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data
dell'udienza
presidenziale,
anche
tenendo
conto
del
fatto
che,
nel
ricorso
presentato
da
uno
solo
dei
coniugi,
possono
essere
contenute
le
modalità,
eventualmente
già
concordate,
della
separazione,
ma
è
comunque
sufficiente
l'asserzione
che
si
è
raggiunto
l’
accordo
o
che
si
ritiene
che
esso
possa
essere
raggiunto.
Nella
separazione
giudiziale,
proprio
in
considerazione
della
sua
natura
contenziosa
e
dell'esistenza
di
un
coniuge
convenuto
in
senso
tecnico,
il
dies
a
quo
decorre
dalla
notificazione
della
domanda.
Nel
corso
dell'esame
in
Commissione
e,
in
particolare,
all'esito
delle
audizioni
svolte,
si
è
optato
per
una
formulazione
che
non
prevedesse
alcuna
differenziazione
del
termine
in
questione
in
relazione
alla
presenza
o
meno
di
figli
minori.
In
caso
di
separazione
giudiziale
non
è
sembrato
utile
prevedere
un
termine
più
ampio
in
presenza
di
figli
minori.
Trattandosi,
infatti,
di
una
forma
di
separazione
caratterizzata
spesso
da
accesa
conflittualità
e
da
rarissimi
casi
di
riconciliazione,
si
è
ritenuto
che
la
riduzione
del
termine
per
la
proposizione
della
domanda
di
divorzio
da
tre
anni
ad
un
anno
potesse
tradursi
in
una
complessiva
riduzione
del
periodo
conflittuale
e,
quindi,
in
un
minor
danno
per
i
figli
minori.
Nel
testo
base
adottato
dalla
Commissione,
infatti,
solo
nel
caso
di
separazione
consensuale
si
prevedeva
che,
in
presenza
di
figli
minori,
il
termine
potesse
essere
più
lungo
(sia
pure
di
poco:
dodici
mesi
anziché
nove
mesi).
Hanno
finito,
tuttavia,
per
prevalere
altre
più
convincenti
argomentazioni
che
hanno
indotto
la
Commissione
a
superare
questa
formulazione
e
a
prevedere
un
termine
unico
ulteriormente
abbreviato
(sei
mesi)
e
indipendente
dalla
presenza
di
figli
minori.
In
particolare,
si
è
ritenuto
che
neanche
nella
separazione
consensuale
l'estensione
del
periodo
di
separazione
possa
in
alcun
modo
giovare
ai
figli
minori,
poiché
il
periodo
della
lotta
giuridica
tra
genitori
è
sempre
troppo
lungo
per
i
figli.
Si
è,
inoltre,
osservato
come
l'interesse
del
minore
nel
contesto
della
crisi
di
coppia
sia
già
ampiamente
tutelato
dal
nostro
ordinamento
giuridico,
soprattutto
dopo
l'entrata
in
vigore
della
legge
n. 54
del
2006
sull'affido
condiviso,
che
tende
a
garantire
il
diritto
alla
bigenitorialità
dei
minori
e
a
delimitare
la
conflittualità
delle
coppie
nel
momento
della
crisi
coniugale,
dettando
una
disciplina
unica
circa
la
sorte
dei
figli
nella
crisi
familiare
e
mettendo,
quindi,
in
discussione
il
doppio
binario
tra
disciplina
della
separazione
e
disciplina
del
divorzio.
L'articolo
2
integra
la
formulazione
dell'articolo
189
delle
disposizioni
di
attuazione
del
codice
processuale
civile,
in
base
al
quale
l'ordinanza
presidenziale
conserva
la
sua
efficacia
anche
dopo
l'estinzione
del
processo
finché
non
sia
sostituita
con
altro
provvedimento
emesso
dal
presidente
o
dal
giudice
istruttore,
a
seguito
di
una
nuova
presentazione
di
ricorso
per
separazione
personale
dei
coniugi.
Nella
pratica
può
accadere,
infatti,
che
il
presidente
del
tribunale,
nell'adottare
i
provvedimenti
provvisori,
stabilisca
un
regime
della
separazione
ritenuto
soddisfacente
o
almeno
accettabile
dai
coniugi.
Non
è
infrequente,
allora,
che
i
coniugi
trascurino
di
costituirsi
o
comunque
di
comparire
alle
udienze,
lasciando
che
il
giudizio
entri
nella
fase
di
quiescenza
che
conduce
all'estinzione.
La
ratio
del
citato
articolo
189,
secondo
comma,
è
dunque
nel
senso
di
consentire
che
il
regime
di
separazione
provvisoria
possa
protrarsi
indefinitamente.
La
modifica
introdotta
prevede
che
tale
ordinanza,
emessa
nell'ambito
della
fase
presidenziale
del
giudizio
di
separazione
personale
tra
i
coniugi,
caratterizzata
dalla
permanenza
degli
effetti
in
caso
di
estinzione
del
giudizio
medesimo,
possa
essere
sostituita
anche
da
un
provvedimento
del
giudice
del
divorzio,
in
seguito
alla
presentazione
di
ricorso
per
la
cessazione
degli
effetti
civili
o
per
lo
scioglimento
del
matrimonio.
Sebbene
si
tratti
di
ipotesi
residuali,
la
disposizione
che
si
intende
10