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pertanto,
avrebbe
dovuto
pagare
gli
onorari
degli
avvocati
d'ufficio.
Secondo
il
Governo,
questa
circostanza
porrebbe
l'interessato
fuori
dal
campo
di
applicazione
del
comma
c)
del
paragrafo
3
dell'articolo
6
della
Convenzione.
Inoltre,
le
sue
affermazioni
sono
rivolte
contro
dei
privati
(gli
avvocati
d'ufficio
che
egli
era
tenuto
a
remunerare)
e
non
contro
lo
Stato.
Se
non
era
soddisfatto
della
qualità
della
difesa
assicurata
dagli
avvocati
nominati
d'ufficio,
il
ricorrente
avrebbe
potuto
nominare
un
avvocato
di
fiducia.
Il
Governo
osserva
anche
che
il
ricorrente
ha
fatto
delle
dichiarazioni
spontanee
all'udienza
del
5
maggio
1999,
il
che
dimostra
l'esistenza
di
una
strategia
di
difesa.
D'altra
parte,
gli
avvocati
degli
imputati
hanno
rivolto
varie
domande
ai
testimoni.
Il
ricorrente,
che
è
riuscito
a
contattare
l'avv.
B.
per
presentare
una
domanda
di
restituzione
nel
termine
e
per
interporre
appello,
avrebbe
potuto
rivolgersi
a
tale
avvocato
o
ai
suoi
sostituti
nel
corso
del
processo.
In
un
processo
contraddittorio,
è
l'imputato
a
dover
citare
e
interrogare
i
testimoni
a
suo
discarico.
La
difesa,
invece,
non
ha
mai
proceduto
a
tale
citazione,
e
dopo
numerose
udienze
si
è
considerato
che
il
ricorrente
aveva
rinunciato
ai
testimoni
in
questione.
Ai
sensi
dell'articolo
507
del
CPP
(paragrafo
31
supra),
il
tribunale
avrebbe
potuto
convocare
d'ufficio
e
interrogare
tali
testimoni
solo
se
lo
avesse
ritenuto
"assolutamente
necessario".
Tuttavia,
una
tale
necessità
non
sussisteva
nella
fattispecie,
in
cui
numerose
prove,
tra
le
quali
alcuni
documenti,
pesavano
a
carico
del
ricorrente.
In
ogni
caso,
non
è
lo
Stato
a
dover
citare
testimoni
ai
quali
la
parte
interessata
ha
implicitamente
rinunciato.
Valutazione
della
Corte
Dato
che
le
esigenze
del
paragrafo
3
rappresentano
degli
aspetti
particolari
del
diritto
ad
un
processo
equo
sancito
dal
paragrafo
1
dell'articolo
6,
la
Corte
esaminerà
i
motivi
del
ricorrente
sotto
il
profilo
del
combinato
disposto
dei
due
testi
(v.,
tra
molte
altre,
Van
Geyseghem
c.
Belgio
(GC),
n.
26103/95,
§
27,
CEDU
1999-‐I).
La
Corte
ricorda
che,
se
riconosce
a
ogni
imputato
il
diritto
di
"difendersi
personalmente
o
avere
l'assistenza
di
un
difensore
(&)",
l'articolo
6
§
3
c)
non
precisa
le
condizioni
di
esercizio
di
tale
diritto.
Esso
lascia
pertanto
agli
Stati
contraenti
la
scelta
dei
mezzi
atti
a
permettere
al
loro
sistema
giudiziario
di
garantirlo;
il
compito
della
Corte
consiste
nell'esaminare
se
la
via
da
essi
intrapresa
concorda
con
le
esigenze
di
un
processo
equo
(Quaranta
c.
Svizzera,
sentenza
del
24
maggio
1991,
serie
A
n.
205,
p.
16,
§
30).
Al
riguardo,
non
bisogna
dimenticare
che
la
Convenzione
ha
lo
scopo
di
"tutelare
dei
diritti
non
teorici
o
illusori,
ma
concreti
ed
effettivi",
e
che
la
nomina
di
un
avvocato
non
garantisce
da
sola
l'effettività
dell'assistenza
che
l'avvocato
può
fornire
all'imputato
(Imbrioscia
c.
Svizzera,
sentenza
del
24
novembre
1993,
série
A
n.
275,
p.
13,
§
38,
e
Artico
c.
Italia,
sentenza
del
13
maggio
1980,
serie
A
n.
37,
p.
16,
§
33).
Non
si
può
tuttavia
imputare
ad
uno
Stato
la
responsabilità
di
tutte
le
lacune
dell'avvocato
nominato
d'ufficio
o
scelto
dall'imputato.
Dall'indipendenza
del
foro
rispetto
allo
Stato
deriva
che
il
modo
in
cui
viene
condotta
la
difesa
è
essenzialmente
di
competenza
dell'imputato
e
del
suo
avvocato,
nominato
a
titolo
di
gratuito
patrocinio
o
retribuito
dal
suo
cliente
(Cuscani
c.
Regno
Unito,
no
32771/96,
§
39,
24
settembre
2002).
L'articolo
6
§
3
c)
obbliga
le
autorità
nazionali
competenti
a
intervenire
solo
se
la
lacuna
dell'avvocato
d'ufficio
sembra
manifesta,
o
se
le
stesse
ne
vengono
sufficientemente
informate
in
qualsiasi
altro
modo
(Kamasinski
c.
Austria,
sentenza
del
19
dicembre
1989,
serie
A
n.
168,
p.
33,
§
65,
e
Daud
c.
Portogallo,
sentenza
del
21
aprile
1998,
Raccolta
delle
sentenze
e
decisioni
1998-‐II,
pp.
749-‐750,
§
38).
Nella
fattispecie,
il
18
gennaio
1999,
l'avvocato
scelto
dal
ricorrente,
l'avv.
G.,
ha
rinunciato
al
suo
mandato
(paragrafo
7
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