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divorzio,
perché
un
matrimonio
infelice
per
chi
non
è
credente
e
non
lo
vive
come
un
sacramento
non
sia
una
prigione.
Ma
non
può
nemmeno
diventare
un
Pac,
una
forma
di
unione
di
fatto
priva
di
rilievo
sociale
e,
alla
fine,
anche
costituzionale.
Sono
convinta
che
questo
Paese,
in
cui
la
famiglia
storicamente
è
tanto
centrale
ed
è
ancora
solida,
debba
finalmente
porsi
il
problema
di
politiche
familiari
serie,
a
partire
dal
trattamento
fiscale
–
e,
tra
l'altro,
il
mio
partito,
a
questo
proposito,
ha
avanzato
proposte
concrete
di
immediata
attuabilità
–
fino
alle
politiche
di
conciliazione
e
a
tutte
le
politiche
che
abbiamo
visto
che
possono
produrre
effetti
contro
l'inverno
demografico.
Ma
tutti
gli
asili
nido
del
mondo,
tutte
le
detrazioni
fiscali,
le
politiche
di
conciliazione
sul
lavoro
di
cura
e
il
lavoro
extra
domestico,
non
serviranno,
se
non
c’è
una
valorizzazione
culturale
della
famiglia,
della
maternità
e
della
paternità,
e
questa
legge
temo
che
vada
nella
direzione
opposta.
TANCREDI
TURCO.
Signor
Presidente,
i
cittadini
italiani
attendono
da
molti
anni
una
necessaria
modifica
alla
legge
del
1970
sul
divorzio.
Tale
modifica
deve
essere
improntata
alla
riduzione
dei
tempi
per
lo
scioglimento
degli
effetti
civili
del
matrimonio.
La
normativa
attuale,
già
modificata
nel
1987,
dove
si
abbreviò
da
cinque
a
tre
anni
il
tempo
intercorrente
dalla
separazione
dei
coniugi
alla
cessazione
degli
effetti
civili
del
matrimonio,
impone
alla
coppia
che
intende
divorziare
un
doppio
passaggio:
dapprima
la
separazione
e
poi,
trascorsi
tre
anni
dal
momento
nel
quale
i
coniugi,
in
sede
di
udienza
presidenziale,
vengono
autorizzati
a
vivere
separatamente,
il
divorzio.
Tale
procedura
dai
tempi
dilatati
risulta
essere
impegnativa
e
costosa
dal
punto
di
vista
economico,
ma
anche
e
soprattutto
sotto
l'aspetto
psicologico.
Nella
fine
di
un
matrimonio
ci
sono
forti
implicazioni
emotive,
che
portano
a
perdere
ragionevolezza
e
che,
troppo
spesso,
coinvolgono
anche
i
figli.
L'idea
sottesa
a
questa
riforma
è
di
consentire
a
marito
e
moglie
che
non
trovano
più
la
forza
per
andare
avanti
assieme
di
potersi
lasciare
nel
modo
più
rapido
ed
indolore,
evitando
lungaggini
dolorose
per
entrambi
e,
anche
e
soprattutto,
per
i
figli
minori,
se
presenti.
Riteniamo
che
attraverso
la
riduzione
del
termine
di
tre
anni,
ormai
eccessivo,
intercorrente
tra
la
separazione
e
il
divorzio
si
ridurrebbero
di
molto
i
tempi
per
la
conclusione
dell'esperienza
coniugale
ormai
naufragata.
Le
famiglie
spenderebbero
meno
in
termini
di
costi
per
l'assistenza
legale,
consulenze
e
perizie,
e
tale
contenimento
dei
tempi
alleggerirebbe
il
carico
di
lavoro
degli
uffici
giudiziari.
Questo
doppio
iter
procedurale
appare
ormai
quasi
come
una
forma
di
coercizione
della
libertà
degli
individui
e
poco
o
nulla
serve
a
far
affievolire
la
sofferenza
emotiva
e
le
situazioni
di
conflitto
dei
coniugi.
Nell'ambito
delle
audizioni,
per
di
più,
non
sono
emersi
argomenti
a
favore
di
una
maggiore
tutela
dei
figli
attraverso
un
prolungamento
dei
tempi
di
separazione.
Secondo
recenti
dati
ISTAT,
nel
2011
le
separazioni
sono
state
quasi
89
mila
e
i
divorzi
quasi
54
mila,
sostanzialmente
stabili
rispetto
all'anno
precedente.
Di
queste
separazioni,
sempre
secondo
i
dati
statistici,
solo
il
2
per
cento
delle
coppie
che
si
separa
poi
si
riconcilia
e
torna
a
vivere
sotto
lo
stesso
tetto.
Ciò
rappresenta
in
modo
inequivocabile
che
in
genere
chi
si
rivolge
al
tribunale
per
mettere
fine
alla
propria
vita
matrimoniale
abbia
già
maturato
una
scelta
irreversibile.
Appare
perciò
inutile
imporre
ai
coniugi
questa
lunga
pausa
di
riflessione
tra
separazione
e
divorzio.
Il
tema
in
oggetto
è
stato
nel
corso
degli
anni
più
volte
affrontato,
pervenendo
a
volte
all'approvazione
di
proposte
parlamentari
in
Commissione,
ma
alle
quali
non
è
mai
seguita
la
definitiva
approvazione
in
Aula.
Questa
riforma
è
stata
grandemente
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