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Art. 20. Responsabilità disciplinare
Giurisprudenza disciplinare
➤ TASSATIVITÀ DEGLI ILLECITI DISCIPLINARI. Le norme del codice deontologico forense elencanti i comportamenti che il professionista deve tenere costituiscono mere esplicitazioni esemplificative dei principi generali contenuti nella legge professionale forense e nello stesso codice deontologico, di dignità, lealtà, probità e decoro professionale e, in quanto prive di ogni efficacia limitativa della portata di tali principi, sono inidonee ad esaurire la tipologia delle violazioni disciplinarmente rilevanti (C.N.F. 23/04/2004, n. 95; cfr. C.N.F. 28/4/2004, n. 121; C.N.F. 10/11/2005, n. 132).
Le previsioni del codice deontologico forense hanno valore esemplificativo dei comportamenti più ricorrenti, rappresentano determinazioni e specificazioni dello ius vivens, e riempiono le previsioni generiche della legge professionale la cui violazione, da sola, è sufficiente a fondare la responsabilità disciplinare e le conseguenti sanzioni. Pertanto non costituisce motivo di nullità della decisione l'eventuale riferimento a norme generiche e principi generali o a norme del codice deontologico non ancora in vigore al momento della commissione del fatto (C.N.F. 16/03/2004, n. 41).
L'avvocato deve espletare il mandato ricevuto con diligenza e impegno che assicurino la costante tutela degli interessi a lui affidati; tuttavia non ogni errore professionale determina un illecito disciplinare, e il ritardato e negligente compimento degli atti inerenti al mandato ricevuto è sanzionabile disciplinarmente soltanto quando la mancanza sia riferibile ad una particolare trascuratezza non scusabile e
	
  
rilevante, indipendentemente dal fatto che ne derivi un pregiudizio agli interessi della parte assistita (C.N.F. 29/03/2003, n. 40). ➤ PRESCRIZIONE DELL'AZIONE DISCIPLINARE. L'azione disciplinare si prescrive in cinque anni dalla commissione del fatto se questo integra una condotta deontologica di carattere istantaneo che si consuma o si esaurisce nel momento in cui la stessa è posta in essere. Ove, invece, la violazione deontologica risulti integrata da una condotta protrattasi nel tempo la decorrenza del termine ha inizio dalla cessazione della condotta medesima (C.N.F. 16/06/2003, n. 162; C.N.F. 24/10/2003, n. 302; C.N.F. 28/11/2003, n. 375; C.N.F. 21/12/2005, n. 155; giur. costante).
L'azione disciplinare si prescrive in cinque anni dalla commissione del fatto se questo integra una violazione deontologica di carattere istantaneo, che si consuma e si esaurisce nel momento in cui la stessa è posta in essere. Ove invece la violazione deontologica sia integrata da una condotta protrattasi nel tempo, il termine decorre dalla data di cessazione della condotta medesima. Tale deve essere considerata la latitanza il cui stato permane, come disposto dall'art. 296 c.p.p., fino a che il provvedimento che vi ha dato causa sia revocato, perda efficacia, ovvero si siano estinti il reato o la pena per cui il provvedimento era stato emesso, o ancora l'estradato sia consegnato all'autorità richiedente (C.N.F. 21/02/2003, n. 8).
Qualora la violazione deontologica sia integrata da una condotta protrattasi nel tempo, la decorrenza del termine ha inizio dalla cessazione della medesima, come in caso di inadempimento del mandato, sotto la specie del mancato compimento dell'atto iniziale, con rilevante e non scusabile trascuratezza degl'interessi della parte assistita,	o	di	violazione	dell'obbligo d'informazione, sotto la specie della corretta comunicazione sullo svolgimento del mandato (C.N.F. 7/10/2013, n. 170).
La violazione dei doveri di cui ai precedenti
articoli costituisce illecito disciplinare
perseguibile nelle ipotesi previste nei titoli
II, III, IV, V, VI di questo codice.
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