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Art. 57. Rapporti con organi di informazione e attività di comunicazione
Relazione introduttiva
L’art.57 (“rapporti con organi di informazione e attività di comunicazione”) specifica, integra e tipizza, per quanto possibile, i doveri già previsti dall’art.18 nell’ambito dei principi generali e, nello specifico di quest’ultimi per quanto qui di interesse, valorizza, come criteri conducenti nel rapporto, oggi spesso patologico e degenerato, con il mondo dei media quelli dell’equilibrio, della misura, della discrezione, della riservatezza, con il dovere di assicurare in ogni caso l’anonimato dei soggetti minori di età (ed al riguardo, innovando rispetto alla già licenziata bozza del codice, è stato inserito ora il comma 2 in diretta saldatura con il principio già espresso in sede di art.18). La norma in commento non ha poi riprodotto il III canone dell’art.18 del vigente codice deontologico la cui previsione concerneva un comportamento comunque consentito ed entrato nella prassi (“tenere o curare rubriche fisse su organi di stampa con
l’indicazione del proprio nome e ... partecipare a rubriche fisse televisive o radiofoniche”) e che richiedeva solo una preventiva comunicazione al Consiglio dell’Ordine, prescindendo comunque da qualsiasi intervento autorizzativo di quest’ultimo; a reprimere gli abusi, come l’esperienza si è incaricata di confermare, sono sufficienti le previsioni deontologiche in materia di accaparramento di clientela e di corretta informazione.
Giurisprudenza disciplinare
➤ RAPPORTI CON LA STAMPA E DOVERE DI RISERVATEZZA. Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che in numerosi articoli di stampa enfatizzi la propria attività professionale e le proprie competenze, autoreferenziandosi specialista in alcuni settori, spendendo il nome dei clienti e rilasciando dichiarazioni, relative all'attività svolta, che avrebbero dovuto rimanere riservate (C.N.F. 28/12/2005, n. 190).
Viola il dovere di riservatezza proprio della professione forense (art. 9 c.d.), nonché il divieto di sollecitare articoli di stampa o interviste su organi di informazione, spendendo il nome dei propri clienti (art. 18 c.d.), il professionista che, attraverso le pagine di un quotidiano locale, divulghi il contenuto di una sua lettera inviata alla controparte per conto dei propri assistiti. Integra, altresì, violazione dei principi di correttezza e riservatezza, nonché del divieto di pubblicità, propri della professione forense, il professionista che, in ordine al contenuto della predetta missiva, renda ad un giornalista dichiarazioni poi pubblicate su un quotidiano locale, al fine di pubblicizzare la propria attività professionale, utilizzando in tal modo, per la tutela degli interessi dei propri assistiti, strumenti diversi da quelli previsti dall'ordinamento, quali la divulgazione alla stampa di censure e critiche al comportamento della controparte (C.N.F. 06/12/2006, n. 139).
1. L'avvocato, fatte salve le esigenze di
difesa della parte assistita, nei rapporti con
gli organi di informazione e in ogni attività
di comunicazione, non deve fornire notizie
coperte dal segreto di indagine, spendere il
nome dei propri clienti e assistiti,
enfatizzare le proprie capacità professionali,
sollecitare articoli o interviste e convocare
conferenze stampa.
2. L'avvocato deve in ogni caso assicurare
l'anonimato dei minori.
3. La violazione del divieto di cui al comma
1 e del dovere di cui al comma 2 comporta
l'applicazione della sanzione disciplinare
della sospensione dall'esercizio dell'attività
professionale da due a sei mesi.
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