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In tema di iscrizione al registro dei praticanti avvocati, sussiste il requisito della "condotta specchiatissima ed illibata" di cui all'art. 17 della Legge professionale, pur in pendenza di un procedimento penale in grado di appello, che costituisce un fatto privo di rilievo laddove il giudice di primo grado abbia assolto il richiedente "perché il fatto non sussiste” (C.N.F. 19/12/2008, n. 165).
Anche i praticanti sono soggetti alle norme deontologiche, a nulla rilevando che i medesimi non esercitino il patrocinio, dipendendo la loro soggezione dalla mera iscrizione nel registro speciale (C.N.F. 16/07/2007, n. 100).
In caso di accertata responsabilità penale del praticante per fatti commessi nell'esercizio di funzioni affidategli in ragione della professione, consistenti nell'abuso di quelle stesse funzioni con relativa appropriazione di denaro aggravato dall'entità delle somme trattenute, deve ritenersi legittimo il diniego di iscrizione dell'incolpato all'albo degli avvocati, assumendo le riferite condotte illecite gravità tale da escludere che l'agente possa mai assurgere a livelli etici tali da assumere la veste di avvocato (C.N.F. 21/11/2006, n. 123).
Il praticante avvocato dopo il rilascio del certificato di compiuta pratica non è obbligato a continuare la pratica forense con le modalità prescritte dal regolamento, sicché l'inosservanza di tali modalità (tenuta del libretto, assistenza a un certo numero di udienze) non legittima il consiglio dell'ordine ad applicare i provvedimenti sanzionatori conseguenti (C.N.F. 22/05/2001, n. 98).
➤ ISCRITTI ALL'ELENCO SPECIALE. L'iscrizione nell'elenco speciale non esime il professionista dall'obbligo di uniformarsi ai principi deontologici propri della classe forense e competente a procedere disciplinarmente è il Consiglio dell'ordine presso il quale l'avvocato è iscritto (C.N.F. 23/04/2004, n. 79).
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Art. 3. Attività all'estero e attività in Italia dello straniero
Giurisprudenza disciplinare
➤ FUNZIONARI COMUNITARI. In base al combinato disposto dell'art. 14, comma 1, del protocollo "sui privilegi e sulle immunità della C.E.", allegato al trattato di Bruxelles, 8 aprile 1965, secondo il quale i funzionari che nell'esercizio delle loro funzioni al servizio della comunità, stabiliscono la loro residenza sul territorio di un paese membro diverso dal paese dove avevano il domicilio fiscale al momento dell'entrata in servizio presso la Comunità, sono considerati sia nel paese di residenza che nel paese del domicilio come tuttora domiciliati in quest'ultimo paese se esso sia membro della Comunità; e dell'art. 52 del trattato di Roma, nonché della copiosa giurisprudenza della Corte di giustizia delle Comunità europee (sent. 7 marzo 2002), secondo il quale "gli avvocati comunitari hanno diritto di stabilirsi ovunque nel territorio delle Comunità, senza per questo perdere i loro diritti e privilegi in base al diritto comune dello stato di provenienza, con facoltà anche di creare e conservare più di un centro di attività sul territorio della comunità stessa", deve ritenersi
1. Nell'esercizio di attività professionale
all'estero l'avvocato italiano deve rispettare
le norme deontologiche interne, nonché
quelle del Paese in cui viene svolta
l'attività.
2. In caso di contrasto fra le due normative
prevale quella del Paese ospitante, purché
non confliggente con l'interesse pubblico al
corretto esercizio dell'attività professionale.
3. L'avvocato straniero, nell'esercizio
dell'attività professionale in Italia, è tenuto
al rispetto delle norme deontologiche
italiane.
	
  
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