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iniziato
molti,
molti
anni
fa.
Già
nel
2003,
nella
XIV
legislatura,
fu
avviato
l'iter,
poi
il
provvedimento
fu
rimandato
in
Commissione;
nella
scorsa
legislatura
si
arrivò
in
Aula
e
poi
ci
si
arenò.
Quindi,
è
una
storia
travagliata,
un
percorso
travagliato,
ostacolato
in
prevalenza
da
una
mentalità
che
abbiamo
sentito
anche
oggi
in
Aula
attraverso
la
collega
Roccella,
una
mentalità
secondo
la
quale
occorre
tutelare
l'unità
e
la
stabilità
della
famiglia
e
per
farlo
occorre,
in
qualche
modo,
utilizzare
degli
strumenti
normativi
e
legislativi
che
disincentivino,
che
creino
ostacoli
allo
scioglimento
del
vincolo
matrimoniale.
Io
credo
che
questo
sia
veramente
un
approccio
sbagliato,
un
approccio
che
non
tutela
proprio
quella
stessa
unità,
stabilità
familiare
che,
al
contrario,
si
vorrebbe
tutelare,
per
un
semplice
motivo:
la
stabilità
e
l'unità
della
famiglia
si
basano
–
e
non
possono
che
basarsi
–
sull'amore
volontario,
sulla
voglia
di
stare
insieme
e
di
far
vivere
ogni
giorno
su
base
volontaria
e
spontanea
la
promessa
e
la
voglia
di
stare
insieme.
Non
esiste
una
forzatura
normativa
e
legislativa
che
possa
in
qualche
modo
sollecitare
i
sentimenti
e
le
emozioni
umane.
Quindi,
dobbiamo
prendere
atto
di
questo
e
prendere
atto
che
questa
forzatura
normativa,
che
questa
mentalità,
di
fatto,
involontariamente,
ha
creato
però
dei
costi
anche
sociali,
dei
costi
giudiziali.
Ha
creato
dei
costi
sociali
perché
abbiamo
visto
quanta
tensione
si
crei
nelle
famiglie
che
forzatamente
devono
convivere
lunghi
periodi
prima
di
giungere
ad
uno
scioglimento
e
ad
un
divorzio,
quanto
queste
tensioni
si
possano
ripercuotere
negativamente
proprio
sull'armonia
familiare
e
sui
suoi
membri
più
deboli,
come
i
bambini,
come
le
stesse
mogli
o
i
coniugi
che
magari
non
hanno
autonomia
economica
e
finanziaria
e
sono
costretti
a
volte
a
subire
ricatti,
minacce,
violenze.
Le
violenze
domestiche
nascono
molto
spesso
da
questi
tipi
di
contesti,
dai
contenziosi,
dalle
tensioni.
Quindi,
aver
alimentato
questa
illusione,
per
cui
l'unità
e
la
stabilità
familiare
si
tutelano
con
delle
forzature
normative,
ha
provocato
costi
sociali
enormi,
oltre
a
costi
economici
e
giudiziali.
Infatti,
come
alcuni
colleghi
hanno
già
ricordato,
questa
normativa
ha
causato
enormi
esborsi
monetari
da
parte
delle
famiglie.
Ma
non
solo,
ricordiamo
che
il
contenzioso
legato
al
divorzio
costa
allo
Stato
all'incirca
il
16,5
per
cento
del
costo
della
giustizia
civile.
Questi
sono
dei
costi
che
noi
abbiamo
sostenuto,
che
la
nostra
società
ha
sostenuto
per
una
miopia
e
un
approccio
–
a
mio
avviso
–
sbagliato
su
quelli
che
sono
e
debbono
essere
gli
strumenti
per
tutelare
l'unità
e
l'armonia
della
famiglia.
Quindi,
con
questa
legge
in
un
certo
senso
si
pone
rimedio
a
quelle
che
sono
state
delle
miopie
del
passato,
e
con
questa
legge
in
un
certo
senso
ci
si
adegua
ad
una
società
che,
di
fatto,
è
cambiata
da
tempo,
che
di
fatto
non
è
più
quella
che
avevamo
conosciuto
decine
e
decine
di
anni
fa.
Non
spetta
a
noi
dare
giudizi
di
merito
se
questo
tipo
di
evoluzione
ci
piace
o
no.
Spetta
a
noi
fornire
gli
strumenti
affinché
questi
cambiamenti
avvengano
in
maniera
serena
per
le
persone
che
si
trovano
a
vivere
certe
situazioni.
Ricordo
che
nel
1974,
quando
ci
fu
il
referendum,
molte
delle
persone
che
all'epoca
erano
contrarie,
fortemente
contrarie,
all'istituto
del
divorzio
invocavano
scenari
apocalittici
di
lacerazioni
del
tessuto
sociale,
di
cose
terribili,
cose
che
in
realtà
poi
non
sono
accadute.
Come
ha
detto
successivamente
un
noto
costituzionalista,
Augusto
Barbera,
cito
le
sue
parole,
«non
si
ebbero
quelle
conseguenze
laceranti
sul
tessuto
sociale
e
sulla
pace
religiosa
da
più
parti
pronunciate.
Il
Paese
dimostrò
così
chiaramente
di
essere
su
posizioni
ben
più
avanzate
di
quelle
che
la
classe
politica
italiana
gli
attribuiva».
Ed
è
così.
È
stato
così
sul
divorzio,
è
stato
così
su
molte
altre
battaglie
civili.
Molto
spesso
la
classe
politica
non
ha
neanche
il
coraggio
di
farsi
portavoce
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