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L'attribuzione alla controparte della prospettazione di circostanze false costituisce un'evidente manifestazione della dialettica processuale, che ha il limite del divieto di espressioni sconvenienti od offensive (art. 89 c.p.c.) autonomamente valutabile in sede disciplinare, talchè devono ritenersi non lesive della dignità e del decoro professionale l'attribuzione a controparte di "malafede processuale" (parola usata dall'art. 96 c.p.c, ai fini della responsabilità aggravata) e di deduzione di false circostanze, in quanto non sconvenienti né offensive ed altresì appartenenti al diritto di difesa nell'ambito del processo (C.N.F. 21/11/2006, n. 130).
Le espressioni usate dal professionista nei confronti del magistrato non integrano l'illecito ex art. 20 del codice deontologico qualora, lette nel contesto generale di un atto di impugnazione, non siano esorbitanti dalle esigenze di difesa dell'appellante perchè, pur costituendo critica severa al provvedimento del magistrato e una vivace sollecitazione a una più penetrante attenzione dei giudici di appello, rispondano al bisogno di rappresentare, con la maggiore efficacia possibile, la carenza di motivazione del provvedimento impugnato (C.N.F. 28/12/2006, n. 194).
➤ PROVOCAZIONE O RECIPROCITÀ. Pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante l'avvocato che usi espressioni offensive e sconvenienti in un esposto presentato al consiglio dell'ordine nei confronti di un collega, non rilevando a fini giustificativi il fatto che tali espressioni siano state una reazione al comportamento altrui, potendo questo rilevare ai soli fini della determinazione della sanzione (C.N.F. 27/06/2003, n. 172). L'uso di espressioni offensive verso il collega avversario non è giustificata dal fatto di aver reagito a una aggressione processuale, atteso che l'invocata esimente prevista dall'art. 599
c.p. non trova applicazione in materia deontologica; tuttavia la circostanza è idonea ad attenuare, dal punto di vista oggettivo, il vulnus deontologico e, dal punto di vista soggettivo, la volontà (C.N.F. 15/12/2006, n. 146).
L'avvocato che in udienza usi espressioni offensive nei confronti degli organi del fallimento pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante, a nulla valendo in materia deontologica l'esimente prevista dall'art. 599 c.p.; l'eventuale provocazione può, infatti, essere considerata solo come possibile attenuante ai fini della riduzione della sanzione (C.N.F. 16/02/2000, n. 3; C.N.F. 03/10/2001, n. 200; C.N.F. 28/12/2005, n. 239).
➤ ESPRESSIONI OFFENSIVE O SCONVENIENTI NEI CONFRONTI DI GIUDICE E DIFENSORE DI CONTROPARTE. L'avvocato che, in scritti difensivi, usi espressioni offensive e sconvenienti nei confronti del giudice e del collega di controparte pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante (C.N.F. 19/10/2007, n. 148). L'avvocato che in un colloquio con il proprio cliente usi espressioni offensive e denigratorie nei confronti di un collega pone in essere un comportamento lesivo del dovere di probità e colleganza propri della classe forense, a nulla rilevando l'eventualità che il colloquio, in cui tali espressioni sono state usate, fosse di carattere riservato (C.N.F. 23/11/2000, n. 195).
Ancorché la contrapposizione dialettica possa spiegare eventuali eccessi nell'uso di argomentazioni difensive, esula dai limiti che ciascun difensore deve in ogni caso rispettare l'attribuzione al collega avversario di fatti specifici costituenti reato e l'aggressione alla moralità e alla dignità della persona di questi, integrando siffatti comportamenti la violazione dei doveri di correttezza e di lealtà nei confronti dei colleghi prescritti dalle regole deontologiche, indipendentemente dalla loro rilevanza penale (C.N.F. 05/10/2006, n. 67).
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