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del
divorzio.
Fu
un
compromesso
che
all'epoca
si
rese
necessario
indubitabilmente,
perché
non
eravamo
preparati
ancora,
avevamo
paura
di
buttarci
nel
vuoto,
nel
buio.
Ma
oggi
dovremmo
anche
affrontare
quell'argomento
perché,
lo
ripeto,
è
stato
ricordato
da
un
collega
che
soltanto
in
Irlanda
del
Nord,
a
Malta
e
in
Italia
esiste
questo
doppio
passaggio.
Altrove
esiste
l'istituto
della
separazione
e
l'istituto
del
divorzio,
ma
autonomi
e
non
l'uno
presupposto
dell'altro.
Cioè,
uno
può
decidere
di
separarsi
e
non
divorziare,
ma
se
vuole
divorziare
accede
all'istituto
del
divorzio
direttamente
e
una
riforma
di
tal
genere
sarebbe,
io
ritengo,
anche
matura
per
il
popolo
italiano.
D'altra
parte
le
statistiche
lo
dicono:
è
stato
già
ricordato
che
questo
prolungare
i
tempi
legali
per
potere
accedere
al
divorzio,
aggravati
dalla
prassi
giudiziaria
che
li
allunga
ulteriormente,
non
ha
salvato
nessun
matrimonio.
I
coniugi
che
si
riconciliano
sono
appena
il
2
per
cento.
Quindi,
se
la
statistica
ha
un
senso,
ma
se
comunque
ha
un
senso
l'esperienza,
dobbiamo
prenderne
atto
e
io
ritengo
che
dovremmo
ulteriormente
procedere
su
questa
strada.
Poi,
ci
sono
altre
questioni
connesse
sui
diritti
civili,
ma
qui
non
voglio
aprire
il
fronte
su
altre
questioni
che
pure
sono
pendenti
e
che
sono
state
già
affrontate
in
qualche
altra
legislatura
ma
stranamente
in
questa
non
le
vedo
ancora
vive,
non
le
vedo,
come
dire,
all'attenzione
della
Camera
o,
comunque,
del
dibattito
politico.
Ma
almeno
prendiamo
quello
che
stiamo
facendo,
cioè
rendere
la
vita
dei
separandi
o,
se
volete,
dei
divorziandi
il
meno
drammatica
e
il
meno
dispendiosa
possibile.
Certo
non
sta
scritto
da
nessuna
parte,
sebbene
vi
sia
qualcuno
che
lo
dica,
che
su
questa
terra
bisogna
soffrire,
perché
la
felicità
è
nell'altro
mondo.
Io
preferisco
vivere
felice
in
questo
mondo,
però
sperando
di
vivere
felice
anche
in
quell'altro
(Applausi
dei
deputati
del
gruppo
Sinistra
Ecologia
Libertà
–
Congratulazioni).
MARIANO
RABINO.
Signora
Presidente,
rappresentanti
del
Governo,
onorevoli
colleghi,
da
molti
anni
la
questione
del
cosiddetto
divorzio
breve
ha
interessato
il
Parlamento,
senza
mai
trovare,
seppure
in
presenza
di
avanzati
punti
di
sintesi
tra
i
diversi
progetti
di
legge
nel
tempo
discussi,
una
maggioranza
che
se
ne
facesse
responsabilmente
carico,
nella
consapevolezza
che
le
relazioni
matrimoniali
possono
proseguire
solo
con
il
costante
impegno
di
entrambi
i
coniugi
e
che
la
scelta,
nel
senso
della
separazione
prima
e
dello
scioglimento
poi,
non
possa
essere
contrastata
e
penalizzata.
In
un
periodo
di
gravi
crisi
economiche
e
di
sofferenza
sociale,
come
quello
che
stiamo
attraversando,
è
un
preciso
dovere
del
legislatore
facilitare
ulteriormente
le
procedure
di
divorzio,
abbreviando
i
tempi
della
separazione
che,
nei
termini
attuali,
rischiano
soltanto
di
causare
ulteriori
problemi
alla
coppia.
Da
un'indagine
sul
costo
economico
e
sociale
dei
divorzi,
delle
separazioni
e
della
volontaria
giurisdizione,
condotta
nel
2009
dall'istituto
Eurispes,
emerge
che
il
budget
che
lo
Stato
spende
per
cause
relative
ai
matrimoni
che
finiscono
in
tribunale
rappresenta
ben
il
16,5
per
cento
del
costo
totale
che
ha
per
i
cittadini
la
giustizia
civile.
Un
ulteriore
gravame
è
rappresentato
dal
costo
opportunità
che
deriva
dalla
impossibilità,
per
entrambe
le
parti,
di
svolgere
la
propria
attività
lavorativa
per
tutto
il
tempo
necessario
allo
svolgimento
di
ciascuna
udienza
in
sede
dibattimentale.
Il
voto
positivo,
espresso
dagli
elettori
sulla
legge
che
consentiva
il
divorzio,
ha
costituito
una
sorta
di
pietra
miliare
per
la
nostra
democrazia,
con
il
referendum
che
ha
mutato
anche
l'immobilismo
da
cui
era
stata
caratterizzata
la
politica
per
trenta
lunghi
anni.
La
norma,
approvata
nel
lontano
1970,
prevedeva
due
fasi
prima
di
arrivare
all'annullamento
legale
del
matrimonio:
la
separazione,
per
la
quale
è
prevista
una
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