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Il
verificarsi
di
eventuali
riconciliazioni
è
infatti
dovuto
per
effetto
di
un
convincimento
personale
dei
protagonisti
della
vicenda
e
non
per
effetto
di
un
intervento
legislativo
che
imponga
scelte
di
un
certo
genere
o
scelte
di
un
altro
genere.
La
proposta
poi,
oltre
a
considerare
il
tema
dei
tempi,
ne
affronta
un
secondo
che
è
quello
della
cessazione
della
comunione
tra
i
coniugi.
Il
testo
anticipa
lo
scioglimento
della
comunione
legale
nella
separazione
giudiziale
al
momento
in
cui
il
presidente
del
tribunale,
in
sede
di
udienza
di
comparizione,
autorizza
i
coniugi
a
vivere
separati;
nella
separazione
consensuale,
alla
data
di
sottoscrizione
del
relativo
verbale
di
separazione,
purché
omologato.
Il
regime
di
comunione
cessa,
nel
vigore
della
normativa
attuale,
con
la
pronuncia
di
separazione.
In
sostanza,
si
tratta
di
un
provvedimento
condivisibile
e
aperto
a
miglioramenti,
nella
totale
serenità
e
disponibilità
dimostrate
dai
relatori
e
dalle
diverse
forze
politiche
che
hanno
collaborato
alla
stesura
del
testo.
È
importante
che
questa
Camera
e
il
Parlamento
affrontino
un
tema
così
sentito
dai
cittadini,
che
tocca
le
vite
quotidiane
di
migliaia
e
migliaia
di
persone,
portando
fino
in
fondo
le
suddette
disposizioni
di
modifica
della
normativa
vigente
per
modernizzare
e
rendere
la
legislazione
del
nostro
Paese
sicuramente
più
vicina
a
quella
della
maggior
parte
dei
Paesi
europei.
EUGENIA
ROCCELLA.
Signor
Presidente,
io
devo
confessare
tutta
la
mia
perplessità
su
questo
provvedimento.
L'onorevole
Giuliani
ha
ricordato
il
gap
che
ci
separa,
anche
sul
tema
che
discutiamo
oggi,
dall'Europa.
È
vero:
per
decenni
il
nostro
Paese
è
stato
in
controtendenza
rispetto
al
resto
d'Europa
su
tutti
i
dati
che
riguardano
la
famiglia
e
in
parte
lo
è
ancora.
La
percentuale
dei
divorzi
in
Italia
è
molto
bassa,
è
circa
la
metà
della
media
europea;
ci
sono
da
noi
meno
madri
single,
meno
figli
nati
fuori
dal
matrimonio,
meno
anziani
abbandonati,
meno
fenomeni
tipici
del
disagio
giovanile,
come
la
violenza
sulle
donne,
aborti
e
gravidanze
fra
le
minorenni,
bande
giovanili
e
così
via.
Giovanni
Paolo
II
parlava
di
eccezione
italiana;
altri
la
definiscono,
invece,
l'anomalia
italiana,
in
un'accezione
ovviamente
negativa,
e
indicano
il
modello
europeo
come
una
meta
da
raggiungere,
un
criterio
a
cui
uniformarsi
(è
stato
detto
anche
qui).
In
realtà,
guardando
cosa
accade
negli
altri
Paesi
europei,
leggendo
con
accuratezza
i
dati,
verrebbe
solo
voglia
di
tenersi
stretta
la
nostra
differenza.
Le
alte
percentuali
di
divorzi
e
di
madri
sole
comportano,
infatti,
fenomeni
sociali
pesanti,
come
la
nuova
povertà
femminile
e
infantile,
una
labilità
della
figura
paterna
che
è
ormai
un
fenomeno
studiato
che
produce
danni
educativi
visibili.
Ricordo
che
è
stata
coniata
la
definizione
di
guess
father
in
Inghilterra,
padre
ospite,
per
figure
maschili
transitorie,
poco
incisive,
che
ormai
non
riescono
a
svolgere
un
ruolo
paterno.
Con
il
disgregarsi
della
cosiddetta
famiglia
tradizionale
–
è
un
termine
che
a
me
non
piace,
una
definizione
incongrua:
io
preferirei
parlare
di
famiglia
stabile
–
i
costi
del
welfare
e
della
sanità
si
innalzano.
Pensiamo,
per
esempio,
all'assistenza
domiciliare,
che
diventa
inutile
nel
momento
in
cui
non
c’è
più
una
famiglia
a
cui
appoggiarsi,
una
famiglia
stabile
a
cui
appoggiarsi.
Ma
in
ogni
caso
lo
Stato
non
riesce
a
sostituirsi
alla
famiglia,
né
sul
piano
della
sostenibilità
economica
né
su
quello
dell'efficacia
della
capacità
di
cura,
di
educazione,
delle
distribuzioni
interne
del
reddito,
dei
compiti
sussidiari
che
svolge.
La
legge
fa
costume,
indica
una
direzione.
Non
è
solo
la
registrazione
burocratica
di
un
dato
di
fatto,
di
un
mutamento
avvenuto,
come
mi
è
sembrato
fosse
adombrato
in
qualche
intervento.
Una
proposta
come
quella
che
discutiamo
oggi
implica
sul
piano
dei
valori
che
la
stabilità
non
è
un
obiettivo
da
perseguire,
che
il
matrimonio
non
comporta
un
impegno
di
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