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connaturata
alla
genitorialità
umana,
e
non
è
solo
legata
ai
desideri
individuali;
è
connaturata,
persino
biologicamente,
alla
capacità
di
autonomia
molto
tardiva
dei
cuccioli
di
uomo.
Noi
qui
dobbiamo
decidere
se
questa
stabilità
insita
nell'impegno
matrimoniale
e
genitoriale
è
qualcosa
che
va
valorizzato
e
promosso,
qualcosa
che
richiede
anche
fatica,
ma
che
non
può
essere
eliminato
con
leggerezza,
oppure
no.
Voglio
ricordare
che,
di
fronte
alle
richieste
di
equiparare
il
regime
della
famiglia
alle
convivenze,
la
Corte
costituzionale
ha
risposto
negativamente,
facendo
sempre
leva
sulla
stabilità
del
nucleo
familiare
e
–
cito
–
sui
caratteri
di
stabilità,
certezza
e
della
reciprocità
e
corrispettività
dei
diritti
e
doveri
che
sono
propri
della
famiglia
legittima.
Proprio
per
questo
ha
ritenuto
che
la
disciplina
prevista
per
la
famiglia
e
quella
per
le
unioni
di
fatto
non
sono
suscettibili
di
comparazione.
Secondo
la
Consulta,
il
rapporto
di
fatto
è
privo
–
cito
sempre
–
delle
caratteristiche
di
certezza
e
stabilità
proprie
della
famiglia
legittima,
osservandosi,
tra
l'altro,
che
la
coabitazione
può
venire
a
cessare
unilateralmente
in
qualsivoglia
momento.
Infatti,
la
convivenza
si
fonda
necessariamente
ed
esclusivamente
su
un
semplice
vincolo
affettivo,
liberamente
e
in
ogni
istante
revocabile,
di
ciascuna
delle
parti.
Di
qui
l'impossibilità
di
estendere,
attraverso
un
mero
giudizio
di
equivalenza
fra
le
due
situazioni,
la
disciplina
prevista
per
la
famiglia
legittima
alla
convivenza
di
fatto.
Dunque,
la
differenza
tra
una
convivenza
di
fatto
e
un
matrimonio
è
proprio
la
forza
dell'impegno,
la
stabilità
e
la
certezza
dei
legami,
le
promesse
che
facciamo
dal
punto
di
vista
pubblico
e
ufficiale.
Con
questa
legge
andiamo
a
colpire
esattamente
questo
punto,
simbolicamente,
culturalmente
e
anche
nella
vita
quotidiana
delle
persone.
Rendiamo
il
matrimonio
sempre
più
simile
a
un
semplice
patto
di
convivenza,
a
qualcosa
che
non
richiede
un
particolare
impegno,
che
si
può
sciogliere
con
facilità,
anche
se
ci
sono
figli.
Facciamo
passare
l'idea
che
stabilità
e
certezza
non
siano
più
valori,
che
gli
impegni
presi
valgono
poco,
che
sono
esili
e
transitori.
Nonostante
questo,
non
credo
che
chi
ha
voluto
questa
proposta
di
legge
parta
da
una
volontà
negativa,
distruttiva,
da
un'idea
di
liquidazione
della
famiglia.
In
alcune
relazioni
introduttive
alle
diverse
proposte
di
legge,
e
anche
qui
nel
dibattito,
è
evidente
l'intenzione
di
rendere
più
facile
la
formazione
di
una
nuova
eventuale
famiglia,
scindendo
più
velocemente
i
legami
usurati
che
si
è
deciso
di
tagliare.
Perché
dovrebbe
essere
necessario
aspettare
tre
anni ?
Perché
non
permettere
a
chi
vuole
uscire
da
un
matrimonio
infelice
e,
magari,
ha
già
un
altro
compagno
o
un'altra
compagna
di
iniziare
subito
questa
nuova
vita
insieme,
senza
perdere
tempo
e
trascinarsi
in
lunghe
attese ?
Una
volta
che
un
matrimonio
è
finito
meglio
voltare
pagina
e
aprirsi
al
futuro.
Eppure
non
è
così:
il
rischio
è
che
politiche
finalizzate
in
buona
fede
alla
riduzione
del
danno,
politiche
che
–
anche
questo
è
stato
detto
qui
–
devono
dare
risposte
e
soluzioni
al
problema,
finiscano,
invece,
per
incrementare
e
favorire
il
danno,
per
promuovere
il
fenomeno
che
si
vorrebbe
prevenire
o
a
cui
si
vorrebbe
porre
rimedio.
Una
legge
che
vorrebbe
nelle
intenzioni
alleggerire
il
peso
della
separazione,
insomma,
porterebbe,
temo,
ad
alleggerire,
invece,
l'impegno
matrimoniale,
l'idea
che
una
famiglia
è
nata
per
durare
e
che
scioglierla
con
il
divorzio
dovrebbe
essere
l'ultima
delle
soluzioni
possibili.
Insomma,
alla
fine,
se
per
disinnescare
il
contenzioso
–
anche
questo
è
stato
detto
–
bisogna
sciogliere
il
nodo
matrimoniale
il
più
velocemente
possibile,
tanto
vale
disinnescare
ogni
contenzioso,
non
accedendo
nemmeno
al
matrimonio,
passando
direttamente
alle
convivenze.
L'onorevole
Moretti
ha
ricordato
la
battaglia
sul
divorzio
e
io
ho
lottato
negli
anni
Settanta
perché
ci
fosse
una
legge
sul
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