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Art. 50. Dovere di verità
1. L'avvocato non deve introdurre nel procedimento prove, elementi di prova o documenti che sappia essere falsi. 2. L'avvocato non deve utilizzare nel procedimento prove, elementi di prova o documenti prodotti o provenienti dalla parte assistita che sappia o apprenda essere falsi. 3. L'avvocato che apprenda, anche successivamente, dell'introduzione nel procedimento di prove, elementi di prova o documenti falsi, provenienti dalla parte assistita, non può utilizzarli o deve rinunciare al mandato
4. L'avvocato non deve impegnare di fronte al giudice la propria parola sulla verità dei fatti esposti in giudizio. 5. L'avvocato, nel procedimento, non deve rendere false dichiarazioni sull'esistenza o inesistenza di fatti di cui abbia diretta conoscenza e suscettibili di essere assunti come presupposto di un provvedimento del magistrato.
6. L'avvocato, nella presentazione di istanze o richieste riguardanti lo stesso fatto, deve indicare i provvedimenti già ottenuti, compresi quelli di rigetto.
7. La violazione dei divieti di cui ai commi 1, 2, 3, 4 e 5 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare della sospensione dall'esercizio dell'attività professionale da uno a tre anni. La violazione del dovere di cui al comma 6 comporta l'applicazione della sanzione disciplinare dell'avvertimento.
Relazione illustrativa
L’art.50 (“dovere di verità”), che specifica i doveri di lealtà, correttezza e probità di cui
all’art.9, con una formulazione in parte modificata rispetto alla già licenziata bozza del codice, contiene importanti novità nei primi 3 commi: innanzitutto la distinzione tra introduzione ed utilizzazione nel procedimento e l’ulteriore specificazione – rispetto al testo dell’art.14 dell’attuale codice che fa riferimento solo a “prove false” – che richiama gli “elementi di prova” o “documenti”; ancora, la previsione del divieto di utilizzazione o della rinuncia al mandato da parte del difensore, contenuta nel comma 3, nel caso in cui lo stesso apprenda, anche successivamente, dell’introduzione nel procedimento di prove, elementi di prova o documenti falsi provenienti dalla parte assistita; il comma 1 ripropone sostanzialmente il canone 1 dell’art.14 dell’attuale codice, rafforzando però il divieto per l’avvocato di introduzione nel procedimento di “prove false” atteso che viene usata, a tale proposito, l’espressione “non deve” in luogo di quella “non può” che figura attualmente nello stesso art.14; oltre al divieto di introduzione nel procedimento (che si estende, dunque, in ambito penale, anche alla fase delle indagini preliminari), il comma 2 vieta anche l’utilizzo di tali elementi che il difensore sappia o apprenda essere falsi, se gli stessi siano prodotti o provengano dalla parte assistita. Il 3 comma contempla, come detto, la circostanza della conoscenza, anche successiva, da parte del difensore e prevede il divieto di utilizzazione o, in alternativa, l’obbligo della rinuncia al mandato in tutti i casi in cui tali elementi falsi provengano dalla parte assistita; la previsione richiama dunque uno dei principi fondamentali posti a tutela del corretto esercizio dell’attività difensiva, e del corretto attuarsi della funzione giurisdizionale, e mira, nel contempo, a salvaguardare la stessa figura del difensore il quale, in presenza di situazioni di falsità probatoria ad opera della parte da lui assistita, non deve utilizzare gli elementi che sappia essere falsi oppure non deve proseguire nell’incarico difensivo.
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