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ricorrente
subirebbe
un
ulteriore
danno,
equivalente
a
200.000
EUR.
Il
Governo
sostiene
che
un
nuovo
processo
è
incompatibile
con
un'equa
soddisfazione.
La
constatazione
di
violazione
non
implica
che
la
condanna
del
ricorrente
fosse
infondata.
Pertanto,
non
può
essere
accodata
alcuna
somma
a
titolo
di
danno
materiale
all'interessato,
che
del
resto
non
ha
subito
alcuna
privazione
della
libertà.
Quanto
al
danno
morale,
la
semplice
constatazione
di
una
violazione
costituisce
un'equa
soddisfazione
sufficiente.
La
Corte
ricorda
anzitutto
che
essa
non
è
competente
per
annullare
le
condanne
pronunciate
da
giurisdizioni
nazionali
(Findlay
c.
Regno
Unito,
sentenza
del
25
febbraio
1997,
Raccolta
1997-‐I,
p.
284,
§
88,
e
Albert
e
Le
Compte
c.
Belgio
(vecchio
articolo
50),
sentenza
del
24
ottobre
1983,
serie
A
n.
68,
pp.
6-‐7,
§
9)
o
per
ordinare
la
sospensione
dell'esecuzione
della
pena
pronunciata
all'esito
del
procedimento
che
essa
ha
dichiarato
non
conforme
a
una
delle
norme
dell'articolo
6
della
Convenzione.
Inoltre,
essa
accorda
somme
a
titolo
dell'equa
soddisfazione
prevista
dall'articolo
41
quando
la
perdita
o
i
danni
reclamati
sono
stati
causati
dalla
violazione
constatata,
mentre
lo
Stato
non
è
tenuto
a
versare
denaro
per
i
danni
che
non
sono
ad
esso
imputabili
(Perote
Pellon
c.
Spagna,
n.
45238/99,
§
57,
25
luglio
2002,
e
Bracci
c.
Italia,
n.
36822/02,
§
71,
13
ottobre
2005).
Nella
fattispecie,
la
Corte
ha
constatato
una
violazione
dell'articolo
6
della
Convenzione
nella
misura
in
cui
gli
organi
dello
Stato
convenuto
non
sono
intervenuti
per
porre
rimedio
a
delle
lacune
evidenti
nella
difesa
dell'imputato.
Tale
constatazione
non
implica
necessariamente
che
la
condanna
del
ricorrente
fosse
infondata
(Hauschildt
c.
Danimarca,
sentenza
del
24
maggio
1989,
serie
A
n.
154,
p.
24,
§
57,
e
Cianetti
c.
Italia,
n.
55634/00,
§
50,
22
aprile
2004).
La
Corte
non
può
nemmeno
speculare
su
quale
sarebbe
stato
l'esito
del
processo
se
il
ricorrente
avesse
potuto
godere
delle
garanzie
dell'articolo
6
(Pélissier
e
Sassi
c.
Francia
(GC),
n.
25444/94,
§
80,
CEDU
1999-‐ II)
o
su
quale
sarebbe
stata
la
durata
del
procedimento
controverso
se
l'interessato
avesse
avuto
la
possibilità
di
interporre
appello
o
di
presentare
ricorso
per
cassazione.
Pertanto,
la
Corte
non
ritiene
appropriato
accordare
una
compensazione
al
ricorrente
a
titolo
di
danno
materiale.
In
effetti,
non
è
stato
dimostrato
alcun
legame
di
causalità
tra
la
violazione
constatata
e
il
danno
denunciato
dall'interessato.
68.
Quanto
al
danno
morale,
la
Corte
ritiene
che,
nelle
circostanze
della
presente
causa,
la
constatazione
di
violazione
rappresenta
di
per
sé
un'equa
soddisfazione
sufficiente
(v.,
mutatis
mutandis,
Bracci
già
cit.,
§
74,
e
Craxi
c.
Italia,
n.
34896/97,
§
112,
5
dicembre
2005).
La
Corte
ricorda
che,
in
cause
intentate
contro
la
Turchia
riguardanti
l'indipendenza
e
l'imparzialità
delle
corti
di
sicurezza
dello
Stato,
essa
ha
indicato
in
alcune
sentenze
camerali
che
in
linea
di
principio
la
riparazione
più
adeguata
consisterebbe
nel
far
giudicare
nuovamente
il
ricorrente
su
richiesta
di
quest'ultimo
e
in
tempo
utile
(v.,
tra
le
altre,
Gençel
c.
Turchia,
n.
53431/99,
§
27,
23
ottobre
2003,
e
Tahir
Duran
c.
Turchia,
n.
40997/98,
§
23,
29
gennaio
2004).
È
anche
opportuno
notare
che
una
posizione
simile
è
stata
adottata
in
cause
contro
l'Italia
in
cui
la
constatazione
di
violazione
delle
esigenze
di
equità
stabilite
dall'articolo
6
risultava
da
una
violazione
del
diritto
a
partecipare
al
processo
(Somogyi
c.
Italia,
n.
67972/01,
§
86,
CEDU
2004-‐IV,
e
R.R.
c.
Italia
già
cit.,
§
76)
o
del
diritto
di
interrogare
i
testimoni
a
carico
(Bracci
già
cit.,
§
75).
La
Grande
Camera
ha
fatto
proprio
l'approccio
generale
adottato
nella
giurisprudenza
sopra
citata
(Öcalan
c.
Turchia
(GC),
n.
46221/99,
§
210,
12
maggio
2005).
La
Corte
ritiene
di
conseguenza
che
quando
un
privato,
come
nella
fattispecie,
è
stato
condannato
all'esito
di
un
procedimento
viziato
da
inosservanze
delle
esigenze
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