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PIA
ELDA
LOCATELLI.
Signor
Presidente,
come
è
già
stato
detto,
abbiamo
celebrato
da
pochi
giorni
i
quarant'anni
della
legge
sul
divorzio,
una
legge
promossa
dal
socialista
Fortuna
e
dal
liberale
Baslini,
una
legge
sofferta,
osteggiata
a
lungo
dall'allora
DC,
ma
non
dall'elettorato
cattolico
che,
infatti,
bocciò
il
referendum
abrogativo
del
1974,
dimostrando
che
il
Paese
reale,
come
del
resto
abbiamo
già
visto
ieri,
abbiamo
ancora
una
volta
visto
ieri,
è
spesso
diverso,
più
avanti
di
quanto
la
politica
immagini.
La
legge
di
quarant'anni
fa,
quasi
identica
a
quella
di
oggi,
se
non
per
la
riduzione
dei
tempi
per
il
divorzio,
prevede
due
fasi
prima
di
arrivare
allo
scioglimento
o
alla
cessazione
degli
effetti
civili
del
matrimonio
ed
una
procedura
lunga
e
complessa.
Una
procedura
che
comporta
due
giudizi,
due
sentenze,
due
difensori
da
pagare
e,
per
i
casi
in
cui
la
separazione
sia
consensuale,
una
media
di
almeno
cinque
anni
di
attesa.
Considerato
che,
in
genere,
difficilmente
si
registra
il
consenso
da
parte
di
ambedue
gli
ex
coniugi,
per
la
sentenza
occorrono,
a
volte,
anche
dieci
o
dodici
anni.
Obiettivamente
la
legge
in
vigore
appare
disconnessa
e
lontana
dalle
esigenze
delle
coppie
che
decidono
di
non
continuare
un
percorso
di
vita
insieme
e
vogliono
garantirsi
la
possibilità
di
ricostruire
nuovi
percorsi
affettivi.
Il
Parlamento
non
può
che
prenderne
atto
e
trovare
nuove
soluzioni
sul
piano
legislativo.
Quello
che,
allora,
fu
voluto
dal
legislatore,
il
doppio
percorso
e
i
tempi
lunghi
come
deterrente
allo
scioglimento
del
vincolo,
oggi,
appare
un
anacronistico
ostacolo
anche
alla
formalizzazione
delle
scelte
di
vita
che
nel
frattempo
sono
maturate.
Il
presidente
della
CEI,
cardinale
Angelo
Bagnasco,
ha
definito
utile
e
necessario
questo
doppio
iter
procedurale,
sostiene
che
serve
a
far
decantare
l'emotività
e
le
situazioni
di
conflitto,
ma
questa
sua
affermazione
è
smentita
dai
numeri,
visto
che
solo
il
2
per
cento
delle
coppie
che
si
separa
poi
si
riconcilia
e
torna
a
vivere
insieme.
Chi
si
rivolge
al
tribunale
ha
già
maturato
una
scelta
con
convinzione,
quindi,
non
possiamo
che
prenderne
atto.
È
un
esame
di
realtà
che
ci
impone
di
cambiare
questa
legge,
riducendone
i
termini
e
non
è,
–
come
qualcuno
ha
sostenuto,
e
mi
rivolgo
alla
collega
Roccella
che
non
è
in
Aula,
a
lei
ed
altri
–
la
banalizzazione
del
matrimonio:
è
un
esame
di
realtà
e
una
battaglia
di
civiltà
giuridica
e
sociale
insieme.
Ho
accennato
prima
alla
bassa
percentuale,
cioè
il
2
per
cento
delle
coppie
che
si
riconcilia
dopo
aver
avviato
un
percorso
di
separazione;
gli
ultimi
dati
ISTAT
relativi
al
2012,
anche
questo
è
già
stato
detto,
ci
dicono
che,
a
fronte
di
circa
88
mila
separazioni,
i
divorzi
assommano
a
54
mila,
numeri
in
costante
crescita
che
contribuiscono
ad
appesantire
i
tempi
ed
i
costi
della
giustizia,
proprio
in
ragione
di
iter
procedurali
troppo
lunghi.
È
una
preoccupazione
che
abbiamo
e
che
ci
risulta
abbia
anche
il
Ministro
della
giustizia;
una
giustizia,
per
essere
giusta,
deve
prevedere
anche
tempi
giusti
e,
per
questa
ragione,
abbiamo
presentato,
prima
in
Commissione
e
lo
ripresenteremo
in
Aula,
un
emendamento
che
prevede
che,
nel
caso
in
cui
non
vi
siano
figli
minori,
i
coniugi
possano
domandare
congiuntamente
lo
scioglimento
o
la
cessazione
degli
effetti
civili
del
matrimonio,
anche
se
non
sia
stata
proposta
domanda
di
separazione.
Proponiamo
nel
nostro
Paese
quello
che
è
già
una
realtà
in
altri
Paesi
europei
ed
extraeuropei.
Qual
è
l'obiettivo
complessivo
che
ci
proponiamo ?
È
quello
di
snellire
le
procedure
burocratiche,
incentivare
le
separazioni
consensuali
e
ridurre
i
litigi
in
tribunale,
garantendo
in
questo
modo
anche
il
benessere
dei
figli.
In
Italia
abbiamo,
quindi,
un
problema
di
tempi,
di
costi
e
di
ingolfamento
degli
uffici
giudiziari.
Dei
tempi
abbiamo
già
detto,
quanto
ai
costi
in
Italia
sono
assai
più
gravosi
di
quelli
sostenuti
in
quasi
tutti
gli
altri
Paesi
europei
tanto
che,
da
qualche
anno,
si
è
andato
affermando
il
turismo
da
divorzio.
Alle
coppie
che
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