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Francesco Carrara. Programma del corso di diritto criminale.

Prolegomeni

Prevalse un tempo il pensiero che gli uomini avessero, pel corso di un periodo indeterminato, condotto vita disgregata e selvaggia.
Da questo stato estrasociale fu creduto avessero ad una data epoca fatto passaggio a quella vita di mutua consociazione, nella quale oggidì tutta la razza umana prospera e cresce.
Siffatto tramutamento intesero alcuni spiegare con la favola di una divinità scesa sulla terra ad ordinare gli uomini a vita di unione: altri con la supposizione di una violenza sui deboli; quasichè uomini più forti degli altri avessero sottomesso i proprii simili alla foggia stessa con che si mansuefanno le fiere: altri con l'ideale ipotesi di una convenzione per volontà comune stipulata fra gli uomini.
Tutti cotesti diversi sistemi ebbero un punto di partenza comune.
La supposizione che la razza adamitica avesse menato sulla terra due stati diversi di vita.
L'uno, che si disse primitivo, di natura, e di libertà, nell'isolamento, e senza costanza di rapporti fra gli individui; stato di disgregazione, e ferino: l'altro in associazione reciproca, che mercè una forma qualsiasi sottoponeva gli uomini ad una autorità, e ad una legge umana: stato di società civile.
Da tale concetto nacque la formula, che l'uomo aveva rinunziato ad una parte dei diritti di cui lo forniva la sua naturale libertà che supponevasi illimitata, per meglio conservare e tutelare gli altri diritti.
Tutto ciò è un errore.
E' falso che gli uomini della razza adamitica siano vissuti per un periodo di tempo sciolti da ogni vincolo di associazione.
E' falsa la transizione da uno stato primitivo di assoluto isolamento, ad uno stato modificato e fattizio.
Deve bene ammettersi un periodo primitivo di associazione patriarcale, o come dicesi naturale, a cui venne mano a mano ad aggiungersi la costituzione di leggi permanenti, e di una autorità che ne vegliasse l'osservanza; e così l'ordine di quella società che si disse civile.
Ma un periodo qualunque di disgregazione e di vita ferina è inammissibile come pazza visione.
Lo stato di associazione è l'unico stato primitivo dell'uomo: nel quale la legge di sua natura lo collocò dal primo istante della sua creazione.
Ove le tradizioni di tutti i popoli non contradicessero a quella supposizione, le speciali condizioni della razza umana basterebbero a mostrarla assolutamente impossibile.
Tale la mostrano le condizioni fisiche della umanità: le quali non le avrìano consentito di mantenersi, senza che la mutua assistenza dell'uomo verso l'altro uomo fosse continua, e pronta ai bisogni dell'individuo. E la natura rivelò per chiari segni tale destinazione dell'uomo ad una foggia di associazione costante, non precaria e fugace come quella dei bruti: la rivelò sì colle necessità cui nell'età prima, e nelle infermità, lo volle soggetto: sì col negargli quei mezzi di salvezza, o di difesa avverso le belve, che agli animali bruti aveva fornito, e che l'uomo dovea trovare nella reciproca unione: sì col rendere nella donna continua l'attitudine all'accoppiamento corporeo, che le femmine di tutti gli animali ebbero soltanto ad intervalli, e passeggiera: sì finalmente col bisogno della inumazione dei cadaveri, senza la quale gli uomini si spegnerebbero per contagio.
La mostrano tale le condizioni intellettuali degli uomini: per le quali fu loro aperta una via di indefinita progressività nelle cognizioni utili; via che non avrebbero potuto percorrere senza porre a profitto la loquela; e senza l'aiuto delle tradizioni dei loro maggiori.
Tale la mostra la condizione di essere morale tutta esclusiva dell'uomo: lo mostra il fine per cui Dio lo ha creato. Iddio non può aver creato un'opera incompleta: ed esser tornato poscia, quasi edotto dalla sperienza, a perfezionarla.
La legge eterna dell'ordine spinge l'uomo alla società. E il creatore che a questa legge lo conformò, ve lo guida come guida ai suoi fini tutto il creato, mercè le tendenze. Attrazione: forza unica, immensa: con cui si esercita la potenza divina su tutto il creato. La tendenza fisica operò la prima congiunzione dei corpi: la tendenza morale protrasse e perpetuò l'unione reciproca trai genitori; tra questi e i figli; e in tutte le generazioni che ne seguirono, come in quante mai ne verranno. Così la società era nei destini dell'uomo, non solo come mezzo indispensabile alla sua fisica conservazione, ed al suo intellettuale progresso; ma era di più un complemento della legge morale a cui l'uomo stesso si voleva soggetto.
Iddio compose tutto il creato ad una perpetua armonia. E quando alla sesta epoca ebbe fatto l'uomo a similitudine sua; cioè dotato di un'anima spirituale, ricca d'intelligenza e di libera volontà; questa più bell'opera della divina sapienza gettò sulla terra il seme di una serie di esseri dirigibili, e responsabili delle proprie azioni. Questi esseri non potevano, come i meri corpi, soggiacere alle sole leggi fisiche; una legge morale nacque con loro: legge di natura. La quale chi nega, rinnega Dio.
Così al mondo fisico, di cui pure fa parte l'uomo, si aggiunse col primo comparire di questo un mondo morale: tutto proprio di lui; e composto dai suoi rapporti morali con sè stesso, col creatore, e con le creature consimili.
Le leggi fisiche avevano in loro stesse una forza di coazione, ed una sanzione, che ne rendeva indefettibile l'osservanza. All'armonia del monito fisico queste forze bastavano.
Le leggi morali al contrario non avevano in loro stesse forza di coazione, tranne nel senso morale: non avevano sanzione sulla terra, che nella sinderesi.
Ma gli affetti, d'altronde indispensabili all'uomo come elemento di azione, pervertono spesso il senso morale; e soffocano la voce della sinderesi.
La legge di natura sarebbe stata dunque impotente a mantenere l'ordine del mondo morale, perchè più debole della legge eterna che regola il mondo fisico. Questa obbedita sempre: quella troppo spesso conculcata e negletta.
Siffatto abbandono della legge morale all'umano arbitrio sotto l'unica sanzione di un bene e di un male soprassensibile, se poteva non recar disturbo all'armonia universale finchè la legge morale colpiva l'uomo nei suoi rapporti con Dio, e con sè medesimo; non era tollerabile in quanto appellava ai rapporti dell'uomo con le altre umane creature. Malgrado la legge morale gli uomini sarebbero stati alla balìa di quello tra loro che, al bene soprassensibile preferendo il bene sensibile, avesse saputo, per via di forza od astuzia, violarne i diritti. Sotto questo rapporto il disordine nel mondo morale avrebbe portato disordine anche nel mondo fisico.
A completare l'attuazione della legge dell'ordine nella vita terrena, occorreva dunque un fatto ulteriore: per cui la legge morale si afforzasse quaggiuso di una coazione e di una sanzione sensibile; onde il precetto morale, che imponeva all'uomo di rispettare i diritti della creatura, non fosse parola inetta; e il mondo morale in preda a continuo disordine non facesse brutto contrasto all'ordine che domina il mondo fisico.
Questa forza coattiva e repressiva che la legge morale in sè non aveva, non poteva trovarsi altrove che nel braccio stesso dell'uomo. Iddio avrebbe potuto crear l'uomo impeccabile, togliendogli la potenza di trasgredire ai precetti suoi, come tolse ai corpi la potenza di resistere alla forza di gravità: non vi Sarìano stati allora nè doveri nè diritti. Tutto era necessità. Ma ciò era destruttivo del libero arbitrio; e rendeva l'uomo incapace di meritare o demeritare. Posto dunque il libero arbitrio, o bisognava inviare sulla terra una schiera permanente di spiriti superiori come guardiani e vendicatori della legge morale: o si veniva a questo inevitabile dilemma - lasciare il precetto morale senza osservanza; o commetterne la tutela al braccio dell'uomo.
Così per la legge eterna dell'ordine, l'uomo fu destinato ad essere nel tempo stesso suddito del precetto morale, e suo conservatore.
Ma siffatta missione non poteva eseguirsi dall'uomo disgregato: e neppure dagli uomini congiunti in una mera associazione fraterna costituita sul principio dell'assoluta eguaglianza. Anche in questa la disparità dei voleri, e la parità del potere, rendeva impossibile il divieto, la sanzione, e il giudizio dei fatti umani: e il divieto, la sanzione, e il giudizio erano d'altronde il complemento indispensabile alla legge morale, in quella sua parte che regola i doveri dell'uomo verso l'umanità. Cotesto complemento non poteva formarlo che la società civile.
La consociazione del genere umano è una necessità della sua natura; indispensabile alla sua conservazione e alla perfettibilità indefinita a cui è destinato. Ma se i bisogni fisici per cui richicdesi il reciproco ajuto; e i bisogni intellettuali per cui richiedesi la reciproca istruzione dell'umanità; si appagavano bastantemente di una semplice associazione fraterna; cotesti bisogni non valgono dunque a render ragione della società civile; ed erra chi confonde la genesi di questa con la genesi di una naturale consociazione. Fu illusione gravissima di Rousseau e dei suoi seguaci quello di supporre nel primo periodo dell'umanità una vita ferina: ma fu del pari illusione dei suoi confutatori quello di supporre la società civile nata coll'uomo. Ove le verità rivelate non confutassero anche questo secondo concetto, la sola ragione mostra l'impossibilità di principi e di magistrati nella culla di una umanità composta di poche famiglie. Lo stato di associazione fu coevo al nascere dell'uman genere; lo stato di società civile fu un primo progresso dell'umanità crescente; alla quale essa era condotta per una legge di ordine primitivo, in forza di altri bisogni distinti da quelli che l'avevano spinta all'immediato consorzio.
Eravi infatti altro bisogno non meno importante ai destini dell'umanità: quello cioè dell'osservanza e rispetto di quei diritti che la legge di natura avea dato all'uomo, innanzi ad ogni legge politicò, perchè gli fossero mezzo a compiere i proprj doveri, ed a raggiungere la sua destinazione quaggiù. Per l'impulso delle passioni individuali cotesti diritti sarebbero stati inevitabilmente, e senza riparo conculcati e distrutti, così nello stato di isolamento come nello stato di società naturale. Ed ecco la sola, la vera ragione di essere della società civile. Ragione eterna e assoluta: perchè assoluta e primitiva la legge che volle l'osservanza effettiva degli umani diritti. Se la società civile era la sola forma che potesse attuare l'osservanza dell'ordine giuridico; e se la legge di natura volle dell'ordine giuridico l'osservanza; la legge stessa deve aver voluto ed imposto che l'umanità si componesse a quella forma di associazione che sola potea rispondere a cotesti fini. La ragion di essere della società civile è dunque primitiva e assoluta; ma risiede soltanto nella tutela giuridica.
Ora se lo stato di società civile era necessario alla razza umana pel fine dell'osservanza del precetto morale, la società che doveva esprimere la forma speciale dell'ordine segnato all'uomo dalla mente suprema fin dal primo istante della sua creazione, non poteva essere che una società la cui direzione si unificasse in un centro comune di autorità. E questa autorità non potè non essere fornita del potere di proibire certe azioni, e di reprimere chi osasse, malgrado il divieto, commetterle. La società civile, l'autorità che a questa presiede, il diritto di proibire e di reprimere a lei compartito, non sono che una catena di strumenti della legge dell'ordine. Dunque il giure penale ha la sua genesi, e il suo fondamento di ragione nella legge eterna della universale armonia.
Il precetto, il divieto, e la retribuzione del bene e del male, finchè stanno in mano di Dio hanno per unico fondamento, e per unica misura la giustizia. Assoluta nell'assoluto; infallibile nell'infallibile; essa in questo stato colpisce l'uomo tanto nei suoi rapporti con Dio e con sè stesso, quanto nei suoi rapporti con le altre creature. Qui la giustizia procede sempre come principio unico. Dio non punisce il ladro e l'omicida per difendere l'uomo: ma perchè l'omicidio ed il furto sono un male: e vuole giustizia che chi fa male soffra un male.
Ma il precetto, il divieto, e la retribuzione, in quanto appellano ai rapporti dell'uomo con l'umanità, si staccano da Dio; e una parte del loro esercizio se ne devolve sulla terra all'autorità sociale; perchè la violazione di tali rapporti recando un nocumento presentaneo all'innocente, è necessità che l'innocente sia protetto da coteste violazioni con una forza presente e sensibile.
Così la difesa dell'umanità non è la primitiva ragion di proibire e di punire: è la ragione per cui il gius di proibire e punire sulla terra si esercita dall'uomo sopra l'uomo suo simile. E questa non è una necessità politica; ma necessità della legge di natura.
Finchè pertanto il gius di punire si considera in astratto, il suo fondamento è la sola giustizia. Ma quando si considera come atto dell'uomo, il suo fondamento è la difesa dell'umanità.
Erra chi trova l'origine del gius di punire nel solo bisogno della difesa, disconoscendone la prima genesi nella giustizia.
Erra chi trova il fondamento del gius di punire nel solo principio della giustizia, senza restringerlo nei limiti del bisogno della difesa.
Il gius di punire nella mano di Dio non ha altra norma che la giustizia. Il gius di punire nelle mani dell'uomo non ha altra legittimità che il bisogno della difesa; perchè all'uomo è devoluto soltanto in quanto occorre alla conservazione dei diritti dell'umanità.
Ma quantunque la difesa sia l'unica ragione della delega, il diritto delegato sempre soggiace alle norme della giustizia; perchè non può perdere l'indole primitiva della sua essenza col passar che egli fa nella mano dell'uomo.
Dando alla punizione umana il solo fondamento della giustizia, si autorizza un sindacato morale anche là dove non è nocumento sensibile; e l'autorità sociale usurpa il magistero della divinità; rendendosi tiranna dei pensieri col pretesto di perseguitare il vizio e il peccato.
Dando alla punizione umana il solo fondamento della difesa, si autorizza la restrizione di atti non malvagi, sotto il colore di pubblica utilità; e si accorda all'autorità sociale la tirannia dell'arbitrario.
Se l'autorità sociale per un ossequio alla giustizia punisce quando il bisogno della difesa non richiede, pecca contro la giustizia nella forma; perchè quantunque la punizione sia meritata, ingiustamente e abusivamente si infligge da lei. Il diritto a punire primitivo esiste: ma non è a lei delegato.
Se l'autorità sociale per un pensiero di pubblico vantaggio punisce quando il castigo non è meritato, pecca contro la giustizia nella sostanza: perchè dove non è malefatto, il diritto primitivo a punire non esistendo, ei non può essere in lei derivato.
Questi due principii risalgono alla legge eterna dell'ordine, dalla quale deriva la società, l'autorità, e il diritto in questa di proibire e di punire. La legge dell'ordine esterno, cioè il bisogno della difesa, investe l'autorità umana di un potere sull'uomo: ma la legge dell'ordine interno, cioè la giustizia, ne domina indefettibile l'esercizio come misura moderatrice L'interno confine del giure penale riducesi alla più semplice ed alla più esatta espressione con questa formula. Il giure penale deve accorrere ovunque è necessario per tutelare il diritto: il giure penale non può accorrere dove il diritto non è violato o posto ad imminente pericolo. Esso è difettoso se manca al primo canone: è esorbitante ed ingiusto se eccede il secondo; sebbene contro atto immorale, o intrinsecamente malvagio.
Dunque non è vero che il giure penale sia restrittivo dell'umana libertà. Non è limitazione di libertà l'impedimento che si frappone tra l'assassino e la vittima: perchè la libertà umana altro non è che la facoltà di esercitare l'attività propria senza lesione dei diritti altrui. La libertà dell'uno deve coesistere con la libertà uguale di tutti. La restrizione nasce dalla legge di natura, che diede all'umanità dei diritti, e impose agli uomini di rispettarli. La legge umana non minora la libertà col contenerla entro i limiti di sua natura (1).

(1) Legum (disse Cicerone) servi sumus ut liberi esse possimus.

Il giure penale è invece protettore della libertà umana così esterna, come interna. Dell'interna, perchè dà all'uomo una forza di più per vincere il suo peggiore tiranno; le proprie passioni. E l'uomo, come bene dicea D'Aguesseau, non è mai tanto libero, quanto allorchè subordina le passioni alla ragione, e la ragione alla giustizia. Della esterna, perchè protegge il debole contro il forte nel godimento dei propri diritti entro i limiti del giusto; nel che consiste la vera libertà.
Questa verità procede tanto in ordine alla proibizione e repressione dei fatti che ledono l'individuo: quanto in ordine ai fatti che offendono il corpo sociale e l'autorità. Tostochè si riconosce che la società e l'autorità non sono creazione della politica umana, ma hanno la loro genesi nella legge di natura: da questa stessa legge è necessario desumere il diritto nell'autorità alla propria conservazione: cioè il diritto in lei ad essere rispettata, e il dovere nei cittadini a rispettarla finchè muove nel cerchio della propria legittimità.
A pensare altrimenti furono condotti i pubblicisti, o perchè sbagliarono nel concepire l'origine della società; o perchè confusero il magistero penale col magistero di buon governo. Ma fra l'uno e l'altro intercede un abisso.
Il magistero di polizia non procede che da un principio di utilità; la sua legittimità è tutta in questo; non attende un fatto malvagio per agire; non sempre coordina i suoi atti alla rigorosa giustizia: e così avviene che ad esso consentendosi di agire per via di modica coercizione, egli realmente possa divenire modificativo dell'umana libertà: lo che si tollera per la veduta di maggior bene.
Ma il magistero di polizia non ha nulla di comune col magistero penale, quantunque entrambe si esercitino dall'autorità preposta al reggimento dei popoli. Questo incomincia il suo officio quando quello ha inutilmente esaurito il suo: ne è diverso l'oggetto: diverse le norme e i confini. Che se ambedue sembrano unificarsi perchè unica è l'autorità sociale che esercita l'uno e l'altro, non si unificano però in loro stessi, nè in faccia alla scienza. Nella guisa stessa che due arti non possono considerarsi come formanti un solo corpo di regole perchè si esercitino per avventura da un solo uomo; così non può dirsi che se il governo stesso e previene e punisce, la prevenzione e la punizione si unifichino nella causa, nei limiti, nei modi, negli effetti, e nel fine.
Fu un errore il credere che il magistero di polizia attenesse alla scienza nostra. Esso non è una parte del giure penale, ma spetta piuttosto al diritto economico, quando questo si ravvisi non come un mero fattore di ricchezza, ma come un fattore di civiltà.
Compenetrando il magistero di polizia nel giure penale si generò confusione nelle idee, e si aprì la strada all'arbitrio per cagione del mutuo imprestito delle rispettive norme, che non erano dall'uno all'altro comunicabili.
Ora ne avvenne che il magistero di polizia, per l'influenza dei principii del giure penale, si stringesse fra tali lacci che lo rendevano inetto.
Ora ne avvenne che sul giure penale si attribuisse una smodata influenza all'idea della prevenzione, allargando l'arbitrio a discapito della giustizia. Sono due forze che si porgono a vicenda la mano per l'ultimo fine dell'ordine; che esse hanno a comune come fine supremo di tutte le leggi imposte dal creatore al creato. Sono due forze che non devono l'una all'altra avversare. Sono due forze riunite nella stessa mano dell'autorità sociale. Ma sono due forze essenzialmente distinte. Se l'una si misura con le norme dell'altra si affievolisce fino all'impotenza: se l'altra si misura con le norme dell'una si esagera fino alla ferocia (1).

(1) Vedasi Prins e Pergameni, Rèforme de l'instruction prèparatoire, pag. 144 e 145.

Fu una vicenda costante negli ordinamenti delle nazioni che sotto i governi dispotici l'ufficio di polizia si amalgamasse col giure punitivo; e gelosamente si tenessero separati sotto i liberi reggimenti. Così in Roma libera fu estraneo alla giustizia penale l'ufficio e la giurisdizione censoria. L'impero cambiò in delitti proprii moltissimi fatti dei quali sotto la repubblica si occuparono soltanto i censori (i).

(1) Koenigswarter Diss. nullum delictum sine lege pag. 12, Amstelodami 1535.

A coprire cotesta confusione si è preso secondo i vari tempi pretesto da tre diversi pensieri. Ora dalle idee smodate circa l'autorità del Principe, o circa i diritti dello Stato: ora dalla prevalenza del fanatismo religioso: ora da un eccessivo zelo per la morale. Ciascuna di queste idee ha alla sua volta fuorviato il giure punitivo, e facendo velo al suo vero concetto, lo ha reso indefinito ed ingiusto. Ma l'autorità sociale che voglia legittimamente esercitare i diversi poteri che le sono conferiti, deve esercitare ciascuno di loro secondo le regole di assoluta ragione che ne sono respettivamente dominatrici. Nell'autorità che sovrasta al corpo sociale, esiste una quantità di poteri, nei quali più che veri diritti si configurano altrettanti doveri; che legano la stessa verso i cittadini, e le ne rendono entro certi limiti obbligatorio l'esercizio.
Essa deve proteggere le private transazioni, onde nei rapporti patrimoniali non domini la frode o la forza, ma la giustizia. A ciò supplisce con le leggi civili; e con l'istituzione di magistrati che dirimano secondo quella le pecuniarie controversie trai cittadini. Ciò attiene al diritto privato. Ma il diritto privato, in quanto regola facoltà acquisite e alienabili, non è in sè assoluto; perchè l'individuo può col suo consenso render giusto ciò che per la legge sarebbe ingiusto; e l'autorità può per ragioni di pubblico bene rendere inefficace il consenso e il diritto dei privati.
Essa deve mantenere nei giusti confini i rapporti che intercedono fra governanti e governati; onde quelli non trasmodino il cerchio delle loro attribuzioni; questi non eludano la dovuta obbedienza. Suppliscono a ciò gli ordinamenti organici dello Stato; i quali attengono al diritto pubblico particolare, o diritto costituzionale. Ma questo non è in sè stesso assoluto. Perchè le diverse condizioni dei popoli modificano il diritto pubblico; il quale è sempre legittimo, quando è conforme ai voleri della maggiorità intelligente, e indirizzato al fine ultimo del ben generale.
Essa provvede a mantenere buone relazioni tra lo Stato e le altre nazioni; perchè i cittadini siano protetti anche in estero territorio; e perchè dalle nazioni limitrofe, anzichè sorgere una cagione di pericolo, emergano elementi reciproci di sicurezza esterna, e di interna ricchezza. A ciò provvede coi congressi, coi trattati, coi consolati, con le ambascerie, ed al bisogno con la guerra. Ciò attiene al gius delle genti, o internazionale. Ma anello questo è variabile secondo le condizioni dei varii popoli, Deve l'autorità provvedere al bisogno delle pubbliche spese; promuovere la miglioria morale del popolo, o sia la vera civiltà (la quale non consiste nella garbatezza dei modi, ma nella onestà dei costumi); e procacciare che i consociati, non solo del necessario non manchino, ma abbiano ancora quanto meglio serve a prosperare la vita. A tal line si indirizzano le leggi sul culto, sul buon costume, sul commercio, sulla finanza, sull'annona, sulla regalia, sulle opere pubbliche. Ciò attiene al diritto amministrativo; ed all'economia politica. Ma anche questa non può formare un corpo di giure assoluto e costante, perchè la sua legge è l'utilità.
Ora in tutte queste provvisioni, che nel loro complesso pertengono alla scienza del buon governo, avviene spesso che l'autorità per rafforzare un suo ordinamento debba, a servigio del ben comune, infliggere qualche male a quel cittadino che a tali provvisioni si opponga col suo operato.
Ma sarebbe un errore il credere che ogni qual volta l'autorità infligge un male ad un cittadino per cagione di un suo fatto, essa eserciti sempre il giure penale. Le leggi finanziarie, la regalia, il commercio hanno frequenti penalità; gli stessi ordini di procedura civile minacciano delle ammende; la polizia ammonisce, corregge, ed anche imprigiona; e spesso senza che siasi niente turbato l'ordine esterno, ma solo perchè o il turbamento ragionevolmente si teme, o si è diminuita la prosperità del paese.
Tutte queste severità, le quali non posson essere che leggiere, non attengono al magistero penale. I fatti che provocano tali misure posson dirsi trasgressioni, ma non sono delitti.
Errava anche in questa parte Rousseau, quando con una delle brillanti sue frasi diceva, che il giure penale non era una legge di per sè stante, ma la sanzione di tutte le altre. Con cotesta formula riducesi l'ufficio del diritto criminale alla mera punizione, senza tener conto della proibizione, che ne è pure parte integrante; si getta il giure penale in balìa dell'indefinito; e si rende impossibile costruii lo a forma di vera scienza; e unificarne il principio moderatore.
Il criterio che separa il magistero penale dal magistero di buon governo; e che distingue così i delitti dalle trasgressioni; non può essere che questo: che il magistero penale deve colpire soltanto i fatti ai quali possa adattai si il carattei e di moralmente riprovevoli, perchè ha la misura del suo diritto nella giustizia assoluta; mentre il magistero di buon governo può colpire anche fatti moralmente innocenti, perchè il fondamento del suo diritto è la pubblica utilità.
Che se in qualche codice si videro manomesse coteste regole nella formazione delle classi; ed ora nella legge penale si intrusero trasgressioni, ora alla legge di polizia si consegnarono veri delitti; ciò non contradice la verità dei principj, ma prova soltanto l'errore e la inesattezza dei legislatori.
La scienza del giure penale non può occuparsi che dei primi fatti. Sui secondi non getta che uno sguardo fugace, per avvertire i legislatori ad esser miti ed umani. Ma non può accomunare alle trasgressioni le sue teorie, senza generare inestricabile confusione. (1).

(1) Feuerbach definì la scienza criminale - Scienza dei diritti che lo Stato può avere sopra i cittadini, in ragione delle violazioni di legge che questi commettono -. Cotesta definizione, quantunque in parte esprima il concetto filosofico della nostra scienza, è troppo vasta, perchè estendendosi a qualunque sanzione e a qualsiasi violazione di legge, comprende più del definito. L'omessa registrazione di un alto civile, e la sua formazione in carta senza bollo, atterrebbero al giure penale.

La scienza criminale è - la ricerca dei limiti interni ed esterni entro i quali soltanto lo Stato può tutelare i diritti umani collo spogliare di un suo diritto l'uomo che gli abbia attaccati; e dei modi più convenienti di esercitare con siffatto mezzo questa tutela.
Il magistero penale è destinato a proteggere la libertà individuale. Gli altri ordinamenti la restringono. Il magistero penale presuppone sempre un fatto violatore della legge morale, ed un'intenzione riprovevole. Gli altri ordinamenti ora non curano dell'intenzione e della moralità, ma soltanto del fatto materiale; ora non attendono neppure il fatto, ma colpiscono la sola malvagità dell'uomo. Al magistero di buon governo sta bene si assegni come fondamento del suo diritto la politica necessità, od anche l'utilità: al magistero penale non può attribuirsi come genesi un atto di volontà umana; ma il precetto di Dio, promulgato all'uomo mercè la legge di natura. Gli ordinamenti di quello sono relativi e variabili; il magistero penale è assoluto in tutti i suoi principi fondamentali.
E di vero se il gius di punire nella mano dell'uomo procede dalla legge eterna dell'ordine, la scienza del giure penale deve essere indipendente da qualunque provvisione di legge umana; e diretta soltanto da regole di assoluta ragione.
Se il giure penale avesse la sua radice e la sua norma nella volontà dei legislatori, lo studio di questa scienza sarebbe ristretto all'arido commento del codice della città: e i suoi dettati varierebbero col variare di tempi, di luoghi, di bisogni, e di opinioni.
Ma la elasticità perpetua del giure penale fu un sogno del Filangieri, che accettò gli errori dei legislatori pagani come tipo di verità razionale. Cotesta idea è ormai reietta dalla scienza; la quale si suiciderebbe accettandola. Il giure penale ha la sua genesi e la sua norma in una legge che è assoluta, perchè costitutiva dell'unico ordine possibile all'umanità secondo le previsioni e i voleri del creatore. La scienza penale non cerca che l'applicazione alla tutela giuridica di questi principii razionali imposti a noi dalla mente suprema.
Le sue dimostrazioni non si desumono dalla parola dell'uomo: ma devono essere deduzioni logiche dell'eterna ragione, della quale Dio rivelò agli uomini per mirabile ispirazione quanto occorreva a regolare quaggiù la loro condotta verso i proprj simili. Subordinate così ad una norma assoluta, le leggi penali sono nei principii cardinali assolute: nè possono divenire relative, che nella forma della loro applicazione.
Ecco la scienza penale che noi dobbiamo studiare; astraendoci sempre da ciò che può essere piaciuto dettare nei varj codici umani; e rintracciando la verità nel codice immutabile della ragione. La comparazione dei diritti costituiti non è che un complemento della nostra scienza. In coteste secondarie ricerche noi dobbiamo giudicare trai vari codici qual più si adatti all'archetipo del vero assoluto: non già con viaggio prepostero desumere la verità dei principii dal diritto costituito. I dettati umani furono troppo spesso iniqui ed irragionevoli, perchè eccitati dalle passioni, o dalle allucinazioni dell'intelletto. Se il tipo della legge naturale si volesse desumere da cotesto criterio, o si cadrebbe in uno scetticismo pauroso, o si legittimerebbe qualunque ingiustizia.
Alla nostra scienza tre fatti porgono argomento - l'uomo che viola la legge - la legge che vuol punito quell'uomo - il magistrato che verifica la violazione, ed irroga la punizione. Delitto - pena - giudizio -. l'ordine delle materie nel giure penale discende dalla natura delle cose. è inalterabile.
Questa è la parte generale della scienza nostra.
La parte speciale scende all'esame dei singoli fatti coi quali si viola la legge; ed anche questi esamina secondo i principii di ragione con un criterio tutto ontologico; per definirne i respettivi caratteri, distinguerne le fisionomie, e misurarne i gradi.
Fin qui tutto è teoria; parte speculativa. Esaminare intorno ai giudizi, quali sono le procedure con cui si ordinano nel nostro paese; e intorno ai delitti in specie, quali sono le nozioni e i respettivi rapporti, secondo i quali vengono definiti e misurati dalla legge che ci governa: ella è parte puramente pratica e positiva.
Nella parte teorica si interpetra una legge eterna e immanchevole come archetipo a cui debbono uniformarsi le opinioni di tutti i sapienti; ed a cui deve obbedire lo stesso legislatore. Nella parte pratica si interpetra una legge umana e variabile, come autorità alla quale, noi tutti, e sudditi e magistrati, dobbiamo, fintantochè vige, uniformarci, sieno quali si vogliono le nostre opinioni.
La ragione dell'obbedienza alla prima è la verità: la ragione dell'obbedienza alla seconda è l'impero.
Ma la parte pratica del giure penale si pertiene alle cattedre liceali, e di perfezionamento: queste, come guida dei giureperiti alla attuazione del diritto nel foro, hanno per testo la legge scritta, per duce l'ermeneutica, e i monumenti giurisprudenziali: e con l'aiuto della critica debbono coordinare questi ad un sistema: con l'aiuto della ragion teorica rilevare in quella i difetti, e proporne le utili migliorìe. Ma la cattedra universitaria non guarda il giure penale che sotto il punto di vista filosofico; perchè insegna non la scienza della Toscana, ma i principii comuni a tutta l'umanità.
Tale è la via che noi dobbiamo percorrere. E la percorreremo seguitando con amore e con fede i principii che distinsero su tutte le altre la scuola italiana.
La scuola italiana, che bevendo ai sommi principii della latina filosofia nell'argomento penale, seppe col presidio del cristianesimo appurarli dalla nebbia pagana; e rivendicarli dal guasto delle ferocie orientali, e dei nordici pregiudizi, che gli avevano con successiva guerra manomessi e corrotti.
La scuola italiana, che tanto operò nella lunga lotta fra il diritto e la forza: che prima di ogni altra proclamò col labro di Vico, esservi nella distribuzione delle penalità una legge che sovrasta al legislatore: ed elaborandosi nella doppia fucina dell'accademia e del foro, serbossi ugualmente incontaminata dal fascino delle visioni trascendentali, e dal brutale materialismo del secolo decimottavo.
La scuola italiana ebbe già su questa cattedra il suo più splendido altare; il suo apostolo nel Carmignani; i suoi sacerdoti nella toscana magistratura: e quantunque sembrasse tripartirsi nel secolo presente, pure rimase unificata sempre nello spirito e nelle tendenze.
Se udimmo ai nostri giorni quel sommo ingegno di M. Flottard (1) avvertire alla Francia, che gli italiani nella via delle riforme penali avevano di lunga mano precorso tutte le nazioni di Europa; sia nostra gloria seguitare il cammino coraggiosamente segnato dai nostri maggiori; anzichè per vaghezza di sterili novità muovere contro di loro una guerra impotente.

(1) Revue critique de jurisprudence. Ann. 18