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oltrepassano
il
confine
per
sfilarsi
la
fede
dal
dito
basta
affittare
un
appartamento
per
avere
una
residenza
temporanea,
ad
esempio
in
Olanda,
Belgio,
Gran
Bretagna
e
Germania,
ed
ottenere
così
il
divorzio
in
pochi
mesi
o
come
in
Romania,
Spagna,
Bulgaria
dove
a
volte
sono
sufficienti
anche
48
ore.
Una
volta
divorziato
in
quei
Paesi,
allo
Stato
italiano
non
resta
che
prenderne
atto
perché
la
fine
del
matrimonio,
così
ottenuta,
sarà
legale
anche
in
Italia
in
base
al
regolamento
della
Commissione
europea
(CE)
n. 44/2001
concernente
la
competenza
giurisdizionale,
il
riconoscimento
e
l'esecuzione
delle
decisioni
in
materia
civile
e
commerciale.
Nella
sostanza,
una
sentenza
esecutiva
in
un
Paese
dell'Unione
europea
lo
diventa
automaticamente
in
Italia,
il
tutto
ad
un
costo
medio,
là,
di
circa
3
mila
euro.
Ecco,
sta
accadendo
quello
che
è
avvenuto
ed
ancora
avviene
con
la
legge
n. 40
del
2004
sulla
fecondazione
assistita:
si
sta
creando
una
nuova
forma
di
turismo
per
aggirare
una
legge
italiana.
A
queste
nostre
preoccupazioni
si
aggiungono
quelle
certamente
più
pesanti
del
Ministro
della
giustizia,
che,
in
Commissione
giustizia
del
Senato,
ha
parlato
di
quattro
emergenze
da
affrontare
subito:
l'arretrato
civile,
il
sovraffollamento
carcerario,
la
mancanza
di
personale
e
la
lotta
alla
criminalità
organizzata.
Per
quanto
riguarda
l'arretrato
civile,
abbiamo
ben
presente
che
ci
sono
oltre
5
milioni
di
processi
pendenti.
A
quanto
abbiamo
letto,
le
intenzioni
del
Ministro
per
le
cause
pendenti
che
ingolfano
i
tribunali
prevedono
procedure
alternative
o
che
esse
siano
trasferite
in
una
sede
arbitrale;
rientrano
tra
queste
le
separazioni
e
i
divorzi,
e
noi
ce
lo
auguriamo.
La
previsione
è
che
l'accordo
dei
coniugi,
assistiti
dagli
avvocati,
superi
la
necessità
dell'intervento
giurisdizionale,
tranne
nei
casi
di
presenza
di
figli
minori
o
portatori
di
gravi
handicap.
A
noi
sembra
una
giusta
direzione
e
ci
auguriamo
che
il
Ministro
assuma
al
più
presto
un'iniziativa
in
questa
direzione:
al
più
presto
per
il
lavoro
del
Ministro
della
giustizia,
al
più
presto
per
il
lavoro
del
Parlamento.
Da
molti
anni
(siamo
alla
terza
legislatura)
la
legge
sulla
riduzione
dei
tempi
per
il
divorzio
vaga
senza
esito
in
Parlamento,
ma
ora
sembra
che
sia
la
volta
buona.
Ci
auguriamo,
pertanto,
che
il
provvedimento
che
ci
accingiamo
ad
approvare
alla
Camera
non
venga
affossato
al
Senato,
così
come
è
accaduto
per
la
legge
contro
l'omofobia,
e
che
faccia
da
ariete
per
riportare
all'attenzione
del
dibattito
parlamentare
i
temi
dei
diritti
civili
ed
eticamente
sensibili,
che
da
troppo
tempo
attendono
risposte.
II.
Dichiarazioni
di
voto
PIA
ELDA
LOCATELLI.
Grazie,
signora
Presidente.
Finalmente
ci
siamo:
dopo
molti
anni
–
siamo
alla
terza
legislatura
–
che
la
legge
sulla
riduzione
dei
tempi
per
il
divorzio
vaga
senza
esito
in
Parlamento,
ora
sembra
che
sia
la
volta
buona.
Oggi,
dopo
le
modifiche
apportate
dal
Senato,
sulle
quali
i
socialisti
hanno
sollevato
critiche,
andiamo
a
modificare
una
legge
di
quarantacinque
anni
fa,
promossa
dal
socialista
Loris
Fortuna
e
dal
liberale
Antonio
Baslini
e
approvata
nel
dicembre
del
1970,
quarantacinque
anni
fa.
Una
legge
sofferta,
osteggiata
a
lungo
dall'allora
DC
ma
non
dall'elettorato
cattolico,
che
infatti
bocciò
il
referendum
abrogativo
del
1974,
dimostrando
che
il
Paese
reale
è
spesso
diverso,
più
avanti
di
quanto
la
politica
immagini.
Le
legge
in
vigore,
quasi
identica
a
quella
di
allora
se
non
per
gli
anni
di
attesa
tra
separazione
e
divorzio,
inizialmente
cinque
poi
ridotti
a
tre,
prevede
due
fasi,
prima
di
arrivare
allo
scioglimento
o
alla
cessazione
degli
effetti
civili
del
matrimonio.
Nella
prima,
quella
della
separazione,
la
coppia
deve
rivolgersi
al
tribunale
e,
trascorsi
tre
anni
dalla
sentenza
di
separazione,
deve
essere
promosso
un
secondo
giudizio
per
il
divorzio.
Solo
quando
la
sentenza
di
divorzio
è
passata
in
giudicato
–
alle
volte
avviene
dopo
molti
anni
–
il
matrimonio
è
sciolto.
Questa
complessa
procedura
comporta
due
giudizi,
due
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