pronti al servizio delle tesi più disparate, lasciano naturalmente i tempo che trovano; ora si corre dietro a evanescenti concetti biologici o psicologici o sociali, i quali, quando pure siano veri e fondati - e sono ben lungi dall'esserlo sempre - non servono a nulla, se scompagnati dall'indagine giuridica. E sempre è un abbandono alla sfrenata voluttà della critica legislativa e della riforma delle leggi penali vigenti, a una critica che, nelle sue snodate tendenze riformatrici, non trova, bene spesso, confini, che disconosce talora la legge, prima ancor di conoscerla, e che mira a scrollare dalle fondamenta quasi tutto l'edificio del diritto costituito. Sempre è una trascuranza, un disprezzo, che cela talvolta un'evidente incapacità, per la costruzione dogmatica degli istituti penali in base ai principi del diritto positivo vigente; e, s'intende, non del solo diritto positivo penale, ma altresì di tutto il diritto, pubblico e privato: sempre è un lasciar da parte l'indagine delle ragioni di necessità sociale e di opportunità politica che stanno a base del diritto costituito: un tenersi fermi alla gretta e materiale esegesi della lettera della legge, ancor più meschina nel diritto penale, per i limiti segnati all'interpretazione di esso per saltar, poi, alla critica e alla riforma della legge medesima, quasi gioendo nella fretta di contrapporre ad essa ciò che non potrebbe spesso tenerne luogo (3).
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Quale, in particolare, la causa prossima di un tale stato di
cose? La diagnosi non pare difficile. L'antica scienza classica del diritto
penale ignara, prima, dimentica, poi, degli insegnamenti della scuola storica
del diritto, aveva preteso di studiare un diritto penale all'infuori del
diritto positivo, si era illusa di potere, essa, foggiare un diritto penale
diverso da quello consacrato nelle leggi positive dello Stato, un diritto penale
di carattere assoluto, immutabile, universale, la cui origine andasse
rintracciata nella divinità, o nella rivelazione dell'umana coscienza, o
nelle leggi di natura o nelle leggi del pensiero e dell'idea. La stessa
monumentale e gloriosa opera del Carrara non era sfuggita a questo vizio dei
tempi e che nel tempo trovava la sua ragione di essere (4): e in questo vizio
caddero pure, anteriormente o successivamente, eminenti giuristi, quali, per
esempio, il Feuerbach (5), l'Haelschner (6), il Berner (7), in Germania, l'Ortolan
(8), e il Bertauld (9), in Francia e, in Italia, il Pessina (10), il Buccellati
(11), il Canonico (12), il Brusa (13) ed altri che troppo lungo sarebbe qui
enumerare (14). Ciò fu manifestamente, a nostro sommesso avviso, un grave
errore perchè portò a trascendere i limiti dell'esperienza, entro i quali,
per necessità, ogni sapere umano, e così anche il sapere giuridico, si
contiene. L'indirizzo positivo moderno, come già la scuola storica antica,
giustamente combattè quest'errore; ma cadde, a sua volta, in un errore
altrettanto manifesto affermando, in onta al principio della divisione del
lavoro scientifico, che è condizione assoluta dello sviluppo della conoscenza
umana, la scienza del diritto penale altro non essere se non un capitolo ed un'appendice
della sociologia. Esso - possiamo oggi giudicarne con sereno criterio - ha
sortito, bensì, in parte soltanto, del resto, l'effetto, che si proponeva, di
purgare il vecchio organismo scientifico del diritto penale dalle incrostazioni
metafisiche di cui era ricoperto, ma nella mania distruttrice di cui era
invasato, ha distrutto fin anche là dove non doveva distruggere ed ha
soprattutto dimenticato lo scopo, che principalmente lo muoveva: il rinnovamento
della scienza del diritto criminale mediante l'applicazione del metodo della
filosofia sperimentale e positiva e sulla base dei dati offerti dalla scienza
antropologica e sociologica, per fermarsi esclusivamente sui mezzi, cioè lo
studio dell'antropologia e della sociologia. Così infeudati il diritto e la
scienza del diritto penale all'antropologia, anzi, annullatili in nome di una
falsa antropologia o, d'altro canto, affogatili nel grande mare della
sociologia, la scuola positiva, non ostante alcune sue innegabili benemerenze,
ha avuto, in definitiva, il risultato di accumulare intorno a sè un mucchio di
rovine giuridiche, senza aver nulla fatto per trarre da esse il nuovo edificio,
non dirò legislativo, ma almeno scientifico, del diritto penale che aveva
predicato di voler costruire e che tutti aspettavano avesse finito. Così,
abbattendo senza riedificare, essa ha finito per limitarsi al compito, che è
relativamente il più facile, il compito critico e negativo ed è
pervenuta, in ultima analisi, ad un diritto penale ... senza diritto! Di qui
quello stato di ansietà, di incertezza, di continua perplessità che dicevano
dinanzi caratterizzare l'attuale momento scientifico del diritto penale:
sicchè, per parlare in gergo forense, può dirsi che, allo stato degli atti, la
scienza giuridica penale si affanna oggi nella ricerca tormentosa di sè
medesima, e fra i vecchio che spesso non regge, e il nuovo che poco o nulla vi
dà, possiamo dire di non avere oggi, più alcun fermo principio giuridico di
diritto penale.
In tali condizioni è mai possibile che una scienza prosperi
e progredisca? Evidentemente, no; e noi ci troviamo appunto nel caso delle
esercitazioni dei soldati in piazza, i quali, dopo molte marce e contromarce, si
trovano sempre allo stesso punto. E il peggio si è che mentre da un lato la
scuola positiva ha dato all'Italia alcune opere a cui sotto certi aspetti, si
deve molta riconoscenza, dall'altro essa ha contribuito, insieme agli avanzi
della filosofia metafisica, ad annebbiare il criterio giuridico fino ad
accecarlo; sicchè, quel fine senso giuridico, che è vanto speciale dell'ingegno
italiano, quel fine senso giuridico che fra i cultori del diritto privato è
ormai dote comune, e quasi non apprezzata, tanto è nel dominio di tutti, è,
nel diritto penale, divenuto oramai pregio rarissimo e quasi prezioso. Or son
vent'anni, nel campo delle discipline di diritto pubblico, si levò autorevole
una voce, quella dell'illustre professore Orlando, che predicava il divorzio
o, per meglio dire, la separazione di queste scienze della sociologia, dalla
politica e dalla filosofia avvertendo di essere questa l'unica condizione del
progresso di questi rami importantissimi del nostro diritto. Nè la voce rimase
ascoltata. Tanto a un dìpresso potrebbe oggi ripetersi per il diritto penale, e
l'ammonimento sarebbe quanto mai utile ed opportuno. Perchè, di qualunque
disciplina giuridica si tratti, sempre è vero ciò che l'Orlando diceva, cioè,
che "il criterio storico, il sociale, il politico, ma sopra tutto il
filosofico con le forme più astruse della metafisica più sfrenata, soffocando
il criterio giuridico sin quasi ad ucciderlo" e che "dove le
nebulosità dell'astrazione filosofica, impediscono la netta percezione dei
contorni, ivi, non è più diritto, perchè il diritto è la precisione"
(15)!
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Così essendo, o noi ci sbagliamo, o non c'è altro rimedio che questo: rimedio semplicissimo, almeno ad enunciarlo: tenersi fermi, religiosamente e scrupolosamente attaccati allo studio del diritto. Non dico già di un ipotetico diritto naturale o razionale o ideale che dovrebbe essere assoluto e quindi unico, perchè desunto dalle leggi invariabili della natura, del pensiero o dell'idea, ma che, invece, nei sistemi per mezzo di cui viene esposto, presenta diversità anche maggiori di quelle che corrono fra i diritti positivi dei varii Stati, e che distaccato, come è, dalle sue vere cause, cioè dalle forze sociali che lo determinano, meglio potrebbe dirsi, invece, un diritto soprannaturale. Parlo invece, e soltanto, del diritto positivo vigente il solo che l'esperienza ci addita e il solo che possa formare l'oggetto di una scienza giuridica, quale la scienza del diritto penale è, e quale, sbugiardati ormai gli oracoli di una comoda, quanto inesatta, antropologia, essa deve e vuol rimanere. Nel tempo stesso accentuare sempre più la distinzione, non dico già la separazione, della scienza giuridica penale, dalla antropologia, dalla psicologia, dalla sociologia ed anche dalla filosofia del diritto e dalla politica criminale, arte o scienza che sia (16), riducendo quella principalmente, se non esclusivamente, come già per il diritto privato si è fatto da tempo, ad un sistema di "principi di diritto" ad una teoria giuridica, ad una conoscenza scientifica della disciplina giuridica dei delitti e delle pene, ad uno studio, insomma, generale e speciale, del delitto e della pena sotto l'aspetto giuridico, come fatti o fenomeni regolati dall'ordinamento giuridico positivo. è questo l'indirizzo così detto "tecnico - giuridico", il solo indirizzo possibile in una scienza appunto giuridica, e per giunta di carattere speciale, quale è quella che porta il nome di scienza del diritto penale, ed il solo da cui può aspettarsi una ricostruzione organica della debilitata compagine scientifica del diritto penale. Che questa si ancora l'unica via da seguire per giungere ad un tal risultato, è opinione che sembra penetrare, a poco a poco, benchè quasi sempre sotto limitati aspetti, nella convinzione della maggioranza degli scrittori: quali, a cagion' d'esempio, il Loening (17), il Sergiewsky (18), il Merkel (19), il Binding (20), il Liszt (21), il Meyer (22), il Beling (23), il Finger (24), il Vargha (25), il Garraud (26), il Civoli (27), il Manzini (28), o perfino negli ultimi suoi scritti il Pessina (29); quasi si direbbe che essa risponda, mi si passi l'espressione, ad uno stato generale della coscienza giuridica (30).
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Ma qui vedo già sorgere sull'orizzonte una capitale
obiezione: si dice che una tale distinzione della scienza del diritto penale
dalle scienze psicologica, antropologica e sociologica, da un lato, dalla
filosofia del diritto e dalla politica, dall'altro, non è scientificamente e
praticamente possibile. Si dirà che in tal modo, si distrugge il diritto penale
come scienza, che se ne fa un vuoto, quanto pericoloso, formalismo; che si
riduce la scienza ad un puro esercizio scolastico di astrazioni teoriche; che si
bandisce un isolamento cellulare fra le varie scienze criminologiche, quanto mai
gravido di nefaste conseguenze pratiche per la società civile (31).
Ma non è punto il nostro pensiero giungere ad una tal
conclusione, nè essa è punto una conseguenza necessaria delle nostre
affermazioni.
Ciò che si vuole è soltanto che la scienza del diritto
penale conformemente alla sua natura di scienza giuridica speciale, limiti l'oggetto
delle sue ricerche dirette, allo studio esclusivo del diritto penale e,
conformemente ai suoi mezzi, dell'unico diritto penale che esista come
dato dell'esperienza, cioè il diritto penale positivo. Si vuole, in
conseguenza, che essa si limiti a studiare il delitto e la pena sotto il lato
puramente e semplicemente giuridico, come fatti disciplinati da norme di diritto
obiettivo, cioè come fatti giuridici, di cui l'uno è la causa dell'altro l'effetto
o la conseguenza giuridica, lasciando ad altre scienze, e precisamente all'antropologia
ed alla sociologia criminale, la cura speciale di studiarli, rispettivamente, l'uno,
come fatto individuale e sociale, cioè, sotto l'aspetto naturale, organico e
psichico, e sotto l'aspetto sociale, l'altro, come fatto sociale (32). Ma
non si vuole affatto, proclamando tale distinzione, formalizzare lo studio del
diritto penale, ridurlo ad una astrazione teorica, isolarlo dalla realtà
naturale e sociale da cui germoglia; nè è questo punto, come dianzi dicevo, il
risultato necessario di quella distinzione. Quando si dice che la scienza
giuridica penale studia il delitto e la pena come fenomeni sociali, e l'antropologia
criminale studia il delitto come fenomeno naturale, altro non si fa se non
stabilire l'oggetto e i limiti di queste scienze. E per la
scienza del diritto penale si afferma che essa ha per compito lo studio della
disciplina giuridica di quel fatto umano e sociale che si chiama delitto, e di
quel fatto sociale e politico che si chiama pena, cioè lo studio delle
norme giuridiche che vietano le azioni umane imputabili, ingiuste e dannose
indirettamente produttive e rivelatrici di un pericolo per l'esistenza della
società giuridicamente organizzata, e perciò lo studio del diritto e
del dovere giuridico soggettivo, cioè del rapporto giuridico penale,
che da esse nasce in virtù di quelle norme. Questo studio è necessariamente
uno studio tecnico giuridico, perchè altri mezzi non si hanno,
nella conoscenza scientifica del diritto, se non quelli forniti dalla tecnica
giuridica: ma ciò non vuol dire che il cultore del diritto penale non
debba assumere talvolta la veste dell'antropologo, del psicologo e del
sociologo; e neppure che in questo studio tecnico del diritto non si possa, e
non di debba, anzi, seguire un metodo positivo e sperimentale. Distinzione non
è separazione e tantomeno divorzio scientifico. E anzi sotto questo aspetto,
appunto, del metodo che si deve seguire nella ricerca tecnica del
diritto, che la scienza del diritto penale, per sua natura scienza
esclusivamente giuridica, e intesa a studiare il delitto e la pena come
obiettivi di norme giuridiche, si riallaccia intimamente, come meglio si vedrà
innanzi, con la scienza che tratta del delitto quale fenomeno naturale, cioè, l'antropologia
criminale e con quella che tratta del delitto e della pena quali fenomeni
sociali, cioè, la sociologia criminale. E non diversamente avviene per ciò che
riguarda i rapporti del diritto penale con la filosofia del diritto e con la
scienza politica. Quando si afferma che il diritto penale, che si tratta di
scientificamente conoscere, è il diritto penale positivo, il solo che esista
come dato della realtà, e il solo che possa formar obiettivo di una scienza
giuridica speciale, qual è la scienza del diritto penale, non si nega affatto,
che esistano necessità, esigenze o bisogni sociali che si impongono alla
coscienza e alla volontà del legislatore penale e sono destinate appunto ad
essere in diritto positivo trasformate: quelle esigenze stesse che, nel loro
complesso, modernamente si designano col nome di "giustizia"
e che costituiscono, in quanto siano già penetrate nell'ordinamento
giuridico, il fondamento intrinseco del diritto positivo. Neppure si nega che vi
siano oltre queste, benchè non indipendentemente da queste, esigenze di
convenienza e di opportunità politica e pratica vaganti fuori del tempio del
diritto costituito che fanno breccia al diritto positivo penale, preparando,
anch'esse, i germi del suo rinnovamento futuro. Si dice solo che le une
formano obietto di una conoscenza filosofica, la così detta filosofia
del diritto penale: le altre formano obietto di una conoscenza politica,
la così detta politica criminale (o, più esattamente si direbbe, da tal
punto di vista, penale); mentre la conoscenza più strettamente giuridica,
la conoscenza scientifica del diritto penale, intesa nel suo stretto e più
proprio senso, si esaurisce, invece, nello studio tecnico del diritto positivo
penale (33). Con ciò nemmeno si esclude, e si vuole escluso, che il cultore del
diritto penale abbia a servirsi sussidiariamente del criterio filosofico e dal
criterio politico, quando spiega la ragion d'essere degli istituti giuridici
penali nello Stato e nella società attuali (34) e, sia pure, quando di
proposito (e del resto in via secondaria) procede alla ricerca di quel che il
diritto penale positivo dovrebbe essere, ed elabora così le venture riforme
legislative. Ma in tal caso sempre è vero che si deve tener distinta l'indagine
propriamente e strettamente giuridica da quella filosofia e politica, se si vuol
evitare una illecita e pericolosa intrusione ed inframmettenza di elementi
filosofici e politici nella logica limpidezza della ricerca giuridica; e non si
deve dimenticare che altro è diritto, altro è filosofia, altro è politica:
sì che il giurista penalista, che a queste due ultime indagini si cimenti,
proceda con la piena coscienza di ciò che va rintracciando e sappia e faccia
sapere che, in quel momento, egli fa getto della toga del giurista, per vestir l'abito,
sia pure altrettanto severo, del filosofo e del cultore di scienza politica. E
non si creda già che si tratti qui di una pura questione di forma, nè sembri,
questo nostro, un eccessivo amor di sistema, ed un troppo fervido zelo per
inutili, e chi sa forse, pericolose dogane scientifiche. O io un inganno
stranamente, o la causa principale, se non addirittura unica, dei guai che
oggidì nella scienza nostra si lamentano, dipende appunto dalla trascurata
osservanza dei limiti che separano le varie scienze criminologiche, dall'avvenuta
confusione dell'obiettivo non solo, ma soprattutto della natura e dei fini
rispettivi del diritto, della sociologia, della antropologia, della filosofia e
della politica criminali. è avvenuto anche qui quel fenomeno così acutamente
rilevato da Icilio Vanni, per cui "il momento in cui una disciplinasi mette
per nuove vie e cerca di giovarsi di altre scienze venute progredendo intorno ad
essa, le offre facile seduzione ad allargarsi illegittimamente oltre il campo
suo proprio, perdendo i vantaggi della divisione del lavoro" (35). Così,
dunque, anche nella cerchia delle scienze criminologiche, uopo è che l'ordine
si ristabilisca ed ognuna riprenda la naturale sua sede, se si vuole che esse,
con accordo comune e cosciente, vivano ciascuna una vita prospera e rigogliosa
di pratiche conseguenze. Così richiede la necessità della specializzazione
scientifica, nella quale ormai si riassume ogni progresso dello scibile umano e
la legge di divisione del lavoro scientifico che all'umano pensiero
inesorabilmente presiede, e che non è soltanto il prodotto di una necessità
subiettiva nella mente dell'uomo, limitata e debole come la nostra natura, ma
è il portato altresì di una necessità obiettiva, scaturente dalla realtà
della vita individuale e sociale, nella varietà e complessità dei fenomeni che
la costituiscono (36).
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Questo, dunque, è principalmente, se non esclusivamente, il
compito e la funzione, della scienza del diritto penale: l'elaborazione
tecnico - giuridica del diritto penale positivo e vigente, la conoscenza
scientifica, e non semplicemente empirica, del sistema del diritto penale quale
è, in forza delle leggi che ci governano. L'utilità di una tale logica, e
non dico affatto formale, organizzazione e sistemazione dei principi del diritto
penale vigente, non è chi non vegga; essa mira a porgere a coloro che sono
chiamati dalla loro missione nella vita sociale ad interpretare ed applicare il
diritto, sia combattendo come avvocati, sia decidendo come magistrati, la
conoscenza scientifica delle norme del diritto medesimo; mira a porgere all'interprete,
giurista o magistrato, quanto è necessario per la pratica amministrazione della
giustizia, mira, insomma, a render proficua la scienza giuridica nel campo
pratico della applicazione giudiziale, come a mantenere la quotidiana vita
pratica del diritto all'altezza di una conoscenza scientifica di legge.
Nè la sua funzione benefica qui si esaurisce. Elaborando
tecnicamente i principi del diritto positivo, essa matura e feconda altresì
nelle viscere del diritto vigente, i germi del diritto futuro e si converte in
strumento di progresso giuridico e civile giacchè, mentre non è possibile
riformare il diritto se non si conosce tutta la virtù dei principi che esso
contiene e che può trasmettere alle legislazioni venture, d'altra parte la
conoscenza scientifica del sistema del vigente diritto potentemente aiuta a
trarre dall'intimità di esso il sistema del diritto avvenire.
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Ma in che, più propriamente questo studio tecnico del
diritto penale positivo, questo tecnicismo giuridico consiste? Avviciniamoci ad
esso, e guardiamolo in faccia: il non averlo ben conosciuto ha condotto più d'uno
a non comprenderne l'alta difficoltà ed importanza.
Ogni scienza, ha la sua tecnica particolare; e per tecnica s'intende
l'insieme di quei mezzi, di quei procedimenti logici, metodici, sistematici
che ad essa sono specifici e di cui essa si serve per il raggiungimento dei
propri fini (37). Così è pure della scienza del diritto in genere o
giurisprudenza. Anche la scienza del diritto ha la sua tecnica particolare: una
tecnica, anzi, vecchia di quasi tremila anni, perpetuatasi attraverso i secoli e
trasmessa, lungo essi, ai moderni dai giureconsulti romani, maestri ad ognuno
nell'arte di studiare il diritto. La determinazione di questi criteri tecnici
non è facile, perchè l'arte di studiare tecnicamente il diritto, come ogni
arte, si sente, più di quel che si dica, si apprende per conto proprio, più di
quel che s'insegni ad altri, perchè essa è frutto di esperienze e di
osservazioni personalmente e successivamente tentate; onde è più agevole
averne una nozione empirica, superficiale ed approssimativa, che non una nozione
scientifica, approfondita ed esatta. Ma questa determinazione non è tuttavia, e
fortunatamente, impossibile.
Data, infatti l'indole comune ai vari rami del diritto, la
comune natura dei vari rapporti di diritto in quanto tali (38), prima di
rinunziare a trovare i criteri tecnici per lo studio del diritto penale, in
vista della sua minore maturità scientifica, bisogna guardare se non vi siano
altre scienze giuridiche il cui progresso scientifico, dal punto di vista
tecnico, sia così inoltrata poterci offrire modelli di procedimenti tecnici per
lo studio del diritto in genere e del diritto penale in ispecie. E allora noi
non possiamo a meno di avvertire questo fatto: che, cioè, mentre la scienza del
diritto penale ci mostra gravi imperfezioni, specialmente dal punto di vista
tecnico e sistematico, le scienze del diritto privato, civile e commerciale, e
alcune scienze di diritto pubblico, come il diritto amministrativo e si può
aggiungere, fors'anche, il diritto processuale civile, ci mostrano una
perfezione tecnica che forse non potremmo, almeno rispetto a taluna di esse,
desiderare maggiore. Quale la conseguenza di tale osservazione? La conseguenza
manifesta è in ciò che il primo e più generale criterio che si possa fornire
anche per uno studio tecnico del diritto positivo penale che voglia essere utile
alla scienza e alla vita, è quello di seguire la via sicura e fidata dai
cultori del diritto privato, prima, e, poi, da quelli del diritto amministrativo
e processuale così sia ora magistralmente battuta, quella via stessa per cui
sembrano incamminarsi ormai con passo sicuro anche il diritto costituzionale e
il diritto internazionale, impossessandosi, in pari tempo, dei procedimenti
propri di quelle, fra le scienze ora nominate, che, come il diritto privato,
sono di perfezionata tecnica del diritto, esempio evidente.
Tuttavia, quando ciò si sia detto, si sarà detto troppo e
troppo poco. Troppo, per chi del senso giuridico, del criterio e dell'intuito
del diritto, sia naturalmente e fortunatamente dotato: troppo poco, invece, per
chi non lo sia. Dobbiamo dunque, pur nel medesimo ordine d'idee rimanendo,
andar in traccia di un criterio meno generico, e più concreto, meno didattico e
più scientifico. Se noi guardiamo più da vicino il modo di procedere proprio
della conoscenza scientifica del diritto positivo, specialmente nel campo del
diritto privato, ma anche nel campo del diritto amministrativo e del diritto
processuale civile, e nella sfera del diritto in genere, vedremo che i mezzi
tecnici di cui questa conoscenza dispone, si riassumono esclusivamente in tre
ordini di procedimenti e di ricerche: 1° una ricerca esegetica; 2° una
ricerca dogmatica e sistematica; 3° una ricerca critica del diritto (39).
è appunto in questi tre ordini di ricerche che lo studio tecnico del diritto
positivo penale deve consistere: esse prenderanno naturalmente una speciale
fisionomia per la natura speciale del diritto cui si vanno applicando.
1°). La prima ricerca che la scienza del diritto penale
ha da compiere è una ricerca di indole esegetica.
Io non starò a ripetere, in che cosa l'esegesi consista,
come essa si fermi al mero esame del documento legislativo, e si traduca per
mezzo della interpretazione della legge, secondo l'ordine da essa stessa
seguito: sono queste nozioni così comuni, che potrebbero apparire volgari.
Neppure mi indugerò sulla dottrina della interpretazione della legge in genere,
e della legge penale in ispecie, quantunque sia d'opinione che questa
dottrina, sin ora principalmente, se non esclusivamente, dai cultori del diritto
privato e ai fini del diritto privato elaborata, abbisogni, nella parte che l'interpretazione
delle leggi penali riguarda, di una revisione critica fondamentale. Alcune poche
osservazioni soltanto io voglio in proposito fare. La prima è intesa a rilevare
un mal vezzo anzi un errore, che si è insinuato specialmente nella nostra
pratica giudiziaria. Si è creduto che il divieto sancito dall'art. 4 delle
disposizioni preliminari al codice civile e l'art. 1° del codice penale, di
estendere le leggi penali oltre i casi in esse espressi, tagliasse addirittura
le mani all'interprete che si appresta a cogliere l'intima portata del
dettato legislativo penale; e così l'interpretazione e l'applicazione delle
disposizioni della legge penale si ridusse spesso ad un automatismo meccanico e
gretto consistente nel vedere, col vocabolario alla mano, se le ipotesi
letteralmente e strettissimamente previste dal legislatore penale si fossero nel
fatto verificate. Gravissimo errore. Il divieto in parola non esclude, anzi
include e presuppone dinanzi a sè l'interpretazione logica, e non
soltanto grammaticale, della norma legislativa, cioè la determinazione del
pensiero e della volontà della legge ed anche della sua ragione giustificatrice;
nè si deve esagerarne la portata prendendo pretesto da locuzioni meno che
esatte per dispensarsi dall'applicare la legge a casi che in essa veramente
rientrano. Ma vi è di più. L'interpretazione di cui parliamo, può essere
non soltanto restrittiva, bensì anche estensiva e modificativa:
l'aver ritenuto, nelle disposizioni più sopra citate, l'assoluta, o anche
soltanto parziale, esclusione dell'interpretazione estensiva, e per
conseguenza di quella modificativa o correttiva, nel campo del diritto penale,
è un altro grave quanto comune errore della nostra dottrina e più ancora della
nostra pratica giudiziaria. Ciò che nelle materie penali viene interdetto all'interprete
non è già l'interpretazione estensiva della norma legislativa, bensì
soltanto l'interpretazione analogica e anche questa, come, per non ripetermi,
dirò in seguito, entro certi limiti, tutt'altro che irrilevanti. Ora, per
notevole che possa essere la somiglianza fra l'una e l'altra forma di
interpretazione giuridica, è così profonda ed essenziale la differenza, ed a
tutti, senza ch'io voglia ripeterla, così nota, da potersi, io penso,
giustamente affermare non esser lecito di confonderle insieme nella comune
esclusione dal campo delle norme di diritto penale (40).
La seconda, e certo non nuova, osservazione mira a mettere in
guardia contro l'esagerazione e l'abuso del sistema esegetico.
L'esegesi - si sa - non è che la prima forma, la prima
manifestazione dello studio scientifico del diritto: necessaria forma, si, ma
anche la più bassa. Guai a coloro che subordinano la conoscenza scientifica del
diritto al puro, gretto e materiale, commento esegetico della lettera
legislativa! Eppure codesto errore è, più che non si creda, comune alla
massima parte dei penalisti, specialmente appartenenti alla schiera dei pratici,
cui il difetto di attitudine speculativa, la mancanza d'abito scientifico, l'inettitudine
e l'inabitudine all'astrazione impediscono di andar oltre, più del medesimo
e pedestre esame del documento legislativo. Il commento puramente esegetico,
delizia di certi scrittori, per lo più da dozzina, preso in sè e per sè, è
una forma di prodotto letterario scientificamente inferiore, una specie di
degenerazione dell'elemento così detto pratico del diritto: giacchè è pur
sempre vero, se pure comunemente detto e ripetuto, che nel commento esegetico
non si fa già la scienza, ma si introduce, al più, della scienza, e che lo
studio esegetico è soltanto una parte, e non la più nobile ed elevata, della
scienza del diritto. Esagerato che sia e condotto all'abuso esso converte la
scienza giuridica in un'arida casistica. "L'interpretazione esegetica - nota, fra gli altri, l'Orlando - distrugge lo spirito differenziale
delle scienza giuridiche (41)". Il diritto penale è certamente diverso dal
diritto privato e questo dal diritto pubblico, ma il commentare un articolo del
codice penale non è qualcosa di diverso che commentare un articolo del codice
civile o di commercio.
2°) Queste poche osservazioni intorno a quella prima forma
di attività scientifica, che è l'esegesi, ci renderanno agevole intendere la
natura di quell'altra ricerca che la scienza del diritto penale ha da
compiere, e che dicemmo essere la ricerca dogmatica.
La ricerca dogmatica è la ricerca - come la parola stessa
ci dice - dogmaticamente descrittiva ed espositiva dei principi fondamentali
del diritto positivo nella loro logica e sistematica coordinazione: quella che i
tedeschi, un po' barbaramente, chiamano la costruzione degli istituti e dei
rapporti giuridici e che altri dice la trattazione "sistematica"
del contenuto del diritto vigente (Merkel, Filomusi). Il diritto è vita:
fenomeno, anch'esso, sociale, anzi fra i fenomeni sociali il più importante,
esso è un organismo che ha propria esistenza, proprie cause, proprie leggi che
il giurista uopo è che rintracci nelle stesse viscere inesplorate di
esso. L'esegesi, anche nel suo senso più elevato, non ci dà che la
conoscenza empirica del diritto: dogmatica giuridica, con la cognizione
sistematica delle norme giuridiche, poste in rapporto reciproco, in guisa da
scoprirne le uniformità, determinarne le cause, i fondamenti, i principi, ci
offre invece, la conoscenza scientifica del diritto medesimo. In rapporto
all'esegesi, che è la scienza della legge, essa può dirsi veramente
la scienza del diritto! Quando l'interpretazione, non soltanto letterale ma
anche logica, ha adempiuto al suo compito, si apre l'adito, mercè l'analogia
e i principii generali del diritto (art.3 Disp. Prelim. cod. civ.) allo
sviluppo dei concetti contenuti nelle norme giuridiche per suo mezzo fissati.
Allora, secondo le scultorie parole dello Scialoja, conviene partire dalle
disposizioni delle leggi e astraendo risalire da concetto a concetto sempre più
generalizzando e dal generale tornando a discendere al particolare si giudicherà
per dirla con Aristotele (Eth. Nic., V, I0) "come lo stesso
legislatore avrebbe detto se fosse stato presente" come avrebbe
prescritto se avesse preveduto i fatti e i rapporti che non furono da lui
regolati e che si tratta appunto di regolare (42). In tal modo la scienza
giuridica costruisce dogmaticamente il sistema dei principi del diritto vigente.
E la conoscenza metodica e sistematica di tali principi è quanto mai utile alla
feconda e rigogliosa applicazione del diritto. Come l'olmo forte, l'edera
tenace, così la dogmatica giuridica sorregge la ricerca esegetica che le si
abbandona fidente e sicura; essa rende organica l'interpretazione, per sè
meccanica, della legge e illumina e rischiara l'interprete negli ambigui
silenzi legislativi, nelle tortuose asperità della pratica, nella multiforme
varietà e complessità dei casi e delle fattispecie giuridiche. Ma sorge grave
il dubbio. Una tale costruzione dogmatica dei principi del diritto positivo
vigente è veramente possibile e utile nel campo del diritto penale? Non trova
essa un ostacolo insormontabile, che le toglie al tempo stesso ogni pratica
ragion d'essere, nella norma sancita dall'art.4 delle disposizioni
preliminari al codice civile e dall'art. 1 del codice penale, i quali, sotto
forma diversa, interdicono al giudice di fondarsi sull'analogia e tanto più
sui principi generali del diritto (arti. 3 delle stesse Disposizioni) per
applicare la pena? Io penso che no. Ciò che si vieta al giudice è soltanto di
elevare a reato un fatto e di applicare al suo autore una pena al di fuori di
qualsiasi esplicita previsione legislativa: giacchè con ciò usurperebbe una
funzione che il legislatore, per un evidente pensiero di equità sociale e di
convenienza politica: la tutela della libertà civile, vuole, soltanto a sè
riservata. Ma con ciò non è detto che la funzione del giudice penale, come
interprete del diritto vigente, abbia sempre a ridursi alla forma di una
interpretazione inferiore. Il divieto della analogia e dei principi generali del
diritto in materia penale ha un'efficacia assai più limitata di quello che
dai più non si creda. Anzitutto esso non vale integralmente per le leggi
processuali penali che, mentre non vietano azioni sotto minaccia di pena (art. 1
cod. pen. e 4 Dispos. prelim. cod. civ.) nemmeno, d'altronde, in tutte le loro
disposizioni, "restringono il libero esercizio dei diritti dei cittadini"
(art. 4 D. Prel. cod. civ.). Ma anche rispetto alle leggi penali propriamente
dette esso non esclude punto che il giudice possa ricorrere così all'una che
agli altri per decidere tutte quelle questioni di diritto penale, e non son
certo poche, che non consistono nel vedere se un fatto rispetto al quale il
legislatore omise di pronunziarsi, possa vestire carattere di reato, se una
circostanza, che il legislatore non menzionò, possa avere il carattere di
circostanza aggravante della pena stabilita per un dato reato.
Dire quali e quante queste questioni siano, non è certo
possibile, sebbene facile sia immaginare: ma per limitarsi ad un semplice
esempio, chi potrà negare la possibilità di un ricorso all'analogia, non
solo, ma anche ai principi del diritto positivo penale in tutte quelle questioni
giuridiche che insorgono nell'applicazione di disposizioni le quali, lungi dal
portare una pena, hanno l'effetto di escludere, rispetto a taluni casi, l'applicazione
della pena, o anche di sostituire pene minori a pene più gravi? O in quelle
questioni tendenti a determinare concetti giuridici dal legislatore, nelle sue
disposizioni, supposti ma non definiti? (es. cod. pen. art. 9 capov.: "delitti
politici"; art. 366, n. 2: "premeditazione" ecc.). In
tutti questi casi, e in genere, in tutti quelli in cui si tratti di interpretare
norme giuridiche penali non già penalmente imperative o proibitive, ma o
permissive (es. art.49 n. 2, 3 cod. pen.) o negative (es. art.44, 45, 46, 49 n.
1, 53, 85, 86, 91 cod. pen.) o dichiarative (es. art.155, 191, 207, 263, 470
cod. pen.) attingere ai principi generali del diritto, come all'antologia, è
dunque lecito al giudice penale: se così non fosse, poichè gli è pur forza
risolvere in un senso o nell'altro i problemi insorti dell'applicazione
della legge, egli non potrebbe emettere alcuna sentenza (43). Ciò detto, la
possibilità e l'utilità pratica di una costruzione dogmatica e sistematica
dei principi del diritto positivo penale, dinanzi messa in dubbio, appare
evidente: essa deve fornire preziosi contributi nell'opera quotidiana dell'applicazione
giudiziale della legge vigente. Ho detto utilità pratica, e non scientifica,
perchè questa è così manifesta che mi parrebbe di perder tempo a metterla in
evidenza (44). Del resto, ed è noto, l'una specie di utilità è così all'altra
connessa, che l'Jhering potette giustamente rilevare come spesso la soluzione
di una sola questione teorica possa dar la chiave di volta in tutta una serie di
questioni pratiche che si cerca vanamente di chiarire in una maniera indiretta
(45).
Io insisto volentieri sulla necessità e l'importanza di
questa che abbiamo chiamato ricerca dogmatica, perchè è appunto alla sua
trascuranza che si deve la lamentata attuale imperfezione tecnica del diritto
penale. Se una riforma nella scienza nostra è necessaria, essa deve cominciare
anzitutto da una revisione dogmatica, da una nuova, più precisa e corretta e
insieme più moderna, determinazione dei concetti giuridici fondamentali. Questa
determinazione è difficilissima: nel diritto penale più che in ogni altro ramo
del diritto, come agevolmente si comprende per poco ci si soffermi a riflettere.
Il diritto penale è un diritto di natura speciale: esso ha particolarità
caratteristiche che, mentre da tutti gli altri rami del diritto lo distinguono,
ad essi indissolubilmente, specie ai fini scientifici, lo ricollegano. Questa
speciale natura del diritto penale si riassume nel dire che esso ha il carattere
di un diritto, bensì autonomo e primario, ma tuttavia
integrativo, nei suoi precetti e nelle sue sanzioni, di tutte le altre branche
del diritto (46). E infatti compito particolare di esso la specifica tutela
coattiva mediante la minaccia e l'inflizione della pena dei beni e degli
interessi umani ai beni dell'esistenza individuale e sociale la cui offesa
(reato) riveli e produca, ad un tempo, un pericolo per la esistenza della
società giuridicamente organizzata (47). Ora questi beni e interessi che il
diritto penale tutela, sono spesso (se non sempre) già giuridicamente protetti
senza o mediante il riconoscimento della volontà che prosegue e costituiscono,
perciò, spesso, beni e interessi giuridici, individuali o collettivi, o anche
veri e propri diritti soggettivi, privati o pubblici dei singoli o dello Stato.
E poichè questi beni e interessi, possono essere infinitamente vari: dalla
vita, all'onore, dal patrimonio, alla libertà personale, dalla morale
domestica, al segreto epistolare, così infinitamente vari ed eventualmente
appartenenti alle più diverse branche del diritto possono essere i beni e
interessi giuridici o i diritti subbiettivi che vi corrispondono. La natura dei
reati, che di questi interessi giuridici o di questi diritti sono la violazione
non può in tali casi, in nessun modo giuridicamente, che è quanto dire
scientificamente, determinarsi, se non quando si sia anteriormente determinata e
stabilita la natura di quegli interessi giuridici o di quei diritti: conoscenza,
quest'ultima, che implica, dunque, per lo meno nell'ipotesi in questione, la
conoscenza, almeno elementare e fondamentale, di tutti gli altri rami del
diritto, pubblico e privato. In questo senso, appunto, in quanto cioè il
diritto penale, pur mantenendo la sua indipendenza, s'irradia talvolta con
funzione completiva e tutrice, su ogni campo del diritto, è giusto il dire che
la conoscenza scientifica del diritto penale implica in via subordinata, ma
ineccepibile, la conoscenza scientifica di tutti gli altri rami del diritto: e
che esso trova, mi si passo la frase abusata, "ses tètes de chapitre",
in tutte le altre speciali scienze giuridiche (48).
Quale vasto e talvolta inesplorato orizzonte di studi si
offre qui al penalista, sia pure che egli si metta a scrutarlo dal suo
particolare punto di vista! Ma quale altresì necessario, anzi indispensabile,
studio!
Provatevi, infatti, a conoscere scientificamente i così
detti "reati contro la proprietà", senza conoscere, almeno nelle sue
linee fondamentali, il sistema del nostro diritto privato, civile e commerciale!
Provatevi a studiare scientificamente i reati contro la pubblica
amministrazione, senza conoscere i principi generali del nostro ordinamento
giuridico amministrativo, o i reati contro l'amministrazione della giustizia
senza conoscere i tratti caratteristici e fondamentali del nostro diritto
processuale e del nostro ordinamento giudiziario, o i reati contro lo Stato o la
libertà senza conoscere i capisaldi del nostro ordinamento costituzionale!
I risultati cui perverrete saranno così scientificamente
nulli da non andare più oltre della semplice riproduzione degli articoli della
legge, con la relativa esposizione delle piccole controversie esegetiche che vi
sono connesse: risultati indegni del nome della scienza!
Ma anche senza voler andare a rintracciare in altri ordini
scientifici, che il nostro non sono, la necessità, l'importanza e la
difficoltà di una elaborazione dogmatica del diritto penale questa si rivela
già, prima facie, in quella parte della nostra scienza che suol chiamarsi
"generale".
è un fatto che mentre gli scrittori accumulano ancora
capitoli su capitoli nell'illusoria pretesa di risolvere il bimillenario e
forse irresolubile problema del libero arbitrio, mentre ci perdiamo ancora in
dispute, talvolta bizantine, e sempre poi interminabili, sul "fondamento"
del diritto di punire e sopra altri argomenti i quali, pel fine immediato e
pratico della scienza nostra, non hanno che una importanza accessoria, ecco che
i veri problemi giuridici fondamentali sono talora così trascurati che solo uno
sforzo laborioso di bibliografia può riscontrarne, qualche volta, le tracce.
è mai possibile, per esempio, un diritto penale senza che l'idea
dello Stato e della sua personalità giuridica sia così chiara,
così abituato come può essere il concetto di capacità giuridica nel diritto
privato? Eppure voi potrete ancora leggere nei nostri moderni scrittori diverse
pagine intese a discutere la macchinosa ipotesi della società - organismo, ma
ne troverete ben poche che pongano il concetto dello Stato e della sua giuridica
personalità nel campo del diritto penale.
E il nostro moderno diritto penale, non manca egli forse
tuttora, quasi assolutamente di quella teoria dei diritti pubblici subiettivi,
individuali e statuali, così comune ormai nel campo del diritto pubblico
interno e così essenziale anche a quel ramo di esso che è i diritto penale? E
allora come si può sperare una ricostruzione dogmatica del nostro diritto
positivo penale, quando manca perfino ciò che costituisce il presupposto di
ogni costruzione giuridica, cioè la determinazione dei rapporti giuridici,
di che nella scienza nostra si tratta, del loro contenuto, dei loro soggetti,
della loro nascita, modificazione, estinzione?
Io eccederei, dai limiti che mi sono prefissi, se concedessi
alla dilucidazione di questo punto così essenziale della ricerca giuridica
penale, più che un accenno fugace: ma non posso a meno di esprimere il mio
radicato e profondo convincimento, che una sistemazione scientifica delle nostre
discipline, dal punto di vista giuridico non sarà possibile fino a tanto che
non si sarà stabilito quale sia la natura e quali i caratteri dei rapporti
giuridici che nel campo del diritto penale sostanziale, intercorrono far Stato e
suddito, fra Stato e reo, fra Stato e offeso e, nel
campo del diritto penale processuale, fra parti e giudice, fra parte
e parte (49).
La scienza del diritto ha elementi propri con cui lavora,
senza dei quali nessuna indagine, per minima che sia, le è possibile compiere.
Questi elementi sono norme giuridiche, cioè, rapporti giuridici, sono soggetti
capaci di diritti e di doveri, cioè, persone giuridiche (uomini o collettività
di uomini). Fuori di essi non v'è scienza del diritto, e neppure scienza del
diritto penale (50).
Il non aver sempre compresa e rispettata questa verità -
verità ben semplice invero, ma non meno importante - ha fatto invadere il
campo giuridico penale da eterogenei concetti politici e filosofici e sopra
tutto da biechi fantasmi del mondo antropologico e da strane figure sociologiche
che attraversano la scena del diritto e l'ingombrano con crescente
disperazione degli spettatori.
3°). Dopo l'esegesi, dopo la dogmatica, vien terza la
ricerca critica: l'ultima di cui la scienza del diritto disponga.
L'esegesi e la dommatica ci hanno fatto conoscere il
sistema del diritto vigente, ci hanno dato il diritto quale è in forza delle
leggi che ci regolano; sorge adesso l'esigenza di una ricerca ulteriore, la
quale, non paga più della conoscenza del diritto qual è, chiede a sè stessa
se e fino a qual punto esso abbia una necessità e una ragione di essere, e se,
eventualmente, non debba ad esso sostituirsi un diritto diverso: e questa è la
ricerca che prende il nome di critica e che suole anche dirsi ricerca del diritto
costituendo. Sotto due modi, è noto, può esplicarsi la critica.
Indirizzandosi ad istituti che il vigente diritto riconosce e consacra, può
essa invocare riforme intese a modificarne la disciplina o addirittura ad
abolirne la esistenza giuridica: ma può essa altresì, volgendo indietro lo
sguardo traverso la storia o volgendolo innanzi traverso il diritto delle altre
nazioni, fissare la sua attenzione ad istituti che il vigente diritto positivo
non per anco consacra, per invocare dal nuovo diritto il loro riconoscimento
legislativo. E come diversi sono i modi con cui si esplica, così diversi sono
pure i mezzi di cui la ricerca critica si vale. Il primo sistema di critica è
quello che limita la sua azione nell'àmbito stesso dello studio del diritto
positivo vigente: traendo, per virtù di logica deduzione, i teoremi e i
corollari del diritto vigente, esso mostra la disparità, le antinomie, le
disarmonie esistenti nel seno del diritto qual è, e la sua pratica
impossibilità a raggiungere gli scopi, sociali e politici, dal legislatore
voluti. E' questa forma di critica, (non da tutti per verità conosciuta e da
pochissimi praticata) parte viva della elaborazione dogmatica, tanto da potersi
dire che in essa rientri, come quella che trae la previsione del diritto futuro,
dalle intime latèbre del diritto attuale: è in brevi parole la critica dedotta
dai principi stessi e dall'applicazione pratica del diritto positivo vigente,
la critica giuridica.
Generalmente però, non è in base ai principi ed al sistema
del vigente diritto, che una legge può criticarsi, bensì in base a valutazioni
di ordine sociale o di ordine politico. Il compito del giudizio, della critica e
della riforma, del diritto penale vigente da questi due ultimi aspetti sociale e
politico, spetta appunto alla filosofia del diritto penale e alla politica
criminale, (o meglio a quella parte di essa, che potrebbe dirsi politica
penale) le quali, ponendosi dal punto di vista del legislatore penale, ci
dicono, appunto, in base alle necessità sociali e alle opportunità politiche,
quali siano i migliori mezzi repressivi di lotta contro la criminalità (scienza
del diritto penale de lege ferenda scienza o arte della legislazione
penale) (51).
Ed è qui che ricorre un'osservazione fondamentale. Di
qualunque specie di critica si tratti, attinga essa alla fonte delle esigenze
logiche del sistema e delle esigenze pratiche della applicazione del diritto
positivo vigente, o a quella delle necessità sociali, o a quella delle
convenienze ed opportunità politiche, norma indeclinabile al giurista, deve
esser questa: che non si passi nella comoda via della critica, se non attraverso
il ponte scabroso e difficile della ricerca esegetica e, sopra tutto, della
ricerca dogmatica e sistematica. L'indagine esegetica e dogmatica, insieme
unite, reciprocamente contemperate, armonicamente condotte, debbono darci, o ci
danno, quello che il diritto positivo è, in sè o nei principii che lo
ispirano: correre alla critica non è lecito, se prima queste indagini non siano
completamente e coscienziosamente esaurite, giacchè non è possibile criticare
ciò che, scientificamente almeno, non si conosce ancora (52). Sterile piacere,
in vero, questo della critica legislativa. Quando pure essa produca il suo
miglior frutto, la riforma legislativa, quanto mai remota non ne è la
maturazione? E non è soltanto sterile la critica legislativa, ma altresì, bene
spesso, esiziale al fisiologico sviluppo della scienza. E' ad essa che andiam
debitori di aver così gravemente nociuto al carattere giuridico della scienza
nostra. In questa, infatti, la discussione filosofica, morale, sociale,
economica, politica, storica, e perfino biologica e psicologica circa il
fondamento, la giustificazione, la bontà, la convenienza generica e specifica
di un istituto, soffoca e seppellisce lo studio giuridico di esso, quando pure
non serve addirittura ad escluderlo. Parliamo della pena: ed ecco mille teoriche
che ne discutono le origini, il compito, il fondamento, lo scopo, la
legittimazione, la riforma, e, perfino, parrà strano, la possibilità della sua
abolizione: e intanto non si definisce nemmeno che cosa la pena giuridicamente
sia. Parliamo di responsabilità penale e ci occupiamo di andarne a rintracciare
la radice e la giustificazione fin nell'intimo mistero della psiche umana: ed
ecco un mucchio di dottrine che ne ricercano, affermandolo o negandolo, il
fondamento psicologico: dalla dottrina del libero arbitrio, a quella del
determinismo; da quella della libertà relativa della volontà a quella della
libertà dello intelletto; da quella della intimidabilità a quella della
normalità; da quella della identità personale a quella dello stato individuale
di criminalità; e intanto si trascura di stabilire con precisione quali sono le
condizioni, soggettive o oggettive, che il vigente diritto penale richiede
perchè si sia chiamati a rispondere penalmente verso lo Stato delle proprie
azioni delittuose (53). Parliamo del delitto, ed ecco chi antropologicamente lo
considera come l'effetto della variazione individuale o della degenerazione, o
dell'ambiente, o dell'ibridismo, o dell'assorbimento di certe speciali
proteine elaborate dall'uomo vivo o della denutrizione del sistema nervoso
centrale, o della tarda e precoce età dei genitori o dell'arresto di sviluppo
del sistema arterioso o come l'effetto di un virus simile al virus della
rabbia e via, per tutti i gusti; ed ecco pure chi, dal punto di vista
sociologico, lo crede un fenomeno normale e, come tale, socialmente utile, o
anormale, ma socialmente utilizzabile: ed ecco una quantità di ricerche intorno
alla nozione del così detto delitto naturale o sociale, di cui si dànno le più
strane e svariate definizioni; ma intanto non si precisa nemmeno che cosa il
delitto, o per dir meglio il reato, dal punto di vista giuridico sia, e sfugge
quasi completamente la nozione di esso come fenomeno giuridico, come fatto
giuridicamente illecito, da cui derivano obbligazioni e diritti. Che più?
Parliamo del delinquente e vogliamo studiarlo nella sua intima struttura fisica
e psichica: ed ecco chi lo crede un selvaggio in ritardo, un pazzo morale, un
epilettico, un isterico, un nevrastenico: chi, al contrario, lo crede un uomo
normale, stimando invece anormale l'uomo onesto; ed ecco una fioritura di
classificazioni e di sotto classificazioni dei delinquenti: nati, pazzi,
occasionali, passionali, abituali (54). Ma intanto si mette da parte l'idea,
ai fini del diritto essenzialissima, della personalità giuridica del reo, in
quanto è cittadino sia pure imputato e, eventualmente, condannato in un
giudizio penale, si dimentica che lo individuo qualificato e perfino giudicato
come delinquente possiede, come consociato, avanti e dopo il reato e perfino,
entro certi limiti, dopo la condanna, la garanzia dei diritti o dei beni e
interessi giuridici che costituiscono il suo stato personale e la sua condizione
patrimoniale, senza che dal godimento di tali diritti o interessi giuridici si
possa in alcun modo ed a priori escluderlo, essendo, per ora almeno, impossibile
una sicura diagnosi della delinquenza potenziale ed essendo probabilmente per
sempre impossibile una sicura prognosi della delinquenza effettiva (55). Quale
il risultato di un tale sistema? Il risultato è che quelle nozioni giuridiche
che in altri rami del diritto appaiono sempre rivestite di una certezza
obiettiva, nel diritto penale portano seco faticosamente dietro il guscio
indivisibile ed opprimente di discussione e di controversie proprie di altre
scienze, che quelle nozioni avviluppano di dubbi insuperabili e mettono in forse
continuamente nelle pratiche applicazioni. Il risultato deplorevole è che
mentre i cultori del diritto privato, per esempio, hanno preso a considerare i
princìpi del diritto ed a trattar gli istituti giuridici quasi (dirò seguendo
la bella immagine di Savigny e Jhering) come entità reali, esistenti, viventi
(56); ai cultori del diritto penale essi appaiono invece come creazioni dell'arbitrio
o della fantasia del legislatore; onde quella chiarezza, quella certezza, quella
quasi matematica precisione che costituiscono l'abito intellettuale tecnico
dei cultori del diritto privato, si convertono, nel campo del diritto penale, in
incertezza, in oscurità, in confusione.
*****
Abbiamo visto quale sia il problema, il compito e la
missione, della scienza del diritto penale, cioè la conoscenza scientifica del
diritto positivo vigente per la pratica applicazione di esso ai casi
particolari. Abbiamo visto altresì, in parte, quale ne sia il metodo,
determinando i mezzi, i procedimenti tecnici che il giurista deve mettere in
atto per conoscere scientificamente il diritto positivo. Resta, perchè della
questione del metodo compiutamente si tratti, che si dica, con la dovuta brevità,
alcunchè delle fonti cui la scienza del diritto penale ha da attingere in
questo studio tecnico del diritto vigente. Lo studio dogmatico e sistematico dei
princìpi generali del diritto nella sua armonica e coordinata unità, è uno
studio per sua natura eminentemente logico e deduttivo, che bisogna però,
appunto perchè tale, guardarsi bene dal convertire in uno studio aprioristico,
astratto e formale. Ad evitare questo scoglio, in cui sovente le scienze
giuridiche inciampano, che formalismo si chiama, ad evitare che la costruzione
dogmatica degli istituti e dei rapporti giuridici si desuma meccanicamente, con
le sole regole ermeneutiche, dalle norme scritte nel codice; ad impedire,
infine, che la scienza del diritto si converta in una giostra accademica di
principi, rigidamente dedotti, con logica cieca dinanzi ad ogni realtà, uopo è
pure che la deduzione logica si reintegri e completi, entro certi limiti, con l'induzione
sperimentale, e da essa riceva animo e moto, così da dar vita ad un
procedimento scientifico che, obbedendo alla legge della fondamentale unità dei
due metodi, meriti a ragione il nome di metodo, veramente e sanamente, positivo.
Le sorgenti da cui trae alimento l'induzione sperimentale che può valere come
mezzo ai fini scientifici del diritto penale, si riducono se non andiamo errati,
a tre: la antropologia (ivi compresa la psicologia) e la sociologia:
la storia: il diritto comparato: onde tre forme di induzione:
l'induzione antropologica, psicologica e sociologica, l'induzione
storica, l'induzione comparativa.
A. La prima specie di induzione, è quella che ci offrono
le scienze che studiano l'uomo e la società. Il diritto, altro non è che
norma della umana condotta, e, come tale, esso, necessariamente, è, anche forma,
e superstruttura (epifenomeno, secondo l'espressione di alcuni)
di fenomeni umani e sociali che, al di sotto di esso, palpitano di vita perenne.
Conoscer completamente di quello, non è dunque possibile senza conoscer, almeno
elementarmente, di questi: onde allo studio della struttura tecnica di un
istituto giuridico, è necessario che si accompagni lo studio del suo scopo e
della sua funzione sociale, e quindi, alla conoscenza della norma giuridica, è,
sino a un certo punto, necessario, che si accompagni anche la conoscenza degli
uomini e dei fatti su cui quella norma impera. E in tal modo, ma in tal modo
soltanto, che la scienza giuridica, scienza di ragionamento logico, può
sposarsi alla scienza di osservazione sperimentale. Così il diritto penale,
scienza delle norme giuridiche disciplinanti quei fatti umani e sociali che si
chiamano delitti, e quei fatti sociali e politici che si chiamano pene, se vuole
esser cosciente dello scopo e della funzione sociale delle norme che studia,
bisogna pure che arricchisca, in certa misura, sè stesso della conoscenza dell'uomo
che il delitto commette e a cui la pena si applica, della conoscenza dell'ambiente
nel quale il delitto viene commesso e in mezzo a cui la pena svolge i suoi
effetti; bisogna, in altri termini, che prenda in certi limiti conoscenza
del delitto come fenomeno naturale, individuale e sociale, e della pena, come
fenomeno sociale, attingendo ai dati che ora le offrono quelle nuove scienze che
sono l'antropologia (somatologia e psicologia) e la sociologia criminale. E
poichè il diritto penale non ha soltanto la funzione di infrenare mediante la
pena, l'attività umana ribelle al diritto medesimo, ma altresì nel tempo
stesso, di difendere l'attività giuridicamente lecita; poichè esso non si
rivolge soltanto a coloro che son naturalmente proclivi a delinquere, ma anche
ai cittadini naturalmente ossequenti alla legge, così esso ha bisogno altresì
della conoscenza, sebbene soltanto sussidiaria, degli uomini e della società in
genere, per apprender gli effetti psicologici e sociali che il delitto e la pena
in essa producono, ciò che è pur compito della psicologia e della sociologia,
sia generale che criminale. Uno dei caratteri peculiari dell'odierno momento
scientifico del diritto penale, consiste appunto, come fu osservato (57), nel
constatato bisogno di un armonico e efficace coordinamento della scienza
giuridica penale specialmente con gli studi sin ora compiuti sull'uomo
delinquente e sul delitto considerato come fenomeno sociale. Bisogna che la
scienza del diritto penale, pur conservando gelosamente il suo essenziale
carattere di scienza giuridica, si mantenga vicina alla vita e da essa tragga
forza ed alimento; giacchè non è possibile comprendere il sistema del diritto
penale vigente, - che è non solo sistema di imperativi e di massime
ipotetiche, ma altresì sistema di relazioni umane e sociali,
giuridicamente ordinate, - e soprattutto non è possibile preparare il sistema
del futuro diritto criminale, senza possedere i fattori d'ordine
antropologico, psicologico e sociale che concorsero a formare il primo o
concorreranno a formar il secondo senza conoscere l'ambiente umano e sociale
in mezzo a cui vivono e al quale applicano le norme del diritto penale presente
e avvenire. Certo, negli studi antropologici, psicologici e sociologici
criminali sono assai pochi i risultati sicuri; spesso, troppo spesso per nostra
sventura, in nome della scienza sperimentale, si emisero teoriche fantastiche e
lungi da ogni fondamento reale: ma ripudiando appunto tutto ciò che vi è in
essi di esagerato e di falso, negando, anzi, rigorosamente quartiere a tutto ciò
che veramente non risulti dimostrato dal controllo positivo dei fatti, è
necessario accogliere nel seno della scienza giuridica, come necessarie premesse
della scienza medesima, quelle pratiche verità sia pur numericamente limitate,
che la osservazione o l'esperimento ci avranno indubitatamente come tali
indicate.
Esaminare particolarmente quali siano i risultati di un tale
coordinamento, anche soltanto sui punti essenziali della nostra scienza
implicherebbe l'esame di tutta la scienza, essa stessa, il che non è
certamente qui il luogo di opportunamente fare; ne limitandoci ad un semplice
accenno, diremo che l'antropologia criminale, non già come anatomia e
fisiologia, ma invece come psicologia e più ancora come psicopatologia
criminale, sembra a noi poter esser di aiuto principalmente per la
determinazione tecnica, allo scopo dell'applicazione giudiziale del diritto
vigente, dei principi giuridici generali dell'imputabilità, e della
responsabilità penale, e delle cause giuridicamente esclusive o limitatrici
delle medesime e la sociologia criminale poter servire di sussidio nella
definizione delle nozioni giuridiche del reato e della pena in genere e dei
singoli reati in ispecie. Se tuttavia, a più particolari svolgimenti, non ci è
qui consentito procedere, ci è appunto perciò lecito, anzi doveroso, porre un'osservazione
d'indole generale e metodica, che serve a confermare concetti già in
precedenza accennati. La proclamata necessità per la scienza del diritto penale
di rinnovare le sue dottrine nelle onde pure del naturalismo e del suo sapere
positivo, per sostituire alle ipotesi astratte, uno studio profondo dei fatti
(58), non deve portarla ad uscire dal campo che naturalmente e rigorosamente
le è assegnato dal suo carattere di scienza giuridica. La scienza del
diritto penale, dalla antropologia, dalla psicologia, dalla sociologia
criminale, altro non deve attingere se non i dati positivi delle sue costruzioni
giuridiche, giacchè è naturale che elementi anche complessi e difficili, di
una scienza possano non solo, ma debbono costituire semplici "dati" o
"presupposti" di un'altra (59).
L'indagine penetrante nella realtà della vita naturale e
sociale da cui il diritto criminale rampolla, purchè serenamente e
pazientemente condotta, purchè contenuta nei suoi limiti naturali e legittimi,
è, anch'essa, uno dei fattori di una florida esistenza della scienza
giuridica penale. Mercè lo studio, sebbene soltanto sussidiario e
complementare, dei fatti in sè, nelle loro cause, nei loro effetti, nelle
grandi leggi sociologiche che li dominano; mercè lo studio, sebbene meramente
ausiliario, degli uomini nei loro organismi, nelle loro malattie, nelle loro
rappresentazioni, nei loro sentimenti, nelle loro volizioni, nel loro ambiente,
la conoscenza tecnica della disciplina giuridica del delitto e della pena, pur
rimanendo e dovendo rimanere nei suoi rigorosi limiti di scienza giuridica, esce
tuttavia animata e vivificata come da un soffio di vita. In tal modo la
costruzione scientifica del diritto vigente riesce ad integrare organicamente la
legge nelle aride e fredde formule che la costituiscono, a ravvivarne le norme
formali e superficiali. Per tal modo, specialmente, la filosofia del diritto
penale e la politica criminale, maturano e preparano i germi delle
riforme legislative, quasi anticipando l'opera del legislatore, cui altro non
resta se non apporre il suggello dell'autorità dello Stato ai risultati da
queste scienze ottenuti sull'osservazione genuina dei fatti. Così, con
trasformazione lenta e graduale, normalmente, senza soluzione di continuità
nella evoluzione giuridica, pari al maschio dell'ape che muore generando, il
precetto etico o la regola politica si converte in precetto di diritto vigente.
B. Accanto all'induzione antropologica, psicologica e
sociologica, si aggiunge la induzione storica e comparativa. Io non starò a
ripetere in qual modo la storia del diritto penale possa divenire una fonte
della conoscenza scientifica dello stesso diritto penale vigente, e se occorre
anche segnare le grandi linee della via per la quale dovrà necessariamente
incamminarsi il diritto penale futuro; non starò a spiegare come, seguendo il
filo storico dello svolgimento degli istituti giuridici penali, si possa bene
spesso riuscire a scorgere, attraverso una nebbia di oscuri concetti, la limpida
loro figura nel diritto presente. è merito glorioso della scuola, detta appunto
storica del diritto, la quale a noi appare come una delle forme di
applicazione del metodo induttivo alle scienze giuridiche, l'aver dimostrato
tali verità, su cui dunque sarebbe ormai superfluo l'insistere.
C. Ciò che la ricerca storica del diritto penale fa nell'ordine
della successività, compie poi la scienza del diritto penale comparato nell'ordine
della contemporaneità. Fonte, anch'essa importantissima della
conoscenza scientifica del diritto penale, essa costituisce un valido ausiliario
così nella ricerca, che abbiamo detto, dogmatica, come, e più, in
quella, che chiamammo, critica. Sopra tutto in quest'ultima, essa
slarga l'orizzonte delle idee scientifiche fin oltre i confini dello Stato e
del diritto nazionale, e fornisce i modelli su cui vanno plasmate le riforme
legislative che vogliano trarre profitto dalle altrui passate esperienze. Ma
nella costruzione dogmatica dei principi del vigente diritto penale, come nella
critica di esso, sempre cauto ne deve essere l'uso: occorre anzi evitare l'abuso
che solitamente se ne va facendo, a mera pompa di facile erudizione, allorchè
si citano in lunghe fila, a mo' di autorità dottrinali; e non bisogna
dimenticare che, nella conoscenza scientifica del nostro diritto penale, quei
diritti penali stranieri possono soltanto invocarsi, il cui generale sistema al
nostro si avvicina alle sue linee tipiche e fondamentali; e questi pure, ivi
soltanto, ove si palesi il bisogno di colmare le lacune delle leggi italiane.
Così la scienza del diritto penale sicuramente procede sulla
base della verità e dell'intima natura dei fatti individuali e sociali, con
la scorta della storia e del diritto comparato dei popoli civili. Queste sono le
conti della "conoscenza scientifica" del diritto, non del
diritto, come da alcuni, rispetto alla prima di esse, non esattamente fu detto
(60). Posto un tale concetto, la questione, tuttora così ardente, dei rapporti
fra la scienza del diritto penale e l'antropologia, la psicologia e la
sociologia criminale, s'illumina di vivida luce: la scienza del diritto
penale, per le sue costruzioni giuridiche, si giova, come suo mezzo, come suo
dato e presupposto, dell'induzione antropologica, psicologica e sociologica,
nel modo istesso con cui si giova della storica e della sua comparativa: ma essa
non è antropologia, o psicologia, o sociologia, più di quel che sia storia o
diritto comparato (61).
*****
Qui ho finito e mi è d'uopo concludere.
Ogni crisi nella scienza, come nella vita, è per se stessa
sempre atta a preparare un avvenire migliore per la civiltà, è avviamento a
raggiungere una sempre più limpida coscienza delle svariate e complesse
necessità della convivenza sociale umana. La lotta è legge della vita: ed è
soltanto dal cozzo delle contrarie opinioni, sinceramente combattenti in nome
della libertà del pensiero, vigorosamente affermanti la forza cosciente dell'idea
nel mondo delle cose, che può sprigionarsi la scintilla del nuovo vero
scientifico o anche soltanto la determinazione nuova di veri antichi. Così
nel campo del diritto penale, dopo una lenta azione e una violenta reazione,
sorge oggi la tendenza verso l'equilibrio, e in obbedienza alla legge, che
dal contrasto fa scaturire la vita, dall'urto, il progresso, si sente ormai
vicino il momento in cui, dal gran duello fra lo spirito e la materia, fra l'idea
e la realtà, sorgerà, come risultante di forze opposte e contrarie, il sano
progresso della scienza giuridica. Occorre che sul vecchio, ma ancor vivo
tronco della classica scienza del diritto penale, sfrondato delle foglie morte
della filosofia metempirica del diritto criminale, difeso dalle sempre
invadenti e talvolta inquinate correnti dell'antropologia della psicologia e
della sociologia criminale, protetto dai variabili e insidiosi venti della
politica criminale riformatrice, irrobustito e rinverdito dalla benefica linfa
del tecnicismo giuridico, sorretto dal contatto degli altri e più gagliardi
rami della scienza giuridica: si vengano innestando i germogli scientifici,
non intisichiti, rigogliosamente cresciuti sotto il clima dei tempi nuovi. Hoc
opus, hic labor est.
Note
(1) Il presente studio è la mia "prelezione" al
corso di diritto e procedura penale letta nella R. Università di Sassari il
15 gennaio 1910. Ho creduto opportuno di conservargli il carattere insieme
occasionale e didattico, carattere che non avrei, d'altronde, potuto
togliergli, senza rifare totalmente il lavoro. Esso non vuole essere
considerato, perciò, come una monografia scientifica sull'argomento, per
quanto l'estensione e l'importanza del tema possano ben sembrare
richiederla.
(2) Notevolissime per sincerità di pensiero e intuito
fedele di verità, relativamente all'odierno momento scientifico del diritto
penale in Germania, sono lo parole (che potrebbero a un dipresso ripeterai
anche per altri paesi, il nostro compreso) con cui il prof. Liepmann apre un
suo pregevolissimo e ancor recente lavoro (Einleitung in das Strafrecht.
Eine Kritik der Kriminalistischen Grundbegriffe. Berlin, Häring
1900) Einleitung, Die Aufgabe, pag. 103: Non si
può disconoscere - così egli dice - che la situazione nella quale si trova
attualmente la scienza del diritto penalo è, in particolar modo, critica.
Mentre nelle altre discipline di diritto pubblico, e ancor più nel diritto
civile, dominano vita attiva e fresco movimento, la dottrina del diritto
penale presenta un ristagno fastidioso e deprimente. Con sempre rinnovato
vigore si presentano le vecchie antitesi sulle concezioni fondamentali, senza
che la discussione apporti, in sostanza, nuovo pensiero. E, come suole
avvenire, non appena si mostra su la scena l'acrimonia polemica, svanisce
sempre più in speranza di una spiegazione fra le parti contendenti, e più
ancora in speranza di un efficace chiarimento dello stato dalle questioni.
Dinanzi a questa condizione di cose nella quale quasi ogni moderno
criminalista si trova irretito, appare comprensibilissimo che intiepidisca la
gioia del lavoro, sopra tutto nella trattazione dei problemi fondamentali, e
minacci di subentrare, al suo posto, soltanto una pacifica coltivazione di
argomenti speciali e limitati. Nell'interesse del progresso della scienza.
(3) Gli effetti della crisi odierna del diritto penale non
si limitano del resto, al puro campo scientifico, ma si estendono, quel che è
peggio, anche alla pratica giudiziaria. Così, or non è molto, il Pessina, in
un suo elaborato Programma ad un opera di diritto penale da lui diretta (Enciclopedia
del diritto penale, Milano, Soc. ed. Lib., 1901) osservava come la lotta
impegnatasi fra le vari scuole nel dominio puramente scientifico del diritto
penale abbia fatto si che nella vita pratica di esso si sia insinuata una
certa confusione di idee che affievolisce l'intelletto del giurista
rendendolo perplesso nell'interpretare le leggi. E il prof. Garcon in una
sua notevole prefazione ad un libro recente (Paul Saillard, Le rôle
de l'avocat en matiêre criminelle, Paris 1905) faceva osservare come il
diritto penale non goda in Francia (e si potrebbe dire lo stesso anche in
Italia) il favore nè dei magistrati nè degli avvocati. Una delle cause di
questo discredito, è, per lui, che la scienza del diritto no esercita ormai
più che una funzione evanescente nel processo penale, dove tutto sembra
ricondursi a apprezzamenti di prova e di puro fatto. La verità è, egli dice,
che non si discute di diritto perchè lo si conosce poco: è una osservazione
che fanno naturalmente tutti quelli che frequentano le udienze penali. E una
nota che "les ècoles de droit ont une part de responsabilitè dans ce
dectin des ètudes criminelles". Quanto poi alla Germania il Binding,
gin dal 1881 nel suo articolo Strafgrestzgebung, Strafjustiz und
Strafrechtsurissenschaft in normatem Verhültuiss zu einander Bd. I
(1881), p. 4 e seg., notava il decadimento (che, in questi ultimi tempi, non
sembra essersi arrestato ma, invece, accentuato) della pratica giudiziaria
penale in Germania e osservava come i magistrati spinti a un esagerato
ossequio della parola della legge, sopraccarichi di lavoro e privi dell'ausilio
della dottrina giuridica si siano dato anima e corpo a un triplice culto:
culto della lettera della legge che sovrappone la forma allo spirito: culto
delle decisioni del Tribunale supremo elevate al disopra della legge: culto
dei motivi legislativi nei quali la opinione individuale dell'autore elude
la volontà della legge. Che questo triplice culto sia estraneo alla
magistratura penale italiana sarebbe, anche oggi (anzi oggi specialmente),
illusione affermare.
(4) Per il Carrara (Programma, 4" ed., Lucca
1871, I, Prolegomeni) "esiste una legge eterna, assoluta,
costituita dal complesso dai precetti dirottivi della condotta esteriore dell'uomo
promulgata da Dio all'umanità mediante la pura ragione" e "il
diritto è congenito all'uomo perchè dato da Dio all'umanità fin dal
primo momento della sua creazione" (Programma, Prefazione alla
6" ed., p. 10-11); onde "chi nega al diritto una esistenza assoluta
precedente alla logge umana, nega all'ordine giuridico la divinità che lo
crea" (Programma, I, 5ª ed., p. 41 nota). Ad esso si oppone (Programma,
vol. I, 4ª ed., Prolegomeni, p. 26) "una legge umana e variabile
come autorità alla quale noi tutti, sudditi o magistrati dobbiamo, fintanto
che vige, uniformarci, siano quali si vogliono le nostre opinioni". Ma in
questa non consiste propriamente il diritto penale, il quale, invece, "ha
la sua genesi e la sua norma in una legge che è assoluta, perchè costitutiva
dell'unico ordine possibile alla umanità secondo le previsioni o i voleri
del Creatore" (Programma, I, Prolegomeni, p. 25), onde
"subordinate cosi ad una norma assoluta le leggi penali sono nei principi
cardinali assolute" (Programma, I, p. 25; v. anche p. 32).
Per il Carrara la scienza del diritto penale "non
cerca che l'applicazione...di questi princìpi razionali imposti a noi dalla
mente suprema: le sue dimostrazioni si desumono dalla parola dell'uomo: ma
devono essere deduzioni logiche della eterna ragione della quale Dio riveli
agli uomini per mirabile ispirazione quanto occorreva a regolare quaggiù la
loro condotta verso i propri simili" (Programma, I, Prolegomeni, p. 25).
Ecco la scienza del diritto penale che il Carrara voleva si studiasse: quella
che astrae "sempre da ciò che può essere piaciuto dettare nei vari
codici umani" e rintraccia "la verità nel codice immutabile della
ragione" (Programma, vol. I, Prolegomeni, p. 25).
Anche il Giuliani, Istituzioni di diritto criminale,
2ª ed., vol. 1, Macerata, 1840, cap. I, § I-5 specialm. p. 21 e 67 ammette l'esistenza
di un diritto penale naturale (p. 41) con cui, come ordine positivo di
ragione, coincide il diritto criminale costituendo, con mai quello costituito
(p.67).
(5) Feuerbach, Lehrbuch des gemeinen in Deutschland
gültigen peinlichen Rechts, 14ª ed., von Mittermaier, Giesnen, 1847, §
2, pag. 2: "Das allgmeine peintiche Recht (parte, secondo il
Feuerbach, del diritto naturale: v. § 6) als Philosophic der rechtlichen
Gründe des Strafrechts und seiner Ausübung, ist die Wissenschaft von den
möglichen Rechte den Staats aus Strafgesetzen: das postire peintiche Recht
die Wissenschaft von den wirklichen Rechten eines bestimmaten Staats (Deutschlands)
aus gegebeneu Strafgesetzen".
(6) Haelschner, Das gemeine deutsche Strafrecht
systematisch dargestellt, Bonn. 1881, § 32, pag. 81"Das
Vorbrochen ist eine eigenthümliche von anderen sich unterschoidende Form des
Unrechts. Es hat also keinem begrifflichen Wesen nach zu seiner Voraussetzung
das Recht, das mit der sittlichen Natur des Menschen alseine nothwendige und
wesentliche Gestalt, ihrer Eutwickelung und äusserlichen Darstellung gesetzt
ist. Insofern aber das Recht die Aufgabe hat das aufder Grundlage der Natur
sich bewegende Gemeinlebeu der Menschen sittlich zu gestalten, kann esseine
Verwirklichung nicht bloss am individuelle Willen des Menschen finden, sondern
existirt nothwendig auch in einer von diesem unabbängigen, endlichen Form in
der es die individuelle Willkür seiner Macht, schlechtin unterordnet. Wir
bezeichnen das Recht, insofern es in dieser Form zum Dasein gelangt ist, als
das positive Recht oder Gesetz in Sinne, das als ein geschichtlich gewordenes
und als Ausdruck eines zeitlich und national bestimmten und beschränkten
Staudpunktes der sittlichen Entwickelung der Meuschleit, seinem Inhalte nach
nicht nothwendig stets gerecht und der sittlichen blee entsprechend erscheinen
wird".
(7) Berner, Trattato di diritto penale (trad.
Bertolan, 2ª ed., Milano 1892, I 4, p.3). "Noi dovremo specialmente
occuparci dei principii che hanno da guidare lo Stato nell'esercizio del suo
diritto di punire, ma dovremo anche derivare e stabilire siffatto diritto..."
§ 5 (diritto ideale e diritto positivo), p. 4. "Nulla toglie al
suo carattere scientifico l'essere il diritto che ci deve occupare positivo,
perchè ciò è conseguenza dell'idea stessa del diritto... Da ciò non
segue tuttavia che qualunque diritto positivo risponda ai desiderati della
scienza anzi nessun diritto positivo risponde interamente all'ideale.
Come in genere la pura idea appare offuscata nella sua esistenza empirica
così anche noi non di rado troviamo che il diritto penale positivo deriva
dai postulati della scienza. In tali casi noi dobbiamo guardare il nostro
soggetto sotto duplice punto di vista e cioè: e sotto quello del giudice,
e sotto quello del legislatore. Il giudice sta sempre al disotto della
legge: egli deve applicarla anche quando contrasti coll'Ideale. Il
legislatore, invece, muove da questo: a lui spetta emanare la legge positiva
ed a questo intento deve contemplare nella sua mente la pura idea della cosa.
Pel teorico la ricerca di questa idea è della massima importante. Mancandogli
essa verrebbe meno ad un tempo la scienza di lui, ridotta a non altro che ad
una mera notizia della legge. Per lui non può mai essere materia di studio
semplicemente una determinata legislazione dovendo nel tempo stesso occuparsi
della pura scienza. Solo può egli apprestare una
legislazione positiva in quanto cerca di elevarsi sopra di essa alla vera
natura della cosa".
(8) Ortolan, Elements de droit penal, 3ª ed., Paris
1863, t. I, n. 14, p. 7: "Le droit est une conception de la raison
humaine, deduite d'un rapport d'homune à homme, dans lequel l'un a la
facultè d'exiger de l'autre une action ou une inaction " n. 15,
p.7: "Notre raison dèduit de chaque rapport d'homme à homme avec
plus on moins d'exactitude ... la notion de la loi de conduite exterieurment
exigible, et par consèquent celle da droit rationnel: le pouvoir social
legislatif en determinant les cas dans lequels il reconnaitra et sanctionnera,
par le secours de la torce pubblique, la facultè d'exiger une action en une
inaction de quelquun, dècrète la loi positive et, par consèquent le droit
positif, lequel n'est qu'un fait lorsqu il est contraire au droit nationnel
(v. anche n. 10, p. 5; n. 29, p. 8): "Le droit pènal est une
conception de la raison humaine, dèduite d'un rapport d'homme à societè ,
dans tequel la societè a la facultè de faire subir à l'homme un certain mal
à raison d'une violation de droit qu'il a commise" n. 23, p. 9:
"le droit pènal n'est lui même qu'une abstraction tirèe, comme
droit pènal rationnel d'une lui mètafisique, et comme droit pènal positif
d'un precepte formulè...".
(9) Bertauld, Cours de code pènal, 2ª ed., Paris
1859, p. 13 "Le droit, c'est la règle des rapports sociaux
qùimposent la raison et la justice"; p. 16: "ce que nous
nommons simplement le Droit c'est ce que... (d'antres) appellent le Droit
naturel"; p. 21: "le droit pènal est la sanction sociale...de
la partie de la loi morale socialemont exigible c'est à dire du Droit".
Ammettono l'esistenza di un diritto naturale o nazionale o ideale anche l'Haus,
Principes de droit pènal belge, Gand-Paris 1869, n. 6, p. 2: "Les
principes qui concernent les dèlits et les peines et que la scule raison nons
fait connaitre forment le droit pènal naturel philosophique ou rationel..."
(v. anche n. 7, p. 3) e tra gli scrittori francesi e belgi più recenti il
Laborde, Course de droit criminel, Paris 1893, n. 4 pag. 3; e il Thiry,
Course de droit criminel, 3ª ed., Liege 1909, n. 2, pag. 2.
(10) Pessina, Elementi di diritto penale, vol. I,
Napoli 1882, §3, p. 6: "Il Diritto nella sua totalità è in somma di
certi detteti che sono imposti agli esseri umani ed in cui si chiude tutto
quello che essendo possibile all'umano operare serve come condizione
indispensabile all'adempimento della destinazione umana (v. anche:
Discorsi inaugurali, p. 233, 249, 275); §3, p. 7: "Gli aspetti nei quali
il Diritto penale vuole essere considerato sono quei due medesimi aspetti che
per tutto il diritto si appresentano, cioè, l'idea ed il fatto. Vi ha un
diritto criminale superiore a tutti i tempi e a tutti i luoghi cioè la
giustizia punitrice avvisata nella sua assenza ideale, universa ed immutabile,
come l'esemplare degli istituti penali. E vi ha pure un appellarsi di questo
Diritto agli uomini e per opera degli uomini nei vari tempi e nei vari luoghi
che genera e le varie opinioni sul contenuto de1 diritto penale e quegli
istituti che essendo posti dagli uomini stessi, pigliano nome di Diritto
penale positivo. Il primo è uno universale ed identico e può dirsi il
Diritto penale assoluto. L'altro è molteplice diverso e mutevole e può dirsi
contingente in quanto varia secondo i tempi ed i luoghi; § 6, pag. 9: "la
scienza del diritto penale può definirsi un tutto insieme di veri
organicamente e sistematicamente annodati come conseguenze di un solo e
medesimo principio intorno alla punizione del malefico" § 7, p. 9:
"... come essa abbraccia i due aspetti del Diritto penale cioè l'idea
e il fatto, si ha la filosofia del diritto penale e la storia del diritto
penale".
(11) Buccellati, Istituzioni del diritto penale secondo
la ragione e il diritto romano, Milano 1884, n. 20, p. 23:
"come tutte le scienze cosi il diritto penale consta di due elementi: la
ragione e il fatto e a misura del maggior contributo dell'uno di questi
abbiamo 1a distinzione di diritto penale positivo o diritto
penale razionale. Logicamente la ragione precede il fatto. Come il
legislatore avanti dare esistenza al fatto della legge deve essere
informato all'ideale giuridico, così anche chi applica e interpreta la
legge deve saper risalire e quindi mentalmente possedere quell'0ideale a cui
attinse il legislatore; n. 24, p. 21: "scientificamente si dà la
distinzione fra il diritto positivo e il razionale, non separazione; e lo
studioso deve per quanto è possibile far progredire di concreto il fatto con
la ragione; n. 28, p. 26: "...troviamo distinti il diritto penale in
natura e sociale: questa distinzione, impropriamente usata, risponde ad altra,
da noi surriferita, di diritto razionale e positivo" (v. anche n. 312, p.
460).
(12) Canonico, Del reato e della pena, Torino 1872,
pag. 14-15: "Il diritto penale, come il diritto in genere, ha la sua base
suprema nella verità assoluta, la quale è legge per in libera volontà umana
e piglia il nome di diritto in quella parte in cui osservanza, voluta o non
voluta dall'uomo, è indispensabile alla libera coesistenza sociale e a cui
possono quindi astringersi i renitenti mediante coazione esterna", pag.
35: "...il diritto oggettivamente considerato è la stessa legge morale
in quanto segue le norme che debbono indeclinabilmente osservarsi affinchè
sia possibile in libera convivenza sociale di ciascun individuo e quindi
l'esistenza medesima della società"; pag. 36: "...il diritto penale
è quella parte del diritto che segna le norme dietro le quali deve
esercitarsi dall'autorità sociale il potere punitivo".
(13) Brusa, Prolegomenos de
derecho penal, Madrid 1897, pag. 10-11: "En sentido objetivo el
derecho penal es para la Filosofia del Derecho cl conjunto de los principios
racionales que jusifican el puler punitivo y determinan los modos y limites
dentro de los cuales debe ejercitarse: y para el derecho positivo el conjunto
de reglas juridicas vigentes con relacion a los delitos y sus castigos".
(14) Fra gli scrittori italiani più recenti ammette
l'esistenza di un diritto penale naturale o razionale o ideale anche: Napodano,
Il diritto penale italiano nei suoi principii, Napoli 1895, §1 e 2,
pag. 6: vedi, più di recente: L'indirizzo scientifico del diritto penale,
estratto dalla Rivista Penale, volume LVII (1905), fasc. V, dove
ammette esplicitamente "una idea di giustizia...trasparente alla nostra
mente e sentita dalla coscienza" cioè l'idea di una "norma che
regola il mondo delle utilità umane" e "serve al fine dell'umana
destinazione e sta fuori dell'esigenza della società e fuor di noi"
(pag. 5; v. anche pag. 6). Così pure il Mecacci, Trattato di diritto
penale, vol. I, Torino, 1901, pag. 117. Sembra accedere al concetto di un
diritto razionale anche il Lucchini, quando parla di una scienza giuridica
filosofica (in contrapposto alla scienza giuridica positiva) ossia di una
"dottrina" (in contrapposto alla legislazione) che avrebbe per
compito di determinare i principi e le norme generali di universale e costante
applicazione in corrispondenza a condizioni e circostanze di fatto costanti e
universali, mentre la scienza giuridica positiva ossia la legislazione (noi
parleremmo, in tal caso, non di scienza del diritto positivo, ma di politica
legislativa) fissa quelle norme pratiche e concrete che in un dato tempo e per
un dato popolo sono più appropriate e meglio si coordinano coi principi e con
le norme di ragione filosofica e stanno in corrispondenza a condizioni e
circostanze di fatto locali e particolari (Elementi di procedura penale,
Firenze, 1905, 3ª ed., n. 17, pag. 17).
(15) Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione
giuridica del diritto pubblico nell'Archivio Giuridico, vol. XVII
(1889), fasc. 1 e 2, pag. 113. V. anche: Ordine giuridico e ordine politico,
prolusione letta nella R. Università di Modena il 4 dicembre 1885; Sulla
necessità di una ricostruzione giuridica del diritto costituzionale,
prolusione letta alla R. Università di Messina il 12 dicembre 1886; Diritto
e politica in Archivio di Diritto Pubblico, vol. III, pag. 73; Programma
dell'Archivio di Diritto Pubblico diretto da V. E. Orlando, 1891; Principi
di diritto costituzionale, V ed., Firenze 1909, Introduzione e capitolo
III; Diritto amministrativo e scienza dell'amministrazione nell'Archivio
Giuridico, vol. XXXVIII, fasc. 5 e 6; Principi di diritto
amministrativo, II ed., Firenze, 1892, Avvertenza; Introduzione
al diritto amministrativo (I presupposti, il sistema, le fonti) nel Primo
completo Trattato di diritto amministrativo italiano a cura di V. E.
Orlando, Milano, Soc. Ed. Libr., vol. I.
(16) Che la politica criminale come critica e riforma del
diritto penale positivo vigente non sia una scienza (scienza della
legislazione) ma un'arte (arte legislativa) è stato di recente vigorosamente
sostenuta dall'hiller (Kart) Steafcechtskritik und Etil in Monatsschrift
fiit Keim und Steaf., anno VI, p. 618. Secondo questo autore, anzi, non si
può ammettere nemmeno la possibilità di una scienza normativa (scienza del
valore o etica) nei rapporti col diritto in genere e in particolare col
diritto penale (filosofia del diritto penale).
(17) Loening, Veber geschichtliche und ungeschichtliche
Behandlung des deutschen Steafrechts nella Zeitschrift fiir die gesamte
Strafrechtsurissenschaft, Bd. III (1883), pag. 219 e segg. il quale
sostiene (pagg. 223 e 224) "essere compito esclusivo della scienza del
diritto penale e la conoscenza scientifica del diritto penale positivo" (
v. anche antecedent. Waechter nei Schletter's Sohrbiicher, 1865) e
contesta ad essa, come tale competenza ad emettere giudizi critici sul diritto
vigente, giungendo persino ad affermare che il giurista, in quanto tale, si
trova "più di ogni altro lontano nella sua attività scientifica dal
partecipare alla produzione del diritto" (ciò che non è del tutto
esatto dal momento che questa attività servendo allo scopo pratico della
amministrazione della giustizia, è, meglio di ogni altra, in grado di
rilevare gli inconvenienti pratici a cui il diritto vigente va incontro nella
sua pratica e quotidiana applicazione giudiziale ai casi particolari, e dal
momento che essa deve pur rendersi conto del modo con cui il diritto positivo
vigente riesce a raggiungere gli scopi sociali e politici voluti dal
legislatore). Naturalmente la scienza del diritto penale viene per lui a
distinguersi così nettissimamente dalla Politica criminale.
(18) Sergiewsky, Das Verbrechen und die Strafe als
Gegenstand der Rechtswissenschaft nella Zeischrift fiir die gesam te
Strafrechtswissenschaft, Bd. I, (1881) pag. 21. Il Sergiewsky, pur
riconoscendo che la scienza del diritto penale o la "Sociologia
criminale" hanno in comune la materia, cioè il delitto e la pena, trova
che esse diversificano per il metodo sopra tutto per lo scopo, il quale, per
In. scienza giuridica penale, consiste sopra tutto nel servire "come filo
conduttore alla pratica giudiziaria per l'applicazione delle regole stabilite
dalle leggi in generale nei casi pratici". (Secondariamente nel
"valere come filo conduttore al legislatore per dare nuove leggi più
giuste affinchè egli possa abbracciare in una disposizione penale i casi
speciali della vita reale"). Aggiunge poi che la chiave per la vera
interpretazione del diritto vigente, nel suo tutto come nelle sue parti, può
esser data soltanto (?) per mezzo della Storia del diritto positivo. E
conclude definendo la scienza del diritto penale come "la sistemazione, l'analisi
e la sintesi, del concetto del delitto e della pena" (s'intende del
concetto giuridico secondo il diritto positivo vigente).
(19) Merkel, Ueber den Idealismus in del
Strafrechtsucissenschaft, Bd, I, (1881) pag. 554 e segg. (riprodotto nelle
Gesammette Abbandlungn ans dem Gebiet der allgemeinin Rechtstehre und des
Strafrechts, Zweite Hätlte, Strassburg, 1899, pag. 429 - 472). Il Merkel
contrappone strenuamente all'"idealismo" nella scienza del diritto
penale (rappresentato, fra gli altri, in Germania, dallo Abegg, dal Berner,
dal Köstlin, dall'haelschner) lo "storicismo" (rappresentato dal
Waechter, dal Loening, dal Binding) e quindi alla filosofia (idealistica) del
diritto penale, la "scienza positiva del diritto penale", o meglio,
la "scienza del diritto penale positivo". (V. specialmente sub. II e
III, pagg. 431, 432, 433, 434, 4%). "La scienza - egli dice - non ha
imperativi e non può crearli da sè. Essi appartengono alla volontà di un
potere, non teoretico, ma reale. Le manifestazioni di questo potere possono da
lei esser* considerate soltanto come dati sul valore dei quali decide non la
ragione teoretica, ma soltanto il foro della coscienza"(pag. 435). E
continuando afferma che il compito, almeno più prossimo, della dottrina
relativamente al diritto è "den inhalt desselben iu geordueter weise
zur Anschaunng und in Formen zu bringen, welche eino gleichmässige und
sichere Anwendung begünstingen...", pag. 435.
(20) Binding, Strafgesetzgebung, Strafjustiz und
Strafrechtswissenschaft in normatem Verchältniss zu emander nella Zeitschrift
fiir die gesante Strafrechtswissenschaft. Bd. I, (1881), pag. 429. In
quest'articolo il Binding, comincia col rilevare le colpe in cui è caduta per
lui fino al 1881 la "dottrina tedesca: di essersi staccata dalla pratica
(la Germania ebbe una scuola storica e una scuola filosofica, ma accademiche
entrambe): di non aver studiato in larghe monografie in parte speciale dei
reati: di aver elaborato trattati filosofici nella parte generale del diritto
penale ovvero di essersi fatta compilatrice di commentari i quali per la
maggior parte traggono la loro esegesi dai così detti materiali della legge o
dalle decisioni del Tribunale Supremo e conclude che la scienza penale come
scienza giuridica ha una duplice missione cioè esser guida alla pratica
presente e esser giuda alla legislazione futura, ma in entrambi i casi, parli
de lege lata o de lege ferenda, essa deve essere e rimanere scienza del
diritto positivo. A questa concezione del compito della scienza del diritto
penale il Binding si è mantenuto fedele nel suo Handbuch des deutschen
Strafrechts, Bd. I, Leipzig, 1885, il quale, per le stesse dichiarazioni
dell'Autore (Varrede, p. VII - X) "...ist ein Werk der Wissenschaft des
positiven Rechts", "ist ein Werk der Wissenschaft des deutschen
Rechts", "ist ein Werk der Dogmatik des bestehenden Rechts" e
finalmente "will...ein Werk praktischer Jurisprudenz sein". è,
anzi, veramente ammirevole il modo con cui egli incisivamente precisa in
questa opera: "il compito e i limiti della scienza del diritto penale
positivo" (Handbuch § 2, II, pagine 6-15) escludendo
energicamente la possibilità e legittimità scientifica di una filosofia del
diritto penale intesa come filosofia trascendentale e aprioristica che avrebbe
per oggetto lo studio di un preteso e inesistente diritto penale naturale o
ideale, o razionale (§ 2, II, pagg. 6-9) (v. specialmente pag. 9: "Nun
giebt es kein ewiges und unwandelbares Recht, das der Mensch wissen könnte,
keine haltbare Rechtsphilosophie, die etwns anderes zu bieten vermöchte als
die höchsten Grungedanken des Rechtes, das gegolten hat oder noch gilt, keine
Rechtsphilosophie, die etwas anderes wäre als Jurisprudenz, Keine
Jurisprudenz, die etwas anderes wäre als Wissenschaft des positiren Rechts,
Jeder Versuch die Strafrechtwissenschaft der Naturrechtslehre irgend eines
philosophischen Systems untertan zu machen ist deshalb ein energisch
zurückzuweisender Angriff auf ihre Freiheit, gefasst als strenge Gebundenheit
an ihren Stoff und auf die Einheitlichkeit ihres Gegenstandes".
Questo all'indirizzo di riforma del diritto penale vigente (o politica
criminale), il Binding in una sua opera più recente (Grundriss des
deutschen Strafrechts, VII ed., 1902, Leipzig (VIII ed. 1907),
Vorbemerkuug, p. V, dichiara di volerlo tenere nettamente separato dallo
studio del diritto penale positivo. Ed aggiunge (pag. VII) "In genere il
fracasso di questa musica dell'avvenire sta in forte antitesi col suo
contenuto".
(21) Liszt, Die Aufgaben und die Methode der
Strafrechtwissenschaft, nella Zeitschrift für die gesamte
Strafrechtswissenschaft, Bd. XX, (1900), pag. 162-174, v. specialm. p.
172. (In questo lavoro, che è la sua prolusione al corso di diritto penale
nell'Università di Berlino, il Liszt assegna alla scienza penale tre
compiti: 1° un compito pedagogico (o più esattamente si direbbe giuridico,
ogni compito, in quanto si ademoie con l'insegnamento, essendo pedagogico) e
cioè lo studio del diritto penale positivo vigente, sia sostanziale che
processuale, nel che consiste la "scienza del diritto penale in senso
stretto"; 2° un compito - scientifico (meglio si direbbe antropologico,
psicologico e sociologico, scientifico essendo anche il compito giuridico e
quello politico) cioè la ricerca delle cause delle cause del delitto
(criminologia) e della pena (penologia); 3° un compito politico nel senso di
avviare la legislazione ad una lotta consapevole contro il delitto,
specialmente, ma non esclusivamente, mediante le pene e gli istituti affini
(politica criminale): Lehrbuch des dentschen Strafrechts, 18 ed.,
Berlin 1908. Einleitung §1, p. 1-2; § 14, p. 68-69; §15, p. 73-74.
Il Liszt (i cui noti contributi agli studi di psicologia, di sociologia e di
politica criminale lo fanno certamente non sospetto di ignoranza o trascuranza
di queste scienze) è tuttavia tra gli scrittori recenti, uno dei più caldi
fautori del tecnicismo giuridico nel campo del diritto penale e uno dei
più strenui difensori della separazione della scienza del diritto penale
(intesa come scienza pratica del diritto penale positiva vigente, dalla
politica criminale, e quindi, dalla sociologia, dalla antropologia e dalla
psicologia criminale. "Diritto penale - così egli si esprime - (Lehrbuch,
Einleitung, § 1, p. 1) è il contenuto di quelle regole
giuridiche statuali mediante le quali al reato, come fatto vien
ricollegata la pena come conseguenza giuridica. Come fatto giuridico
particolare al diritto penale, il reato forme una speciale suddivisione del
torto (delitto), vale a dire della azione colpevole e giuridicamente lecita. E
come conseguenza giuridica propria del diritto penale la pena si distingue
dalle altre conseguenze giuridiche del torto, per ciò, che essa si presenta
come una particolare restrizione di beni giuridici che lo Stato infligge al
colpevole. Delitto o pena sono, pertanto, i due concetti giuridici fondamentali del diritto
penale. Da ciò risulta, dice il Liszt, il più prossimo compito della scienza
del diritto penale: che sta nella pura trattazione tecnico - giuridica
fondata sulla legislazione penale, nella considerazione del reato e della
pena come generalizzazioni concettuali (s'intende: giuridiche); nello
svolgere a completo sistema le singole prescrizioni della legge risalendo fino
agli ultimi concetti fondamentali e agli ultimi principi; nel presentare,
nella parte speciale del sistema, i singoli reati e le pene per essi comminate
e, nella parte generale, il concetto del reato e della pena in genere. Come
scienza eminentemente pratica, sempre operante per i bisogni dell'amministrazione
dalla giustizia, e sempre da essa traente nuove fecondazioni, deve la scienza
del diritto essere e rimanere scienza caratteristicamente sistematica;
poichè soltanto l'ordine delle cognizioni nel sistema, garantisce quella
scienza e sicura e e sempre pronta padronanza dei casi particolari, senza la
quale l'applicazione del diritto rimane un semplice dilettantismo, abbandonato
al caso o all'arbitrio". Cosi esattamente concepita, la scienza del
diritto penale si distingue per il Liszt, dalla politica criminale
(inesattamente identificata dal Liszt con la filosofia del diritto
criminale) la quale per lui comprende (su di che facciamo le nostre
riserve) la criminologia (antropologia, psicologia, o sociologia
criminale) e in penalogia (Lehrbuch § 1 sub 2, p. 2 e §
14, p. 69). Nulla impedisce però di riunire la scienza del diritto
penale e la politica criminale sotto il comune denominatore di "universa
scienza del diritto penale" (Gesamte Strafrechtswissenschaft)
(Liszt, Zeitschrift, IX, 455 e il titolo stesso della sua Zeitschrift).
(22) Secondo il Meyer (Hugo), Lehrbuch des deutschen
Strafrechts, 6ª ed., von Allfeld, Leipzig 1907, § 6, p. 43, la scienza
del diritto penale ha "come compito principale" la "conoscenza
del diritto vigente cioè l'attività dogmatica sia che il diritto
penale venga trattato nella forma del Commentario alla legge (questa
non chiameremmo indagine dogmatica, ma invece esegetica) o nella forma
sistematica della trattazione". Viene poi: la ricerca
storica e non soltanto come mezzo ausiliario per la cognizione del diritto
vigente, ma anche con importanza autonoma (nel qual ultimo caso pare a noi che
essa rivesta il carattere appunto di disciplina autonoma); la trattazione di diritto
comparato (anche questo, pare a noi, come mezzo per lo studio del diritto
vigente);la discussione filosofica del diritto penale o la
ricerca dei suoi più alti fondamenti o principi (non, dunque, anche pel
Finger, come scienza del diritto penale naturale o razionale o ideale) e prima
ancora: il giudizio o la critica del diritto vigente o l'indirizzo
politico criminale. Ed ecco quel che il Mayer dice a proposito di questo
indirizzo: "...l'attività politica criminale rinasce ora nuovamente con
speciale ardore: è un movimento simile a quello della fine del secolo XVIII
ma che, come allora, nei suoi particolari, va al di là del suo compito e deve
essere invece contenuto nei giusti limiti, senza di che in luogo di
completamento del diritto penale si raggiunge invece la sua totale
distruzione" (§ 6, pag. 41). Naturalmente il Mayer distingue poi la
scienza del diritto penale dalla antropologia o biologia criminale (la
quale comprende anche la psicologia criminale), dalla sociologia
criminale e dalla statistica criminale la quale ultima a noi sembra
doversi incorporare nella sociologia criminale, come suo particolare e
indispensabile metodo); scienze tutte le quali costituiscono le scienze
ausiliarie del diritto penale (Lehrbuch, § 6, p. 41-42). "Il
diritto penale poi, ben può, per lui, (come pel Liszt) essere riunito,
insieme alle scienze ausiliarie, sotto il nome di "gesamte
Strafrechtswissenschaft" (Meyer, Lehrbuch, § 6, p. 42, nota
17).
(23) Per il Beling, Grundzüge des Strafrechts,
Tübingen, 1905, § 9, p. 12, la scienza del diritto penale, come
quella che studia il diritto penale positivo ("contenuto di quelle
norme giuridiche le quali si riferiscono alla questione per quale condotta
debba aver luogo una pena e quale pena debba aver luogo": op. cit. § 2,
p. 2) si distingue nettamente, non solo dalla antropologia criminale (ivi
compresa la psicologia criminale), ma anche dalla sociologia
criminale e dalla politica criminale.
(24) Secondo il Finger, Lehrbuch des deutsch. Strafrechts.
Bd. I, Berlin, 1904. § 2, pag. 2 e 3 "il diritto penale nel senso
obiettivo della parola dichiara punibili certi determinati fatti: esso
ricollega a presupposti precisamente indicati il diritto dello Stato di
punire. La pena appare così come la conseguenza giuridica, il reato come il
fatto giuridico a cui questa conseguenza è ricollegata. Accanto a questa trattazione
giuridica astratta, nella quale il reato è considerato soltanto in
rapporto alle prescrizioni del diritto positivo (e questa è evidentemente
pel Finger, la scienza del diritto penale in senso proprio) può il reato
stesso essere ancora considerato come reale fenomeno della vita sociale".
La scienza del diritto penale, come scienza del diritto positivo penale, si
distingue in tal modo nettamente, pel Finger, dalla politica criminale
(che, per lui, comprende, ciò che non ci sembra esatto, la antropologia
criminale o la sociologia criminale) (Finger, op. cit., § 2, p. 4).
(25) Il Wargha, Die Abschaffang der Strafknechtschaft,
Graz 1896, vol. I, cap. II, concepisce la scienza del diritto criminale come
quella che studia i mozzi di difesa, preventivi e repressivi, contro la
criminalità adottati dallo Stato (si intende nell'ordinamento giuridico
positivo). Il diritto criminale si distingue così, per lui, in diritto
criminale preventivo e diritto criminale repressivo o diritto
penale in senso stretto. (Al qual proposito notiamo, di volo, che neppure
noi abbiamo alcuna difficoltà nè teorica nè pratica a riunire sotto il
comune denominatore di diritto criminale - per farne unitario oggetto di
studio della scienza del diritto criminale (non più esattamente
penale) - il diritto penale propriamente detto, e quella sempre progrediente
parte del diritto amministrativo, che riguarda la prevenzione, diretta
o indiretta, della delinquenza e che il Wargha esattamente chiama diritto
criminale preventivo). Così concepita la scienza del diritto criminale,
si comprende come essa, anche pel Wargha, si distingua recisamente dalla politica
criminale, nonchè dalla antropologia criminale (che pel Wargha (e
a parer nostro non esattamente) si suddivide a sua volta in biologia
criminale e sociologia criminale).
(26) Il Garraud, Traitè thèorique et pratique du droit
pènal français, 2ª ed., Tome I, Paris 1898, Introduction, §1. Le
droit criminel, dopo aver osservato (n. 1, p. 1, nota 3) "c'est le
droit tel qùil est, et non tel qui devrait ètre, qui fait l'objet de ce
Traitè" e dopo avere esattamente definito "il diritto penale
o diritto criminale positivo come l'insieme delle leggi stabilite e
promulgate secondo le forme costituzionali di ciascuno Stato che regolano
l'esercizio del potere di punire" (pag. 4), osserva (n. 2, p. 5 e 6):
"L'infraction et la peine ce sont là les deux objets correlatifs de
la science criminelle. Mais suivant la manière dont elle les ètudie, cette
science se divise eu deux branches: le droit criminel et la sociologie
criminelle. Dans le droit criminel le crime et la peine sont considerès comme
des phènomènes juridiques c'est a dire au point de rue des rapports des
hommes entre eu et pout regler (?) les droits et les obligations qui
naissent de ces rapports... (meglio si direbbe che nascono dalle norme che
regolano questi rapporti). Dans la sociologie criminelle, l'objectif change:
le crime est etudiè à la fois comme phènomène biologique (ciò che
veramente a noi sembra appartenere, invece, alla antropologia criminale) et
comme phènomène social...".
(27) Secondo il Civoli, Lezioni di diritto penale,
Parte I, Torino 1895, p.14, "considerando il delitto sotto un punto di
vista naturalista esso apparisce come la risultanza di un complesso di cause
che si riscontrano o nell'individuo, che ha commesso il delitto, o
nell'ambiente, nel quale egli vive" e "si vengono quindi ad avere
discipline della biologia e della sociologia criminale".
"Considerando il delitto come un pericolo per la società si ravvisa in
esso un male da combattere e si è portati, quindi, a ricercare i rimedi che
più efficacemente possono adoperarsi contro di esso. Si viene così ad avere
la politica criminale, la quale suggerisce al legislatore i mezzi
penali pii, acconci a allontanare dal reato coloro che ancora non hanno
trasgredito la legge e a distogliere da ulteriori delitti quelli che già ne
abbiano commessi". "Considerando il delitto un fatto contrario alle
regole giuridiche, dal quale nasce a favore dello Stato il diritto di
assoggettarne a pena l'autore si viene finalmente ad avere in scienza del
diritto penale nel senso ristretto e preciso della parola". (Sul
compito della quale vedasi, dello stesso autore, lo scritto: Indirizzo a
darsi all'insegnamento del diritto penale nella Rivista penale, vol. XLIV (anno
1899), pag. 96 e seg.). Nel suo recente Manuale di diritto penale,
Milano, Soc. Ed. Libraria, 1907, il Civoli, fedele a questa concezione del
compito della scienza penale, come scienza giuridica, dichiara (p. 1165) di
"essersi costantemente studiato di risalire dalle disposizioni specifiche
della legge al sistema giuridico del quale ognuna fa parte e che è costituito
dalla loro armonica concatenazione".
(28) Secondo il Manzini, Trattato di diritto penale,
vol. 1, Torino 1908, pag. 2. "La concezione positiva del diritto penale...considera
questo come un sistema di norme che si forma e opera esclusivamente
nell'ambiente dello Stato..." e "la dottrina dei delitti e delle
pene, come scienza giuridica, non può varcare i limiti entro cui si
formano e si attuano quelle norme di diritto di cui essa determina il
contenuto deduce le conseguenze ed addita le riforme". (V. anche cap.
III, p. 45 e seg. n. 41 e seg.). Il diritto penale, così concepito, è
naturale che la scienza che lo studia, cioè la scienza del diritto penale si
distingua, per lui, dalla filosofia del diritto (e quindi anche dalla filosofia
del diritto penale) che egli, come filosofia trascendentale e aprioristica
avente per oggetto un diritto naturale o razionale o ideale, non ammette e in
ogni modo vuole sempre separata dalla scienza del diritto penale (§ 2, p. 3-6
e p. 48 nota I). Si distingue anche dalla antropologia e psicologia
criminale (§ 3, p. 6-9), dalla sociologia criminale (§ 4, p.
D-12) e (ciò non si comprendo bene dato il compito della riforma assegnato
alla scienza del diritto penale) dalla politica criminale (§ 7, p.
22-26).
(29) Pessina, Programma della Enciclopedia di
diritto penale, da lui diretta, Milano, 1901: "Opera utilissima, anzi
indispensabile a mantenere in vigore la scienza positiva del diritto
che serve all'attuazione pratica di esso, è il tener fermo lo sguardo all'istituto
della punizione del delitto, considerato come un organismo puramente
giuridico, mettendo da parte le investigazioni meramente dottrinali (cioè
si vuol dire qui filosofiche) così di coloro che hanno ancor viva la
fede nelle speculazioni metafisiche sull'ordine morale del mondo come di
quelli che alla vecchia metafisica contrappongono un cumulo di ricerche
biologiche e sociologiche le quali in sostanza sono fondate sulla metafisica
del materialismo e sulla concezione meccanica dell'universo". Il Pessina,
del resto, nei suoi Elementi di diritto penale, vol. I, Napoli 1882,
pur ammettendo a torto la esistenza di un diritto penale ideale, come
oggetto della filosofia del diritto penale (§ 3, pag. 7 e § 7 pag.
9), distingueva nettamente da essa, come anche dalla politica criminale
(§ 8, p. 10), la scienza del diritto penale positivo:
"L'applicazione della scienza (intendi: filosofia) del diritto
penale all'arte del jus conditum dicere ingenera - egli diceva - quella
disciplina che piglia il nome di Scienza del diritto penale positivo"
la quale - secondo la esatta concezione dell'A. - "solleva l'esegesi del
diritto positivo dall'umile condizione di una glossa e di una empirica
interpretazione al grado di una cognizione scientifica, si
costruendo in un sistema di pronunciati logicamente annodati le istruzioni di
un dato popolo e si rischiarandolo col duplice lume dei risultamenti delle
indagini filosofiche e di quelli delle indagini storiche".
(30) Oltre gli autori sin qui rammentati, altri ve ne sono
in Italia, fra i più moderni e autorevoli, che in parte si accordano, e in
maggior parte discordano, dalla concezione, enunciata nel testo, intorno al
compito della scienza del diritto penale, come scienza giuridica. Così il
Lucchini, Le droit pènal et les nouvelles thèories, Paris 1892, pag.
69 mentre osserva esattamente e fra i primi in Italia essere "erronea
l'asserzione che il diritto in generale, e tanto più il diritto penale,
faccia parte della sociologia" giacchè, secondo egli giustamente dice
"il diritto rappresenta un prodotto della società, ma ha un posto e una
forma di evoluzione ulteriore e speciale che lo mette fuori dello studio del
semplice organismo sociale" (v. anche p. 390 -393), sembra, dall'altra
parte, contrariamente a quel che noi facciamo, assegnare alla scienza del
diritto penale una funzione, almeno principalmente, filosofica e
speculativa, o, più precisamente, normativa e deontologica non già
sistematicamente espositiva e descrittiva (v. p. 68: "...son
domaine (de la sociologic comprend simplement la description et l'exposition,
et non pas la speculation": pag. 59: "Les ètudes...qui touchent aux
regles du magistère penal, si l'on se place au point de vue philosophique
et speculatif, visent a quelque chose d'essentellement different (che non
sia "de decrive et d'esposer" ce qui est dans la nature: elles
s'efforcent d'induire ou de deduire et d'expliquer ce qui doit ètre".
Così l'Impallomeni, Istituzioni di diritto penale, Torino 1903,
accanto a una scienza del diritto penale, che egli chiama ???
[illeggibile nell'originale] e che è "l'esposizione sistematica dei
principi che regolano il diritto penale di uno stato determinato"
(p. 2) (cioè a dire per quanto ci riguarda la scienza del diritto penale positivo
italiano vigente) ammette l'esistenza di una "scienza astratta del
diritto penale" cioè la storia del diritto penale e il diritto
penale comparato a cui noi riconosciamo importanza di trattazioni autonome non
solo ma anche quella di mezzi ausiliari così della conoscenza
scientifica del diritto positivo penale italiano vigente che della filosofia
del diritto penale e della politica criminale). Riconosce poi
"oltre una dottrina puramente descrittiva" l'esistenza di una
"dottrina etica e speculativa del diritto penale, la quale intende alla
critica e alla riforma della legislazione penale" (p. 4) e che non è
altro che quella che noi chiamiamo filosofia del diritto penale,
concepita da noi, come dall'Impallomeni, non come scienza di un problematico
diritto naturale o razionale o ideale, cioè come
filosofia aprioritica e trascendentale § 1 p. 3-5), ma, invece,
come una filosofia positiva o realistica del diritto penale
(vedi anche: Fondamento scientifico del diritto penale negli Studi per
Carrara, Lucca 1899, p. 176 e 177 nota 1). Sotto qualunque di questi tre
aspetti scienza del diritto penale positivo nazionale, scienza del diritto
penale storico e comparato, filosofia del diritto penale) quella che lo
Impallomeni, troppo comprensivamente, chiama scienza (astratta, concreta,
etica e speculativa del diritto penale si distingue poi per lui dalla politica
criminale scienza da lui concepita in un modo tutto diverso dal nostro (v.
oltre nota 48) e che non sembra approvabile (§ 4, p. 7-12). E si distinguono
pure dalle scienze ausiliarie. Tra le quali egli pone una così detta e
inammissibile psico-fisio-patologia e l'antropologia criminale)
nonchè la filosofia generale del diritto (che non si comprende come si
distingua dalla dottrina etica e speculativa del diritto penale) e la sociologia
generale. Non però la sociologia criminale, che, come tale, cioè come
particolare scienza sociale, egli sembra non distinguere dalla scienza del
diritto penale (p. 29 nota 4) e neppure dalla sociologia generale (§ 5, p.
13-29): ciò che, non occorre dirlo, non ci sembra esatto. Non diverso da
quello che l'Impallomeni sembra essere il pensiero antecedentemente
manifestato dal Carnevale il quale pur, come noi, negando (e forse anzi perchè
nega) l'esistenza di un altro diritto penale, che non sia il diritto
positivo, non distingue tuttavia dalla scienza del diritto criminale
positivo, la filosofia del diritto criminale: e nemmeno distinguere
da esse la sociologia criminale (e tanto meno la politica criminale). Queste
scienze non sembrano essere dunque per il chiaro Autore se non tre particolari
direzioni (giuridica, filosofica e sociologica) della scienza del diritto
criminale (ciò che a noi non pare a dir vero esatto). La quale scienza
giuridica penale tuttavia come particolare scienza sociale (io direi
anche giuridica) è per lui distinta dalla sociologia generale.
Sociologia che poi a sua volta è, per l'Autore, rigorosamente distinta dalla biologia.
(Carnevale, Il naturalismo nel diritto criminale nella Giustizia
Penale, volume II (1896), fascicoli 521; La filosofia penale negli
Studi per Carrara, Lucca 1899, p. 59-75; v. anche: Ragione del diritto
di punire nella Rivista Penale, volume LXV, fascicolo 2, num. 3).
Da questa via non si allontana molto un altro valente scrittore, l'Alimena, il
quale pur distinguendo la scienza del diritto penale, cui appartiene lo
studio giuridico del delitto, dalla sociologia criminale, cui
appartiene lo studio sociale e naturale (anche naturale?) di
esso (e che quindi per lui comprende in sè non esattamente l'antropologia
criminale) fa poi rientrare nella scienza del diritto penale tre ricerche:
la ricerca della nozione teorica del delitto e della pena, indipendentemente
(?) da ogni legislazione positiva (la quale non può essere se non
una indagine di filosofia del diritto penale); la ricerca della loro nozione
storica e comparativa (che per noi è data dalla storia del diritto
penale e della scienza del diritto penale comparato come
trattazioni autonome e anche come mezzi di studio del diritto penale
positivo); la ricerca della loro nozione nella legislazione positiva italiana
(che per noi è compito della scienza del diritto positivo penale, ma
non si arresta, tuttavia, alla mera esegesi del testo legislativo). (Alimena, Lo
studio del diritto penale mette condizioni presenti del sapere nella Rivista
di diritto penale e di sociologia criminale, anno I (1900), p. 181-216: e
di nuovo discutendo i nostri concetti (ma non senza qualche modificazione di
idee relativamente alla prima disconosciuta ed ora ammessa) indagine dogmatica
nel campo del diritto penale, nei Principii di diritto penale, vol. I,
Napoli 1910, Prefazione, p. XV-XIX e Introduzione, cap. 1°, p. 13-18 e
nell'articolo: Le esigenze del diritto penale e le tendenze dei penalisti in
questa Rivista, anno I (1910), fasc. 3, p. 129-142). Quanto alla "politica
criminale" l'Alimena sembra distinguerla dal diritto penale, ma la
concepisce, in contraddizione col suo stesso nome, come "una
disciplina giuridica" (Principii di diritto penale, p. 16). Il
Tuozzi, invece (Enrico Ferri e la sociologia criminale, Estratto dal Foro
Penale, Roma 1892) ritiene esattamente che "esistano con indipendenza
le scienze del diritto criminale, della sociologia criminale e della
antropologia criminale aventi tra loro rapporti di correlazione e di affinità
per l'identità dell'obietto preso a studiare" (p. 4) e precisamente
afferma che "l'antropologia criminale è una scienza naturale, la
sociologia criminale una scienza sociale, il diritto criminale una scienza
giuridica, pur convergendo il loro esame da questi tre punti diversi su un
univo argomento, il crimine, il quale si presenta effettivamente come un
fenomeno naturale, sociale e giuridico" (p. 5). Ugualmente egli distingue
la scienza del diritto penale dalla politica criminale (Lo
stato presente della scienza penale, nel volume per Carrara, Lucca 1899, a
pag. 365), ma non riesce a limitarla dalla filosofia del diritto penale.
Chè anzi per quanto riguarda quest'ultima il Tuozzi sembra ammettere, anche
egli, l'esistenza di un "diritto astratto" di "principii
di ragione", diversi dai principi di diritto positivo e come fonte a
cui deve attingere la scienza stessa del diritto penale positivo (Corso di
diritto penale, Napoli 1899 (2ª ed. e 3ª ed. 1907), § 11, p. 3).
(31) Così: Ferri, Sociologia criminale, 4ª ed.,
Torino, 1900, p. 921-929 (vedi però le restrizioni a p. 925 in fine, dove la sociologia
criminale è distinta, almeno, dalla antropologia criminale, non
però ad ogni modo dalla scienza del diritto penale nè dalla filosofia del
diritto penale e nemmeno dalla politica criminale (p. 926 e 928).
(32) Secondo il nostro concetto, la antropologia (o
biologia) criminale è una particolare scienza antropologica distinta,
come tale, dalla antropologia generale, e si divide in somatologia (anatomia
o fisiologia) criminale o psicologia criminale. Da
essa si distingue la sociologia criminale che è una particolare
scienza sociale, come tale, distinta anche dalla sociologia generale.
Mentre l'antropologia criminale studia il delitto come fenomeno
puramente naturale, studia, cioè, per dir meglio, il delinquente
sotto l'aspetto organico (anatomico e fisiologico) e psichico, la
sociologia criminale studia il delitto o la pena come fenomeni
puramente sociali e comprende pertanto in sè tanto la teoria sociale del
delitto (criminologia), che la teoria sociale della pena (c. d. penalogia).
Sui vari concetti della sociologia criminale, di veda, di recente:
Puglia, La sociologia criminale nella Rivista di diritto penale e
sociologia criminale, vol. I, (1900), p. 285-293 (dove la sociologia
criminale è esattamente definita (n. 12, p. 292) "la scienza che
studia la delinquenza come semplice fenomeno sociale").
(33) La necessità, da noi anche altrove proclamata, di
tener distinta anche nel campo del diritto penale l'indagine filosofica
da quella strettamente tecnico - giuridica (Sul concetto del diritto
subiettivo di punire, Prato, 1904, p. 3), da principio oppugnata (vedi
retro, nota 28), fu riconosciuta di recente altresì dal Manzini, Trattato
di diritto penale, vol. I, Torino, 1908 (§ 2, p. 3-6 e 48, nota 1).
Anteriormente, del resto, già aveva osservato, non senza però qualche
imprecisione, il Puglia, Necessità di un rinnovamento degli studi
filosofici del diritto penale, estratto dagli Studi in onore del
Pessina, Napoli, 1899, p. 10: "...nel passato la filosofia del
diritto penale non costituì obietto principale di studio dei filosofi
del diritto i quali sempre dedicarono la loro attività a dare ampio
svolgimento alle dottrine relative al diritto privato o al
diritto in generale e per questo motivo fu più opera dei criminalisti
che dei filosofi del diritto la esposizione dei principii fondamentali
della scienza del diritto di reprimere, la critica delle dottrine filosofiche
inesatte, la determinazione dei limiti entro i quali la società deve
esercitare quel diritto, dei caratteri che la punizione deve avere,
ecc.". "Ma appunto per questa non razionale divisione di lavoro
fra criminalisti e filosofi del diritto è avvenuto che nel sistema
filosofico del diritto non tutte le parti costituenti hanno avuto un
proporzionato sviluppo; nè una vera coordinazione ed, integrazione
scientifica fra i principi fondamentali delle diverse manifestazioni della vita
giuridica è stata possibile". Recentemente poi (ciò che è ben
sintomatico) faceva adesione a questo punto di vista un giovane e valente
filosofo del diritto, il Rava, I compiti della filosofia rispetto al
diritto, Roma, 1907: "Noi giudichiamo - egli osservava - lo stesso
diritto e diciamo questa legge è ingiusta: questa consuetudine è ingiusta...Tali
dubbi non agitano il cultore di singole discipline giuridiche, come tale. Il
civilista non si domanda perchè chi ha promesso deve pagare nè il penalista
si chiede perchè si punisce" (p. 8). E in nota (nota 3, p. 28): "Si
noti bene che qui si parla del cultore di singole discipline giuridiche come
tale. Vale a dire nulla impedisce che un civilista discuta sul fondamento
dell'obbligazione o un penalista sul fondamento della pena: solo che quando
essi fan ciò, non fanno della scienza, ma della filosofia del
diritto. Queste incursioni di scienziati del diritto nella filosofia
giuridica sono tanto più frequenti, quanto meno la disciplina giuridica da
essi professata è costituita in saldo organismo scientifico (si pensi quanto
più frequenti esse sono per il diritto pubblico che non per il diritto
privato); e ciò si spiega, sia perchè per talune scienze giuridiche se ci si
limitasse a dire ciò che in esse vi è di veramente scientifico ci sarebbe da
dire ben poco (per esempio, per il diritto costituzionale) sia perchè è una
delle missioni storiche della filosofia, da noi altrove studiata, quella di
tener come in amministrazione provvisoria (secondo, aggiungiamo noi, ebbe
autorevolmente a rilevare anche il Wenot) certi campi del sapere ancora poco
solidamente organizzati a sistema. Naturalmente si manifestano, in tutti
questi casi, tutti gli inconvenienti delle amministrazioni provvisorie".
(Vedi anche il lavoro dello steso autore: La classificazione delle scienze
e le discipline sociali, Roma, 1904, cap. VII). Sulla distinzione, come
sui rapporti, fra le singole scienze giuridiche speciali, come tali, (diritto
civile, penale, amministrativo, etc.) e la filosofia del diritto, vedi del
resto, da un punto di vista generale: Filomusi - Guelfi, Enciclopedia
giuridica, Napoli, 1904, § 37, p. 122-123; Vanni, Filosofia del
diritto, Bologna, 1904, p. 22 e seg.; Bierling, Juristische Principmenlehre,
vol. I, 1898, p. 12 e segg.
(34) Che lo studio del diritto penale positivo vigente
porti con sè naturalmente anche la considerazione delle necessità sociali
e delle esigenze politiche di cui esso è l'attuazione e che in esse sono
contenute, e che, da questo punto di vista, la scienza del diritto penale
positivo abbia bisogno dei sussidi della filosofia del diritto penale e della
politica criminale non può, per noi, revocarsi in dubbio. Ma con ciò resta
sempre vero ciò che diceva il Liszt, cioè che "il diritto penale è la
barriera oltre la quale non può passare la politica criminale", s'intende,
però, come scienza o arte della legislazione avvenire.
(35) Vanni, Il diritto nella totalità dei suoi rapporti
e la ricerca oggettiva, Prolusione al corso di filosofia sul diritto,
letta nella R. Università di Roma, l'11 gennaio 1900 (nella Rivista
Italiana di sociologia, anno IV, fasc. 1° gennaio-febbraio 1900). Roma,
1900, p. 30.
(36) S'intende che qui si parla dei limiti della
scienza del diritto penale, come tale, nel sistema delle scienze
criminologiche. Nè con questi son da confondere i confini della cultura
necessaria al penalista.
(37) Lo Jhering, Geist des rümiscen Rochts (trad. franc.
Di O. Meulenaere, Parigi, 1877-78, vol. III, pag. 5 e segg., commentando la
sentenza di Seneca: "Semina nobis scientiaie natura dedit, scientiam
non dedit", diceva: "L'arte la più umile ha la sua tecnica la
quale non è che il deposito accumulato e divenuto obiettivo della sana
ragione umana, ma che nondimeno non può essere applicata e giudicata se non
da coltri che si dà la pena di studiarla").
(38) Questa identità fra i vari rami del diritto e i vari
rapporti giuridici, in quanto tali, è appunto quella che permette la formazione
di una teoria generale del diritto. La salda e ormai sicuramente costituita
organizzazione della quale, in Germania non solo, ma anche in Italia, smentisce
col fatto e toglie valore alle obiezioni che contro la sua possibile e sicura
esistenza sono state anche di recente formulate dall'Alimena (in questa Rivista,
I, p. 130). Il che non toglie che io possa convenire nelle necessità di evitare
generalizzazioni affrettate dei concetti giuridici e affrettate analogie da un
ramo all'altro del diritto senza tener conto delle debite differenze che
naturalmente intercedono fra i vari diritti e i vari istituti e rapporti
giuridici da essi creati.
(39) Sull'esegesi e sul sistema, come forme
diverse dell'attività scientifica sul diritto vigente (scienza del diritto
positivo) si veda: Merkel, Juristische encyclopaedie, Berlin, 1904, 3ª
ed., §§ 357 e segg.; Filomusi-Guelgi, Enciclopedia giuridica, Napoli.
1904, §§ 34 e 35 (v. anche § 38) quali sembrano più intransigentemente
escludere dalle indagini proprie della scienza del diritto positivo la critica,
in qualunque forma, del diritto vigente: Rocco (Alfredo), L'interpretazione
delle leggi processuali, nell'Archivio giuridico, vol. LXXVII, Roma,
1906, estratto capi 3° e 4°.
(40) Su la differenza fra interpretazione estensiva
e analogica si veda, tra gli altri, Filomusi-Guelgi, Enciclopedia
giuridica, Napoli, 1904, § 38, p. 141.
(41) Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del
diritto pubblico, nell'Archivio Giuridico, vol. XLII
(1889), p. 191.
(42) Scialoja, Del diritto positivo e della equità,
Discorso inaugurale, Camerino, Savini, 1880, p. 24. Sull'indagine dei
principii (o concetti) fondamentali del diritto positivo ecco quel che
magistralmente dice il Windscheid, Trattato delle Pandette, trad. Fadda e
Bensa, Torino, 1902, vol. I, § 24, p. 74 e 75: " ... Il pensiero proprio
della norma giuridica ci rappresenta un concetto, ossia un aggregato di
elementi del pensiero: si tratta di risolvere i concetti nelle loro parti
costitutive, di indicare gli elementi del pensiero in essi contenuti, in
questa operazione si può andare più o meno avanti, poichè gli elementi
trovati possono alla lor volta presentarsi come riunioni di altri elementi più
semplici e così via... Il ricondurre un rapporto di diritto ai concetti sui
quali si fonda si dice costruzione dello stesso". Questa indagine dei
concetti fondamentali del diritto, è quella stessa che lo Jhering, il
campione della giurisprudenza costruttrice, chiamò (Geist d. röm. Rechts,
trad. franc. vol. III, pag. 26). "ricerca degli elementi semplici del
diritto" e la cui tecnica corrispondente disse "chimica del
diritto". Su di essa vedasi, tra noi, anche: Simoncelli, Le
presenti difficoltà della scienza del diritto civile, Camerino, 1890, p.
13-23, dove proclama la necessità di una "determinazione dei concetti
in base...alla loro posizione logica di fronte a tutto il sistema"
(p. 17), e afferma che questo accertamento dei principi fondamentali della
legge non può esser compito della filosofia del diritto. Sibbene della
scienza giuridica (p. 21): e su di esso, sostanzialmente non discorde:
Polacco, Sulla interpretazione della legge, estratto dal Monitore
dei Tribunali del 1890, p. 3-S. Valga a dar l'idea della ricerca dommatica
dei concetti giuridici fondamentali nel campo del diritto penale il seguente
esempio: il furto è un reato mediante il quale taluno si impossessa della
cosa mobile altrui per trarne profitto senza il consenso di colui a cui
appartiene (art. 402 c.p.). Reato il torto giuridico che produce la
conseguenza giuridica di una pena. Torto giuridico (o fatto illecito) è una
azione umana imputabile (per dolo o colpa) giuridicamente illecita e dannosa.
Che è "azione"? Che è "imputabilità"? Che
è "dolo e colpa"? Che è "illiceità giuridica"?
Che è "danno"? E inoltre: che è "pena"?
Che è "conseguenza giuridica"? E infine: che è "cosa"?
Che è "cosa mobile"? Che è "cosa altrui"?
Che è "impossessamento"? E che è "possesso"?
Che è "profitto"? Che è "consenso"? In che
consiste l'"appartenenza della cosa"? E via dicendo.
(43) Anche il Civoli, Manuale di diritto penale, 2ª
ed., Milano, 1907, n. 4, p. 3-7, pur negando, a differenza di noi, la incondizionata
ammissibilità della interpretazione estensiva e correttiva
in materia penale (che vuol riservate soltanto ai casi di disposizioni
favorevoli all'imputato) non si perita tuttavia di ammettere entro certi
limiti e cioè in quanto si tratti appunto di un favor libertatis,
l'uso dell'analogia e dei principi generali del diritto (positivo)
nell'interpretazione delle leggi penali. E trova anzi il "bisogno di
insistere perchè le questioni penali che non si possono decidere in base alla
legge nè ricorrendo all'analogia, si risolvano con regole desunte dalla
conoscenza della legislazione positiva e dalla coordinazione metodica e
scientifica delle varie disposizioni che la costituiscono..." (Manuale,
1ª ed., Milano, 1900 (non più nella 2ª ed.), n. 4, p. 14). Se e fino a che
punto sia possibile, mediante l'uso della analogia e dei principii generali
di diritto attuare in materia penale la così detta interpretazione
progressiva, cioè quella interpretazione che cerca di adattare la legge
alle sempre mutevoli esigenze sociali, è questione di cui non intendo qui
occuparmi: vedi per essa, in senso giustamente affermativo: Binding, Handbuch
des deutschen Strafrechts, Leipzig, 1835, Bd. I, p. 454 e segg.
(44) Osserva, a questo proposito, con grande precisione il
Windscheid, Trattato delle Pandette, § 24, p. 74: "Dalla
intelligenza completa del contenuto dei concetti compresi nelle norme
giuridiche, dipende, non solo la piena intelligenza del diritto, ma
anche la scienza della sua applicazione. Sotto questo ultimo rapporto si
noti quanto segue: la specie di un caso da decidere corrisponde assai
raramente alla specie di una sola norma giuridica. Di regola le diverse parti
della specie si schierano sotto norme giuridiche diverse. Gli effetti
giuridici che queste norme stabiliscono si determinano e si incrociano; la
decisione finale è il risultato di un computo, i fattori del quale sono i
concetti giuridici: il compito, naturalmente, darà un risultato tanto più
sicuro quanto più il valore dei fattori è certo. è palmare ad un tempo che
il vero sistema dei diritto, l'ultima omogeneità delle sue norme può solo
emergere da una piena comprensione dei concetti giuridici". E non
diversamente il Bekker, System des heutigen Pandektenrechts, Weimar, 1889,
vol. II, Prefazione, osserva che la determinazione dei concetti è il
primo bisogno così dell'applicazione che della scienza del diritto;
e afferma che si può stimare il valore di un diritto secondo la fissità dei
concetti con cui funziona".
(45) Ecco il bellissimo passo di Jhering, Geist des
rümischen Rechts, trad. franc., vol. III, p. 74 e 75: "La pratica ci
fornisce ogni giorno delle questioni ed aumenta così indirettamente le nostre
conoscenze; ma le questioni della pratica non sono sempre le più istruttive.
Una questione spoglia di ogni interesse pratico, ma che afferra per così dire
corpo a corpo l'istituto nella sua radice, può essere, per la conoscenza
esatta di questo istituto infinitamente più importante delle questioni può
dare la chiave di tutta una serie di questioni pratiche che si cerca vanamente
di chiarire in modo indiretto. Le scienze naturali ottengono le scoperte più
feconde per la vita occupandosi di questioni e di ricerche che non
promettevano punto una ricca messe per la pratica. Più esse si isolano
dalla vita e meglio la servono. Spesso è ben lo stesso per la
giurisprudenza. Essa fa alle volte le sue più belle scoperte nelle regioni
completamente estranee alla pratica. Se i giuristi romani non ci avessero
appreso che questo, che la giurisprudenza, per essere pratica, non
deve limitarsi solo alle questioni pratiche, la proclamazione di questa
sola dottrina dovrebbe assicurare ancor loro, la nostra eterna
riconoscenza".
(46) Vedasi su questo punto il mio lavoro: Sul così
detto carattere sanzionatorio del diritto penale, Estratto dalla Giurisprudenza
Italiana, vol. LXII, Torino, 1910 (p. 75)
(47) Sulla nozione del bene e dell'interesse nel campo
del diritto penale, vedi il mio scritto: I concetti di bene e di interesse nel
diritto penale e nella teoria generale del diritto, nella Rivista Italiana per
le scienze giuridiche, volume XLVII, a. 1910, fasc. I-II, Estratto, Torino,
1910 (p. 8-32). E sul concetto del reato come torto giuridico (azione umana,
imputabile, illecita e dannosa) produttivo della particolare conseguenza
giuridica della pena a causa appunto della sua pericolosità sociale, vedasi
il mio lavoro: Il danno e il pericolo sociale risultante dal reato nell'Archivio
giuridico, anno 1909, vol. LXXXIII, 1, Estratto, Pisa, 1909, specialm. n. 16,
p. 53).
(48) Anche l'Ortolan, èlements
de droit penal, Paris, 1863, pur ritenendo a torto che il diritto penale
abbia un carattere meramente secondario o sanzionatorio di fronte alle altre
norme giuridiche (n. 21, p. 9) giustamente osserva: "...le droit penal se
lie 8 toutes les divisions du droit et ... le jurisconsulte veritablemont
versè dans la connaissance du droit penal doit l'être aussi dans celle de
toutes les branches du droit" (n. 22, p. 9). E così pure il Binding, per
quanto (e anche perchè) influenzato dalla sua preconcetta "teoria delle
Norme" osserva in gran parte esattamente (Handbuch d. deutschen
Straftrechts, Leipzig, 1885, Bd. 1, § 2, p. 9): "Die Rechtsgüter
und Rechte zu deren Sohutz Normen und Strafgesetze bestimmt sind liegen auf
allen Rechtsgebieten zerstreut. So steuern diese alle ihren Beitrag zur
Bildung der Delikts-und Verbrechensbegriffe und alle Merkmale der
Verbrechens-Tatbestände die dem Privatrecht oder dem Staatsrecht, dem
Völkerrecht oder dem Prozesse-angehören, bilden ebenso viele Briichen
zwichen dem Strafrecht und diesen Rechtsteilen. Das Strafrecht darf nioht
isolirt betrachtet, muss vielmehr in sienem lebendigen Zusammenhang mit allem
übrigen Recht, es muss als Glied des ganzen positiven Rechtssystem gesohaut
werden".
(49) Per il tentativo di una teoria dei diritti
subiettivi in materia penale e dei rapporti di diritto penale sostanziale e
processuale. Si veda già la mia Riparazione alle vittime degli errori
giudiziari (1ª ed., Torino 1902), 2ª ed., Napoli 1905, n. 43 e 44, p.
96-104 e inoltre (ma con riguardo al solo rapporto giuridico penale e non al
rapporto processuale penale), il mio scritto: Sul concetto del diritto
subiettivo di punire, Prato 1904 (negli studi per Scialoja). Questo
tentativo a cui in generalmente riconosciuto in Italia il merito della
priorità (Lucchini, nella Rivista penale, vol. LXVII, p. 558 ;
Grispigni, Recensione al Trattato del Manzini nella Scuola Positiva,
anno 1908, n. 3-4; Alimena in questa Rivista, I, p. 131), non ostante
le critiche di cui è stato oggetto (cfr. di recente: Manzini, Trattato di
diritto penale italiano, vol. I, Torino 1908, cap. III, n. 45-50 ;
Lanza (V.), Diritto penale italiano, vol. I, Torino 1908, nn. 7, 32,
34, 37-39), va raccogliendo sempre più il favore degli scrittori (cfr. lo
stesso Manzini, Dei limiti della difesa nell'istruttoria penale secondo
la dottrina dei diritti pubblici soggettivi, Relazione per il Congresso
giuridico di Milano, Milano 1906 e negli Atti del Congresso p. 192,
Milano 1907; Relazione sul progetto del codice di procedura penale dell'on.
Finocchiaro-Aprile presentato alla Camera dei Deputati nel gennaio 1906, passim;
Massari, Il processo penale nel Filangieri, 1906, p. 242; Gismondi, La
volontà dello Stato e dei privati nel diritto di punire, Introduzione,
in Giustizia penale (1906), col. 1257; LONGHI, La legittimità della
resistenza agli atti della autorità nel diritto penale, Milano 1907, n.
18, p. 42; De Mauro (G. B.) Il diritto subiettivo di punire con prefazione di
Alimena, Napoli 1908; Grispigni, nelle Recensioni al Lanza, (V.) e al De
Mauro (G. B.) nella Scuola Positiva, anno XVII (1908), p. 666, anno
XIX (1909), p. 442 e da ultimo: Alimena, Principii di diritto penale,
Napoli 1910, p. 108-113; Le esigenze del diritto penale e le tendenze dei
penalisti in questa Rivista, a. I (1910), p. 131-133) e penetra
altresì nella giurisprudenza. Il valore pratico e non soltanto sistematico
(come ritiene l'Alimena) di questa dottrina è provato dall'aiuto che essa
fornisce nella risoluzione di una quantità di questioni pratiche che si
presentano nella interpretazione delle nostre leggi (vedine, ad es., di
recente l'applicazione a una questione esegetica nel mio lavoro:Riabilitazione
e condanna condizionale nella Giustizia Penale, anno XIII (1907),
fasc. 45, Prato 1907, Estratto di p. 23).
(50) "Eine gesunde dogmatische Behandlung des geltende
Strafrechts - dice benissimo il Binding, (Handbuch des deutschen Strafrechts,
Leipzig 1835, Bd. I, Vorrede p. VIII) - blieb aber un nöglich, wurden nicht
Verbrechen und Strafe der Solbstherrlichkeit outkleidet, womit bisher beide in
den theoretischen Werken einhergeschritten waren. Des Verbrechen musste als
Tatbestand, der das Strafrecht erzeugt, die Strafe als Objekt dieses
Strafrechts gefasst werden - mit anderen Worten; es galt dem subjektiven
Recht auch in der Strafrechtwissenschalt den Platz wieder einzuräumeu, der
ihm gebührt. Und da zwar nicht alle menschlichen Rechts ans dem einen
göttlichen fliessen wie Heraklit sagt, wohl aber alle subjektiven Rechte aus
den Rechtssätzen, so galt es nuch fär uns des Recht und die Rechte in der
engen Beziehung zu sehen, in der beide steheu müssen". Che la teoria del
diritto subiettivo penale e del rapporto giuridico penale (a
cui, si noti, è strettamente legata come conseguenza, quella della personalità
o capacità di subiettività giuridica penale) non sia dopo il Binding
rimasta "sterile" come ritengono il Manzini e l'Alimena, è
dimostrato dal fatto che essa va raccogliendo oggidì in Germania sempre nuovi
fautori i quali ne formano il fulcro delle loro trattazioni sistematiche del
diritto penale (Finger, Lehrbuch des deutschen Strafrechts, Berlin
1904, Bd. I, specialm. §§ 1, 17, 34; Beling, Grundzüge des Strafrechts,
Tübingen, 1905 specialm. § 2 e § 15). E poichè essa è la pietra
angolare per la costruzione scientifica di tutto l'edificio della così
detta parte generale del diritto penale è ben naturale che il suo
completo sviluppo possa - come io già dissi con ingiustificata meraviglia
altrui - convenientemente essere dato soltanto mediante una larga e
voluminosa trattazione cioè, appunto, mediante l'esposizione di tutte le
teorie generali del diritto penale, che ad essa si riconnettono, come parti di
una organica e unitaria costruzione dogmatica.
(51) α) Che la
politica criminale - come parte della politica in generale - sia al pari
di questa (cfr. Holtzendorff, Ucber das Verbachmiss des Rechts zur Politih,
2ª Aufl. 1876, p. 89 e seg. 1876, p. 89 e seg.) la scienza o l'arte
(su ciò non si vuol qui discutere) della legislazione epperò riguardi il giudizio,
la critica e la riforma del diritto vigente è tradizionale e
concorde insegnamento della scienza, non soltanto straniera, ma anche italiana
(cfr. tra i tedeschi: Feuerbach, Lehrbuch des gemeinen in
Deutschland gultigen peinlchen Rechts, Giessen 1847, § 6, pag. 23 e nota
4 e 5 del Mittermayer (nello stesso senso): Henke, Handbuch des
Kriminalrechts und der Kriminalpolitik, Berlin 1823, Bd. I. § 29 e 31 e
gli autori ivi citati; Heffter, Lehrbuch des gemeinen deutschen Strafrechts,
4ª Aufl. Braunnschweig, 1857, § 1, p. 1-2 ; Geyer, Grundriss iber
gemeines deutsches Strafrecht, München 1884, p. 65; Meyer (H), Lehrbuch
des deutschen Strafrechts, 6ª Ed. von Allfeld, Leipzig 1907, § 6, p. 40
sub e): Beling, Grundzuge des Strafrechts, Tübingen, 1905, § 9, p. 13
sub. 3; Liszt, Lehrbuch des deutschen Berlin 1908, § 1, pag. 2 sub.
II; Wargha, Die Abschaffung der Strafknechtschaft, Graz 1906, I, cap.
II; Thomsen, Das deutsche Strafrecht, Berlin 1906, vol. I, § 3, p. 35;
tra noi: Pessina, Elementi di diritto penale, vol. I, Napoli 1882, §
8, p. 10; Civoli, Lezioni di diritto penale, vol. I, Torino 1895, p. 4
(alquanto diversamente alla nota 1); Napodano, Il diritto penale italiano,
Napoli 1895, § 3, p. 7; Manzini, Trattato di diritto penale, vol. I,
Torino 1908, n. 25, p. 26; Brusa, Prolegomenos de derecho penal, Madrid
1897, n. 2, p. 12 (vedi però in altro senso: n. 5, 9, 10). Questo compito di
critica e di riforma la politica criminale come tale esercita non soltanto di
fronte al diritto penale (o diritto criminale repressivo), ma
altresì di fronte a quello che potrebbe dirsi diritto criminale preventivo
(cioè a quella parte del diritto amministrativo che riguarda la prevenzione
diretta della delinquenza) e al diritto penitenziario (cioè a
quella parte del diritto amministrativo che regola l'amministrazione
carceraria o penitenziaria (diritto amministrativo carcerario) e in
genere di fronte a tutte quelle parti del diritto che riguardano la
repressione o la prevenzione, diretta o indiretta, della delinquenza.
La politica criminale si può dunque distinguere in politica penale
o punitiva: politica amministrativa carceraria: politica criminale
preventiva (diretta o indiretta). 1°. Dalla filosofia del diritto penale (a cui pur
spetta un compito speculativo o normativo o dogmatico o etico
che si voglia dire): perchè: l'oggetto proprio di studio della filosofia
del diritto penale (anche come filosofia positiva) è dato dalle esigenze
della "giustizia" nei rapporti del diritto penale
(dedotte tali esigenze, dalle condizioni fondamentali e indispensabili della
convivenza sociale): l'oggetto proprio di studio della politica criminale è
dato, invece, dalle esigenze "della politica" in
rapporto al diritto penale medesimo (regole di utilità e di convenienza,
di opportunità e di prudenza politica): esigenze queste ultime
che la politica criminale combina con le esigenze della giustizia ed insieme
applica all'arte dello jus condere. è perciò errata la concezione
di coloro che confondono la giustizia (sociale) con l'utilità
(politica), la filosofia del diritto penale con la politica
criminale (così: von Liszt, Lerbuch des deutschen Strafrechts,
Berlin 1908, § 1,sub. II o § 13).
2°. Dalla scienza del diritto positivo - o così
del diritto penale che del diritto penitenziario e del diritto
criminale preventivo, - perchè: la scienza del diritto penale positivo,
ha per oggetto di studio le norme del diritto penale (norme
giuridiche), la politica criminale (scienza o arte) ha per oggetto di studio
le norme politiche criminali (penali e preventive); e ciò non solo
quando provvede al compito specifico della formazione della legislazione avvenire,
ma altresì quando soccorre il giudice e l'amministratore nel compito della
applicazione, giudiziale ed amministrativa, delle leggi vigenti. Da ciò
appare erronea la opinione di coloro che confondono la politica criminale o
più particolarmente penale o punitiva con la scienza del
diritto penale e in genere la scienza politica con la scienza
del diritto (così: Impallomeni, Istituzioni di diritto penale,
Torino 1908, § 4, p. 7-12; Lanza, Saggio di una veduta metodologica nella
Rivista Penale, vol. IV, fasc. 5-6, Torino 1902, § 1, n. 1-7 ;
Alimena, Principi di diritto penale, Napoli 1910, p. 16).
3°. Dalla antropologia (antropologia in senso
stretto e psicologia) criminale e della sociologia criminale,
perchè: la politica criminale ha un compito di valutazione critica
e di riforma delle leggi vigenti e quindi di formazione delle leggi avvenire
(funzione speculativa, normativa o deontologica), mentre
la antropologia e la sociologia criminale hanno un compito puramente descrittiva
una del delinquente, sotto l'aspetto anatomico, fisiologico
e psichico, l'altra del delitto e della pena nel loro aspetto
di fenomeni sociali. Pur ammettendo perciò, che la politica criminale debba
attingere da queste scienze i dati (antropologici, psicologici e
sociologici) necessari alla critica e alla riforma del diritto
costituito e alla costituzione del diritto futuro, appare erronea la opinione
di coloro che concepiscono la antropologia (somatologia e psicologia) criminale
e la sociologia criminale come parti della politica criminale
(così: Liszt, Kriminalpolitische Aufgabe nella Zeitschrift f. d.
ges. Strafr. Bd. IX (1889), p. 443-454 (specialm. P. 453) ; Dic
deterministichen Gegner der Zucckstrafe nella Zeilschrift f. d. ges. Bd.
XIII (1893), p. 373 ; Dic psicologischen Grundlagen der
Kriminalpolitik, ibidem Bd. XVI (1896) , p. 477 e più recentemente; Lehrbuch
des deutschen Strafrechts, Berlin 1908, § 1, p. 2, sub. II; Finger, Lehrbuch
des deutschen Strafrechts, Bd. I, Berlin 1904, § 2, p. 4 ; Thomsen, Das
deutsche Strafrecht, Allgm. Teil, Berlin 1906, § 3a, p. 34).
(52) Non è in fondo molto diverso il pensiero dello Srooss
quando ammonisce (Archiv für Kriminalanthropologic, Bd. XIV, p. 204)
"Die Kriminalpolitische Betrachtung darf jedech nicht mit den
Kriminalpolitischen Reformen begiuuen, sordern sie muss sich zunächst
beharrlich dem geltenden Rechte zuwondon, bevor sie nouos schaffen will".
Nello stesso senso: Thomsen, Das deutsce Strafrecht, Berlin 1906, §
3a, p. 35 "...grande an der lex lata müsste man erst die
Verbrechenbekämpfung studiereu, um de lege ferenda Vorschläge machen zu
konnen". Meritano di essere ricordate a questo proposito le scultorie
parole del Fadda, che per se stesse valgono a far comprendere come sia assurda
la pretesa di coloro che, nella riforma delle leggi penali vigenti, annunziano
addirittura dei rivolgimenti catastrofici. "Ogni nuovo rapporto di fatto
che la vita nelle sue proteiformi vicende crea non è elemento eterogeneo
intruso nell'organismo sociale, ma svolgimento di questo. Epperò nemmeno il
corrispondente suo regolamento giuridico si distacca dal sistema esistente,
anzi non è che l'estensione di questo (Nota 1 al Diritto delle Pandette
di Windscheid, p. 130)".
(53) Per una esatta actio finium regundorum nel
campo della teoria della imputabilità e della responsabilità penale, si cfr.
Pfenninger, Grenzbestimmungen zur Crimindistischen, Zurich,
1892, il quale pur non combattendo l'appoggio e il soccorso delle scienze
ausiliarie, respinge l'invasione della filosofia, della psicologia, della
frenologia, della medicina e della sociologia nell'ambito del diritto e
afferma la necessità di porre confini rispetto ad essi.
(54) è la nota, e dagli antropologi generalmente
accettata, classificazione dei delinquenti del Ferri. Il Liszt distingue,
invece, più semplicemente; i delinquenti in: 1°) Delinquenti di occasione
o del momento (delinquenza acuta); 2°) Delinquenti di disposizione o
di carattere o di tendenza (delinquenza cronica); e suddivide quest'ultimi
in: A) delinquenti che cominciano a divenire abituali ma che non ancora capaci
di miglioramento (correggibili) e B) delinquenti abituali (incorreggibili)
(v. specialm. Lehrbuch des deutsch. Strafrechts, Berlin, 1908, § 14,
p. 71. L'Aschaffenrcrg, al contrario, (Das Verbrechen und seine
Becämpfung, Heidelberg, 1903, 2ª ed., 1906), moltiplica le distinzioni e
parla di: rei casuali, affettivi, di occasione, di premeditazione, recidivi,
di abitudine, di professione. Per la critica di queste varie classificazioni e
sotto-classificazioni (alla quale facciamo pure le nostre riserve) si veda di
recente: Hoegel, Die Eintheilung der Verbrecher in Klassea, Leipzig,
1909.
(55) Così anche: Mortara (L), Commentario del codice e
delle leggi di procedura civile, vol. I, 3ª ed. in corso di stampa,
Milano Vallardi, n. 22.
(56) Savigny, Ueber deu Beruf unserer Zeit für
Gesetzgebung und Rechtwissenschaft, 3ª ed., p. 39: "Le idee e i
teoremi del diritto non appaiono ai giureconsulti romani come creazioni dell'arbitrio,
sebbene come esseri reali la cui esistenza e genealogia si è loro
manifestata per una lunga famigliare abitudine. Indi nasce altresì una
sicurezza in ogni loro procedimento la quale d'ordinario non si rinviene
fuori delle matematiche e si può dire senza tema di esagerazione che essi calcolano
con le loro idee". Jhering, Geist des rümischen Rechts,
trad., Parigi, 1877-78, vol. III, § 46, p. 51.
(57) Cfr. Prins, Science pènale et droit positif,
Bruxelles - Parigi, 1899, Prefaz. XXXIX. Pur ritenendo la necessità di
riforme forse troppo radicali delle nostre legislazioni penali.
(58) Pessina, Il naturalismo e le scienze giuridiche,
nella raccolta dei suoi scritti, Napoli, 1899, vol. I, p. 228.
(59) Le scienze naturali ci forniscono continui
esempi di questa affermazione: "Così - osserva ad altro
proposito l'Orlando, I criteri tecnici per la ricostruzione giuridica del
diritto pubblico nell'Archivio Giuridico, vol. XLII, 1889, p. 115 -
quando il botanico cerca di stabilire il modo onde son composti i più
semplici prodotti del regno vegetale e trova che essi sono una combinazione di
acqua, acido carbonico ed ammoniaca egli non va oltre: per lui sono elementi
semplici quei corpi nei quali il chimico vede, invece, la composizione di
altri elementi ancora più semplici".
(60) Che la "natura delle cose" sia "fonte
di diritto" ha ritenuto a torto l'Adickes, Zur Lehre von der
Rechtsquellen, 1872, p. 22 e segg. seguito in Germania dal Behrend, Lehrbuch
des Handelsrechts, Berlin, 1880, p. 85 e in Italia dal Vivante, Trattato
di diritto commerciale, I, 2ª ed., Torino, 1903, p. 73. Ritengono invece
si tratti soltanto di una fonte di conoscenza (interpretazione) del
diritto: Regelsberger, Pandekten, Leipzig, 1893, p. 68; Anzilotti,
La responsabilità dello Stato nel diritto internazionale, Firenze, 1902,
p. 30; Franchi, Commentario al Codice di Commercio, Milano, Vallardi,
p. 6, nota 7; Rocco (Alfredo), L'interpretazione delle leggi processuali
in Archivio Giuridico, vol. LXXVII, estratto, Roma, 1906, n. 6, p. 18.
(61) Che la sociologia sia soltanto un dato o presupposto
della scienza del diritto, fu, in altri campi, già esplicitamente
affermato (per quanto riguarda il diritto pubblico, si veda tra i più
recenti: Forti, Il realismo nel diritto pubblico, Camerino, 1903, p. 56
e s. special. p. 84). E che la storia, come il diritto comparato, non
siano per i cultori delle singole scienze giuridiche, nella più che "mezzi"
per la conoscenza scientifica del diritto positivo vigente fu nel campo del
diritto civile (a proposito delle discussioni sull'uso del diritto romano e
francese nell'interpretazione del nostro codice civile) chiaramente e
ripetutamente affermato (cfr. Filomusi-Guelfi. La codificazione civile e le
idee moderne che ad essa si riferiscono, discorso, Roma, 1889, nota 5;
Simoncelli, Le presenti difficoltà della scienza nel diritto civile,
Camerino, 1890, p. 12).
Ho aggiunto tuttavia, nel pubblicarlo, parecchie Note
intese a precisare alcuni punti oscuri o troppo recisamente informati e ad
indicare con diffusi cenni bibliografici, il rapporto in cui stanno i concetti
espressi da altri con quelli da me sostenuti. I germi dei quali si trovano già
in altri miei precedenti lavori. Cfr. specialmente: Prefazione al libro
L'abuso di foglio in bianco, Milano 1933, pag. VII; Responsabilità
civile dei magistrati nella Giustizia Penale, anno IX, (1903).
Estratto, specialm. pag. 6, nota 2; Sul concetto del diritto subiettivo di
punire, Prato, 1904, specialm. pag. 3-7; La riparazione alle vittime
degli errori giudiziari, Napoli, 1907, (1ª Ed., 1902) specialm., pag. 171
e segg. Appena poi è necessario avvertire che fu tolto dal discorso tutto ciò
che non riguarda il tema.
Per quanto riguarda il programma metodologico, enunciato
nel testo, dirò che esso è stato da me seguito costantemente e fedelmente
nei miei precedenti lavori (cfr. retro nota I). Fin dal 1903, infatti, nella prefazione
a una monografia (L'abuso di foglio in bianco, Milano, Soc. Ed.
Libr., 1903, p. VII) ebbi occasione di osservare come "il compito della
costruzione scientifica, dogmatica e sistematica (che è compito ben diverso
da quello della esegesi e della critica) dei principii del
diritto positivo penale con i mezzi che offre la tecnica del diritto fosse in
Italia ben lungi dall'essere fornito e forse neppure potesse dirsi
completamente iniziato" e "afferma la necessità di una moderna
ricostruzione e sistemazione giuridica del diritto penale". E, un anno
dopo, nello scritto "Sul concetto del diritto subiettivo di punire
(negli Studi in onore di V. Scialoja, vol. I, 1904. Estratto pag. 3-4 e
in Giustizia Penale, XI, 1905, col 760) distinguevo d'altra
parte i vari aspetti e i vari punti di vista sotto cui può essere studiato
l'istituto della pena, cioè l'aspetto e il punto di vista meramente
sociale, quello meramente politico, quello puramente filosofico
e quello semplicemente giuridico. La prima affermazione parve a qualche
autorevole scrittore soverchia (Lucchini, nella Rivista Penale, vol.
LVIII, p. 375) nè incontrò dapprima miglior fortuna la proclamata necessità
di distinguere la scienza del diritto positivo penale dalla
filosofia del diritto penale (Lucchini in Rivista Penale, vol. LXI,
p. 483: Carnevale, Ragione del diritto di punire, Estratto dalla
Rivista penale, vol. LXI, fasc. II, n. 3, pag. 6; Alimena, Note
polemiche su la teoria dell'imputabilità, negli studi per Fadda, Napoli
1906). Ma all'uno e all'altro concetto diedero ben presto la loro adesione il
Manzini (vedi retro, la citazione a nota 27) e il Longhi (La critica della
giurisprudenza nell'insegnamento del diritto penale, Estratto dalla
Scuola Positiva, anno XIV (1905) n. 2 e 3, p. 3-27; La legittimità
della resistenza agli atti della autorità nel diritto penale, Milano,
Vallardi, 1907, n. 18, p. 49, 41 nota I: 42 nota I, 43) il quale anzi, in
quest'ultimo lavoro, scagionava dall'accusa di eccessività il nostro giudizio
sulla necessità di una ricostruzione dogmatica e sistematica del diritto
penale (p. 42 nota 1) e faceva voto, anch'egli, con noi, perchè
"procedendo con maggior rigore di metodo e di tecnica si tenga un
più vivo contatto col movimento rapidamente percorso da scienze giuridiche
affini, così pubbliche che private (p. 42). Indicava, in pari tempo, il
nostro lavoro sul diritto di punire come "un largo programma di studi da
attuarsi nel diritto penale con indirizzo metodologico e sistematico parallelo
a quello di altre discipline giuridiche" (p. 42 nota 1) insieme il Longhi
constatava anch'egli che ormai "alle antagonistiche distinzioni di
scuole, si va sostituendo un distinzione di scienze" onde
"ciascun studioso...per non addossarsi tanta mole di lavoro ed evitare
che l'estensione sia a scapito della profondità, fattosi esclusivamente
filosofo o sociologo o giurista taglia a sua posta il
terreno che più risponde alle sue tendenze e dove più sente di poter
dominare rimettendosi per ogni altra parte ai risultati conseguiti da altri (La
legittimità della resistenza, p. 41 nota 1; La critica della
giurisprudenza, p. 20 dell'Estratto). In particolare affermava che la sociologia
criminale non esclude il diritto penale" e che "la
coordinazione del diritto ai dati sociologici, non elimina, ma accentua la
necessità della sistemazione dei rapporti (s'intende: dei rapporti giuridici)
fra Stato e reo" (opera prima citata p. 41 nota 1 e p. 42). L'indirizzo,
da noi applicato nei nostri lavori, e che qui si sostiene e difende, avvertiva
anche, con molta chiarezza, il Grispigni allorchè osservava che "i più
giovani cultori del diritto penale, abbandonando il terreno filosofico, si
sono dati ad una elaborazione dommatica del diritto penale, cercando di
offrirne una sistemazione pari a quella raggiunta da altri rami del diritto
pubblico e cercando di applicare ad esso quelle più recenti dottrine che
hanno dato a quest'ultimo un grande sviluppo (Indirizzo dommatico e
sistematico dell'odierna scienza criminale in Italia)" pur
preannunziando una "fase giuridica della scuola positiva" (?)
in cui "i seguaci di essa dopo essersi (a sua stessa confessione) di
preferenza, nel primo tempo, occupati di studi antropologici, e quindi
di studi sociologici, si apprestano...ad offrire una organizzazione giuridica
(?) della loro concezione del diritto repressivo (non certo del diritto
penale vigente, dunque del diritto repressivo avvenire, nel qual caso
, come di vede, non si tratta più di genere di uno studio giuridico,
ma filosofico e politico) e a inquadrare questo nel sistema di tutto il
diritto..." (L'odierna scienza criminale in Italia, estratto dalla
Scuola positiva, Milano 1909, p. 6 in nota). Chè, anzi, più tardi, lo
stesso Grispigni, dopo aver notato l'affinità scientifica fra l'indirizzo da
noi seguito nei nostri lavori e quello seguito nelle loro ultime pubblicazioni
dal Manzini e dal Longhi (Recensioni al Trattato del Manzini e alla monografia
sulla Resistenza del Longhi nella Scuola positiva, anno 1908)
mostrava non solo di percepire nettamente la distinzione da noi fatta della scienza
del diritto positivo penale dalla filosofia del diritto penale e
dalla sociologia criminale (avrebbe potuto giungere anche dalla politica
criminale), ma ben più, di aderire a questa "divisione di lavoro
scientifico" che "non implica ignoranza, ma conoscenza
di tutta la materia" (Recensione al Longhi, novembre 1908, pag. 4-7
dell'Estratto). Contro di noi torna ora però alla carica il prof. Alimena (Le
esigenze del diritto penale e le tendenze dei penalisti, in questa
Rivista, anno I (1910), p. 129; Principi di diritto
penale, Prefazione) con ragioni meditate, ma che non sempre ci
convincono, perchè partono dal falso supposto che sia nostro pensiero lo escludere
(e non già soltanto il distinguere) le indagini filosofiche e sociologiche.
è notevole che in questi lavori l'Alimena autorevolmente ammette anch'egli la
necessità di una elaborazione dogmatica del diritto penale positivo e
la necessità che il diritto penale "si assoggetti - forse ultimo fra i
diritti - alle leggi ferree delle discipline formali" riconoscendo, in
pari tempo, che lo "studio della natura ha fatto dimenticare quello del
diritto".
Più lontano dal nostro è il pensiero del Napodano, L'indirizzo
scientifico del diritto penale, Estratto dalla Rivista penale,
volume LVII, pag. 529, il quale pur distinguendo la scienza del diritto
penale, dalla sociologia criminale e dalla antropologia
criminale (concepite in modo da noi non del tutto accettabile) identifica
la scienza del diritto penale con la filosofia del diritto penale e
con la politica criminale, e, più in generale, la
scienza del diritto con la filosofia del diritto e con la politica.
E come ritiene che "la scienza giuridica ha un contenuto a sè che viene
indicato dall'utile e dal giusto" e "studia...i bisogni
umani che meritano soddisfazione cioè il modo degli interessi e
delle utilità regolati da una norma superiore di ordine"
che è, per lui, la giustizia, (p. 5, 6, 7), così afferma che la
scienza giuridica penale "investiga gli interessi umani in ordine
al fatto del delitto in relazione a una norma (cioè la giustizia) che li
legittima (p. 11 e 12: v. anche p. 13). Con che si cade nel triplice errore di
ammettere come oggetto di studio della filosofia nel diritto penale l'idea di
una norma (giuridica) trascendente la realtà del diritto positivo, e
delle stesse necessità e utilità sociali: di disconoscere l'oggetto proprio
della scienza del diritto penale, cioè il diritto penale positivo, e i limiti
che la separano dalla filosofia del diritto penale (avente per oggetto
di studio la giustizia, come complesso delle condizioni fondamentali e
indispensabili della convivenza sociale in rapporto al diritto penale) e dalla
politica criminale (avente per oggetto di studio l'utilità politica,
sempre nei rapporti del diritto penale). Per altri confronti (che sarebbe
troppo lungo e inopportuno istituire e che il lettore potrà fare da sè) fra
le idee espresse nel testo, e quelle professate da altri scrittori, si
consulti Lanza (Vincenzo), Saggio di una veduta metodologica (sui
criteri per commisurare le pene), estratto dalla Rivista penale, vol.
LV, fasc. 5ª e 6ª, Torino, 1902, § 1 (Diritto penale come scienza: linee
critiche di un sistema) n. 1-7, p. 3-24, L'umanesimo del diritto penale,
Palermo, 1906, cap. IV: Diritto penale italiano - Principi generali,
Torino, 1908, cap. I, p. 1-22 (lavori di notevole valore, nei quali si
rivendica energicamente alla scienza giuridica penale perfino il compito di
critica e di riforma della legislazione, generalmente assegnato alla filosofia
del diritto e alla politica criminale, ma nei quali la confusione
dell'indagine tecnico-giuridica con quella etica e politica e anche
sociologica e psicologica annebbia solitamente il criterio giuridico
dell'Autore e costituisce, così, la miglior riprova dell'asserita necessità
di distinguere quelle indagini): e inoltre: Puglia. Il diritto di
repressione, Messina, 1882, specialm. a p. 25; Autonomia della scienza
del diritto penale, Messina, 1893; Risorgimento ed avvenire della
scienza del diritto criminale, Palermo, 1886, specialm. p. 52; La
sociologia criminale nella Rivista di diritto pen. e soc. crim., anno
I (1990), p. 285-293 l'A. distingue nettamente la scienza del diritto
penale come scienza giuridica dalla antropologia criminale e
dalla sociologia criminale, ma assegnando ad essa una funzione
meramente normativa e deontologica, nei rapporti del diritto
penale costituendo, e non già descrittiva e espositiva del
diritto penale vigente non riesce naturalmente a distinguerla dalla politica
criminale e neanche dalla filosofia del diritto penale (vedi però
più di recente: Necessità di un rinnovamento degli studi filosofici del
diritto penale negli scritti in onore di Pessina, Napoli, 1899). Invece
egli distingue la scienza giuridica penale da una così detta penalogia
(la quale per noi è parte della sociologia criminale che, come tale,
non può non essere anche penale) e dalla scienza del diritto di
prevenzione (che per noi è parte della scienza del diritto
amministrativo, ma che non avremmo difficoltà alcuna a riunire alla
scienza del diritto penale sotto il nome comune di scienza del diritto
criminale) e infine dalla statistica criminale (che non è per noi
se non il metodo proprio della sociologia criminale; e non già una
scienza di per sè stessa); Florian, La fase odierna del problema penale
nella Rivista di diritto penale e sociologia criminale, vol. I (1900),
p. 4-21; Dei reati e delle pene in generale, Milano, Vallardi, 1901, p.
31-35, 36-38; Sull'insegnamento del diritto penale secondo gli attuali
regolamenti universitari, nella Giustizia Penale, anno IX (1903),
fasc. 2°, col. 321-333, il quale (in questo lavoro, forse più esattamente
che nei precedenti) distingue la scienza del diritto penale, come
scienza giuridica, dalla antropologia criminale e dalla sociologia
criminale e assegna giustamente alla prima lo studio tecnico e dogmatico
del diritto penale positivo vigente, nei suoi principi, ma sembra voler
mantenere ad essa una funzione normativa, nei rapporti del diritto
costituendo, che spetta meglio alla politica criminale e alla filosofia
del diritto penale: ciò che lo induce a confondere, con queste scienze,
la scienza del diritto penale in senso stretto. Senza contare che la politica
criminale sembra comprendere in sè, secondo l'intenzione dell'Autore, non
solo per i fini didattici (ciò su cui non avremmo da dissentire) ma anche per
i fini scientifici (il che non possiamo ammettere) l'antropologia e la sociologia
criminale. Vedasi anche tra gli altri scrittori: Vaccaro, Sul
rinnovamento scientifico del diritto penale, Roma, 1899 (che concepisce la
scienza del diritto penale come una scienza sociale (e non anche
giuridica!) particolare, cioè, in fondo come una sociologia
criminale (!) distinta dalla sociologia generale soltanto come la
specie dal genere): e inoltre: Barsanti, Il Carrara e il suo indirizzo
scientifico nel momento presente, Macerata, 1902, p. 3-40 (nel quale
lavoro la scienza del diritto penale positivo si è confusa con la filosofia
(idealistica) del diritto penale e con la politica criminale, benchè distinta
dalla antropologia e dalla sociologia criminale). (Per altri autori italiani e
stranieri meno recenti, vedi le citazioni che si trovano in Ferri, Sociologia
criminale, Torino, 1900, p. 921 e 922 in nota).
β) Ma la politica criminale non ci dà soltanto
il criterio per la valutazione critica del diritto penale vigente nè soltanto
ci rivela quale sarà il diritto criminale che dovrà valere nell'avvenire,
ma essa ci insegna altresì ad applicare il diritto penale vigente ai singoli
casi fortemente agli scopi politici che esso si propone di raggiungere: ci
insegna a temperare e moderare nella applicazione giudiziale ai singoli casi,
lo stretto diritto penale con le esigenze di convenienza e di opportunità, di
utilità e di prudenza politica a cui il diritto penale stesso deve rispondere
(arte dell'applicazione della legge).
γ) Infine la politica criminale oltre ad essere scienza
(o arte) della legislazione oltre a essere arte dell'applicazione
della legge è altresì scienza (o arte) della amministrazione in quanto
vigile affinchè l'attuazione delle pene o di altri provvedimenti congeneri
avvenga nel modo più tecnicamente conforme alle esigenze di convenienza o di
opportunità politica penale. La politica criminale può pertanto definirsi
come la scienza o l'arte dei mezzi preventivi e repressivi di
cui lo Stato, nella sua triplice veste di potere legislativo, amministrativo e
giudiziario, dispone per raggiungere lo scopo della lotta contro la
criminalità. Così concepita la politica criminale si distingue: