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coniuge, rappresentando la controparte, abbia formulato richiesta di condanna. La deontologia forense richiede, infatti, all'avvocato di astenersi dal prestare attività professionale quando questa determini un conflitto, anche solo potenziale, che possa ingenerare anche solo il sospetto per il cliente di non aver avuta assicurata un adeguata difesa, a nulla rilevando ai fini della responsabilità disciplinare l'eventualità che l'incarico gli sia stato affidato d'ufficio, e che l'assistito abbia oppure no avuto la consapevolezza della situazione di conflitto (C.N.F. 29/12/2005, n. 245).
Non occorre espletare attività defensionale o anche di rappresentanza, ma basta la più circoscritta attività di assistenza, per la cui integrazione non è richiesto lo svolgimento di attività di difesa e rappresentanza essendo sufficiente che l'avvocato abbia semplicemente svolto attività diretta a creare l'incontro delle volontà seppure su un unico punto degli accordi di separazione (C.N.F. 23/7/2013 n. 137).
➤ COABITAZIONE E COLLABORAZIONE PROFESSIONALE. Nel caso in cui avvocati facciano parte dello stesso studio legale e contemporaneamente prestino la propria attività in favore di soggetti in conflitto di interessi è ravvisabile la violazione dell'art. 37 c.d.f., trattandosi di un comportamento non conforme alla dignità ed al decoro professionale. Al fine di escludere l'illecito non rileva la circostanza secondo cui tra gli avvocati sussista un semplice rapporto di colleganza di studio, e non un vero e proprio legame societario o d'altro tipo. L'interpretazione del citato art. 37 del codice deontologico (ancor più dopo la intervenuta modifica) impone di dare rilievo più che alla forma giuridica con cui ha luogo la collaborazione fra colleghi, il fatto materiale della collaborazione continuativa e pubblica, tale da indurre chiunque a dubitare
Art. 25. Accordi sulla definizione del compenso
Relazione illustrativa
L’art. 25 (“accordi sulla definizione del compenso”) mutua, come detto, al comma 1 la previsione di cui all’art.13 della legge n.247/2012, richiamando il limite del compenso od acconto “manifestamente sproporzionato all’attività svolta o da svolgere”; il comma 2 riproduce, anche letteralmente, il comma 4 del citato art.13 in tema di patto di quota lite (quella della esatta corrispondenza tra previsione deontologica/disciplinare contenuta nella legge e sua riproduzione nell’ambito del codice era, in questo e negli altri casi, una esigenza imprescindibile volta ad evitare irragionevoli contrasti forieri di evidenti problematiche sul piano interpretativo ed applicativo). Vero è che la nozione di “patto di quota lite” si presta,
1. La pattuizione dei compensi, fermo
quanto previsto dall'art. 29, quarto comma,
è libera. È ammessa la pattuizione a tempo,
in misura forfettaria, per convenzione
avente ad oggetto uno o più affari, in base
all'assolvimento e ai tempi di erogazione
della prestazione, per singole fasi o
prestazioni o per l'intera attività, a
percentuale sul valore dell'affare o su
quanto si prevede possa giovarsene il
destinatario della prestazione, non soltanto
a livello strettamente patrimoniale.
2. Sono vietati i patti con i quali l'avvocato
percepisca come compenso, in tutto o in
parte, una quota del bene oggetto della
prestazione o della ragione litigiosa.
3. La violazione del divieto di cui al
precedente comma comporta l'applicazione
della sanzione disciplinare della
sospensione dall'esercizio dell'attività
professionale da due a sei mesi.
dell'autonomia di determinazione professionisti (C.N.F. 21/12/2006, n. 184).
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